Senza
Censura n. 2/2000
[
] Dal carcere di Novara, per Mumia
Messaggio inviato dal prigioniero rivoluzionario Maurizio Ferrari in occasione
della giornata internazionale di mobilitazione per Mumia Abu-Jamal del
13 maggio
Mumia è un militante delle Pantere Nere che realizzava la militanza,
prima di finire in carcere, soprattutto nell'ambito del giornalismo. Lui
metteva alla luce del sole ciò che invece non avrebbe dovuto essere
comunicato: le discriminazioni di classe e razziste - che si presentavano
unite - attuate nel campo del lavoro e del sistema polizia-tribunali-carceri
negli Stati Uniti, contro i Neri e gli Indiani in particolare. Mumia era
perciò un obbiettivo da colpire, da mettere in carcere e uccidere.
Impedire che il boia lo ammazzi è diventato, da oltre un decennio
di manifestazioni, lo scopo di un movimento internazionale divenuto vasto,
fino ad arrivare alla mobilitazione di oggi, più o meno contemporanea
in diversi paesi.
Mumia è diventato, allora, simbolo della lotta al razzismo, ed
assieme, alle varie forme di sfruttamento e dominio tipiche della società
capitalistica. La lotta perché non venga ucciso è, secondo
me, riconosciuta come un rafforzamento contro l'imperialismo, il quale
si manifesta prioritariamente nell'espropriazione nei confronti di miliardi
di persone che abitano l'Africa, l'Asia e l'America Latina; nei bombardamenti
sull'Iraq e la Jugoslavia; e nella programmazione particolare dello scontro
razziale all'interno del proletariato sfruttato nei paesi imperialisti.
La miseria generata al di fuori dell'Unione Europea, degli Stati Uniti,
Canada e Giappone, provoca da anni ondate massiccie di emigrazione in
direzione dei paesi imperialisti. In tal modo il mercato del lavoro si
estende ed aumenta così la pressione su chi ha e chi cerca lavoro,
fino a fargli ingoiare una giornata lavorativa più intensa ed estesa
che nel recente passato, condizioni di lavoro più misere ed un
salario piegato verso il basso. E, altrettanto importante, nell'aggressione
verso l'immigrazione - che corrisponde di più ad una deportazione
forzata, se si pensa alle cause che hanno determinato l'espatrio di masse
dall'Iraq come dal Medio Oriente, dalla Jugoslavia come da numerosi paesi
del centro-est Europa: la borghesia vuole riuscire a spegnere la lotta
di classe nei paesi imperialisti, dirottando l'antagonismo del proletariato
locale contro l'immigrazione.
La violenza esercitata da tutti gli stati imperialisti contro l'immigrazione,
viaggia mortalmente spedita, tanto al confine tra il Messico e gli Stati
Uniti che nello Stretto di Gilbitterra, nei Canali di Sicilia e Otranto,
presso le coste dell'Australia; tanto nei cantieri e nelle fabbriche,
nei quartieri come nei tribunali e nelle diverse forme carcerarie attuate
nell'intera UE. La borghesia imperialista trae da tutto ciò un
interclassismo, una manipolazione sociale che richiama, ma solo richiama,
l'Italia fascista e la Germania nazista. Assieme può, in definitiva,
accumulare potere e profitto in condizioni di tutto gaudio.
I governi degli Stati capitalisti avanzati si coalizzano nella NATO così
come nel FMI per realizzare al meglio l'opera di dominio e di sfruttamento
desiderata dalla borghesia. Si fanno scuola l'un l'altro e fanno scuola
ai partiti, ai sindacati, alle amministrazione locali. Il Comune di Milano,
ad esempio, che ha ben altra storia alle spalle, da quando è retto
dal padrone Albertini, è andato a scuola in Germania e fa uso del
razzismo per arricchire gli stipendi di sindaco e dirigenti a scapito
dei salari - che non si possono neppure chiamare tali - rilasciati ad
operai ed operaie immigrate. I dirigenti del Comune di Milano assieme
a certi sindacati nazionali e locali, hanno redatto un contratto assolutamente
sbilanciato, ed infatti ad esso tengono molto fino al punto di tentare
di garantirgli il futuro con il ricatto del licenziamento nei confronti
di chi provi ad organizzare unione e lotta. Ma non basta.
Il Comune di Milano è cosciente di aver dichiarato guerra ai proletari
- e seguendo una politica razzista, perciò all'inizio del 1999
è andato a scuola da chi da tempo ha battuto quella strada: il
Comune di New York City. Si è voluto portare a Milano, fra le altre,
la pratica della "tolleranza zero", cioè assicurare ai
poliziotti elevati stipendi, mano libera negli arresti e nelle torture,
impunità penale in ogni caso, anche quando essi uccidono. Ma stavolta
Albertini ha avuto la vista corta. L'impunità garantita alla polizia
a New York City ha vanificato lo scopo dichiarato della "tolleranza
zero": le uccisioni compiute dai poliziotti in borghese ed in divisa
hanno reso la vita più insicura che in passato. Allo stesso tempo,
più importante, si è sviluppato un movimento di lotta che
si estende e rafforza ad ogni uccisione compiuta dalla polizia; che si
mobilita contro la carenza di alloggi, scuole, asili, assistenza medica
- proprio quanto presume di fare a Milano la giunta in carica.
Però, nonostante tutte le cose dette e fatte contro la comunicazione
e la socializzazione politica fra i proletari delle diverse etnie che
abitano a New York City, in questa metropoli, nei suoi quartieri, si sono
ricostituite manifestazioni di massa militanti contro la violenza poliziesca
e il crescente immiserimento. Per molti versi la lotta di classe a Milano
in futuro ricalcherà le orme lasciate da New York City negli anni
più recenti. Certamente nelle lotte di New York City c'è
il lavoro politico, la controinformazione svolta nei decenni passati dalla
Pantere Nere, dai loro militanti, come Mumia, dei quali si vuole la liberazione.
La lotta per la liberazione di Mumia è diventata infine , inevitabilmente,
un aspetto - che negli anni ha assunto dimensioni internazionali - della
lotta generale proletaria contro la classe capitalistica e il suo imperialismo,
poiché ne combatte il razzismo quale arma disgregativa della coscienza
di classe e dell'organizzazione necessarie alla rivoluzione proletaria.
Allora, a mio parere, per essere adeguatamente all'altezza del compito
da affrontare, bisogna "andare" anche a New York City, naturalmente
per le ragioni opposte che hanno mosso Albertini. Così, comprendendo
cosa succede nei quartieri, nei rapporti tra le molteplici etnie che abitano
New York City, nei rapporti di sfruttamento e di dominio, come lì
ci si organizza nelle lotte di strada e non soltanto in quelle, si può
capire meglio come e cosa fare anche a Milano, anche in Italia oggi e
domani.
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