Senza
Censura n. 1/2000
[ ] Repressione
in Palestina
Intervista ad Adel Samara
Tra il 28 e il 29 novembre dell'anno scorso 9 dei 20 firmatari di una
petizione di critica all'Autorità Palestinese e agli accordi di
Oslo (resa pubblica il 27 novembre) sono stati arrestati.
Nonostante tutti siano ormai abituati ai livelli di repressione dell'A.P.,
nelle cui carceri sono rinchiusi centinaia di prigionieri politici che
non vengono sottoposti a processo e rimangono per lunghi periodi (la maggior
parte è in galera da oltre un anno) in "detenzione amministrativa",
questi arresti rappresentano per certi aspetti un salto di qualità:
i firmatari della "Petition 20" erano tutte figure estremamente
popolari e autorevoli; tra gli arrestati vi erano personaggi considerati
veri e propri simboli dal popolo palestinese, come l'ex sindaco di Nablus,
Bassam Ashaq'a, che ha perso entrambe le gambe in un attentato israeliano,
messo agli arresti domiciliari, e Ahmed Qatamesh che ha passato 7 anni
in detenzione amministrativa nelle carceri israeliane e per la cui liberazione
si era sviluppata una vasta mobilitazione in Palestina e varie campagne
internazionali. Dopo alcune settimane sono stati rilasciati ma la reazione,
nel senso di mancanza di reazione incisiva, a livello popolare dà
la misura di quanto siano ormai avanzati i livelli di disgregazione, soprattutto
considerando che le questioni sollevate da Petition 20 sono profondamente
condivise nella società palestinese. Solo le associazioni per i
diritti umani hanno fatto circolare comunicati "garantisti"
dove non si entrava nel merito del documento (considerato la più
dura critica all'A.P. che sia stata resa pubblica) ma si denunciava la
violazione del diritto alla libertà di espressione. Si è
trattato di un test utile per l'A.P. che nella fase finale dei negoziati
si appresta a far digerire le "concessioni" definitive al popolo
palestinese e non può lasciare sviluppare nemmeno la minima forma
di opposizione. Su quest'ondata repressiva abbiamo intervistato Adel Samara,
uno degli arrestati, un intellettuale marxista che ha scritto alcuni testi
molto significativi sugli aspetti economici degli accordi di Oslo, direttore
della casa editrice Al-Mshreq.
Come valuta questa ondata repressiva?
Anche se la repressione è una "routine" nelle aree
autonome palestinesi, probabilmente questa è la prima volta che
un così alto numero di intellettuali, scrittori, professori universitari
e in generale palestinesi famosi e stimati è stato arrestato. C'è
stata una forte reazione tra i palestinesi o Arafat ha raggiunto il suo
obiettivo?
Questa è stata in effetti la prima volta che un certo numero di
figure note e stimate nella società palestinese è stata
arrestata solamente per aver dichiarato le sue idee, per aver espresso
le proprie opinioni sulla situazione sociale e politica nelle aree autonome
palestinesi. Questo non significa che non ci fossero palestinesi in carcere,
ce ne sono molti, ma questo è stato il primo caso in cui un cero
numero di persone è stato arrestato per le sue dichiarazioni e
per il suo ruolo di oppositore.
Rispetto a quella che è stata la reazione nella società,
noi non abbiamo mai pensato che si sarebbe sviluppato un movimento in
nostro sostegno, anche se da un punto di vista emotivo la maggior parte
della gente era con noi. La ragione di questo va ricercata nel fatto che
i palestinesi non sono abituati a portare avanti un'opposizione politica.
Per la società palestinese "lotta" significa lotta a
livello militare, dobbiamo ancora essere preparati a un nuovo corso, a
nuovi principi, a nuovi mezzi di lotta, che sono quelli propri della lotta
politica, sociale e democratica. Questo è il primo punto. Il secondo
aspetto che va evidenziato è che se degli individui si prendono
questa responsabilità (come abbiamo fatto noi) è perchè
i partiti palestinesi di opposizione sono incapaci di farlo a causa della
loro debolezza. In breve, la situazione non è pronta per questo
tipo di proteste, nè a livello di cittadini, nè a livello
di partiti politici.
Ma pensa che ci possano essere i margini per una lotta "democratica"
nelle aree autonome palestinesi?
La prima condizione è che esista un'opposizione democratica, anche
se questo è tutt'altro che semplice vista la situazione, comunque
anche se parliamo di "democrazia borghese", questo livello non
è praticabile perchè stiamo ragionando di un paese che vive
di aiuti, non industrializzato, in cui quindi la democrazia non è
tra le condizioni date e non fa nemmeno parte della consapevolezza sociale.
E' per questo che sviluppare un partito politico che lotti per la democrazia
e cerchi di educare la gente alla democrazia, può almeno in parte
sostituire la richiesta di democrazia che si sviluppa in una società
industrializzata.
Gli attuali rapporti tra autorità palestinese e stato sionista
e americani, non sembrano lasciare spazio nè per uno sviluppo industriale,
nè per lo sviluppo di un'opposizione politica di qualche genere.
Come pensa si possa risolvere questo?
Gli sviluppi di cui parlavo sono totalmente estranei all'"agenda"
dell'A.P., e lo sarebbero anche indipendentemente dall'influenza di altri
stati. Ma è comunque vero che lo stato sionista è un ostacolo
reale per ogni vero sviluppo economico.
In aggiunta al fatto che i paesi "donatori", soprattutto gli
Stai Uniti non vogliono uno sviluppo economico dei T.O. o se volete "aree
autonome".
Questo significa che il freno ad uno sviluppo delle aree autonome palestinesi
deriva da tre fattori: il primo è la natura stessa dell'A.P., ed
è legata alla sua ideologia di borghesia "compradora",
e poi ci sono lo stato sionista e i paesi "donatori".
Per questo non possiamo sperare in uno sviluppo (economico e sociale)
nel tempo presente. Quindi il punto su cui dobbiamo concentrarci è
nel tentare di portare avanti un'opera di "rieducazione" della
gente, verso nuove forme di lotta. Dobbiamo cercare di creare una coscienza
di classe, e dobbiamo partire da questo dato soggettivo a causa delle
condizioni oggettive in cui ci troviamo.
Come è stato il trattamento in carcere, in particolare per lei
e Ahmed Qatamesh, che siete stati trasferiti alla prigione di Gerico?
Sì, noi 2 siamo stati trasferiti nel reparto speciale dei servizi
di sicurezza, altri erano a Nablus, ma nel nostro caso posso dire che
il trattamento non è stato cattivo, non siamo stati trattati duramente,
nè umiliati, nè picchiati. Noi abbiamo protestato per il
fatto di essere stati rinchiusi in prigione, che è un gravissimo
attacco alla nostra libertà.
Come pensate di portare avanti la vostra lotta?
Abbiamo certamente intenzione di continuare a portare avanti la nostra
forma di lotta, ma soprattutto vogliamo stimolare i partiti politici di
opposizione ad assumersi le proprie responsabilità, visto che noi,
come individui, non pensiamo di sostituirci ai partiti o alla classe.
Noi abbiamo solo iniziato questa protesta, abbiamo intenzione di portarla
avanti, ma certamente non da soli. Si dovrà espandere ed allargare.
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