Senza
Censura n. 1/2000
[ ] Repressione
e lotte: riapriamo il dibattito
Venerdì 11 Febbraio si è svolto al Centro
Popolare Firenze Sud un incontro dibattito sul tema della repressione
con l'intento di rompere il silenzio sulla strategia attuale dello Stato
nei confronti del movimento rivoluzionario e di classe in Italia, sugli
arresti e le perquisizioni che si sono susseguite da maggio ad oggi. L'iniziativa,
organizzata dal CPA Fi-Sud,
Collettivo Politico Scienze Politiche, Movimento per la Confederazione
dei Comunisti/e nasce non tanto dall'esigenza di rappresentare una sorta
dei vittimismo nei confronti della repressione, delle denunce e i pestaggi,
ma con il chiaro intento di comprendere come oggi lo Stato, in funzione
della sua organizzazione in chiave europea, organizza o riorganizza la
sua strategia controrivoluzionaria, di quali strumenti si è dotato
e si sta dotando per prevenire e reprimere qualsiasi ipotesi rivoluzionaria
e di classe.
All'iniziativa, riuscita sia per quanto riguarda la presenza numerica,
sia per il livello di dibattito politico, hanno partecipato Leonardo Mazzei
del Mov. Conf. Comunisti/e, Avv G. Pelazza, Familiari e Amici dei Prigionieri
di Novara. Nei prossimi numeri cercheremo di riportare in maniera più
completa l'iniziativa. Ci limitiamo, per ora, a riportare l'intervento
di presentazione della serata, ritenendo che possa già rappresentare
uno strumento di riflessione sul tema della repressione.
Il Collettivo di Scienze Politiche, il CPA
e la Confederazione dei Comunisti/e hanno lavorato insieme sul tema della
repressione politica con l'intento di acquisire informazioni e poter dare
delle risposte agli ultimi attacchi che hanno subito alcune realtà
politiche in tutta Italia. Riteniamo necessario parlare di repressione
politica oggi proprio perché da troppo tempo questo tema è
caduto nel silenzio nonostante si siano verificati di recente, anche nella
nostra città, atti evidenti di repressione.
Le cause di questo silenzio, a nostro avviso, sono in parte frutto della
strategia repressiva messa in campo dallo stato. Tra gli strumenti adottati
dalle autorità di governo per perseguire tale strategia abbiamo
deciso di riservare un'attenzione particolare alla legislazione d'emergenza
messa in atto a cavallo degli anni '70 e '80; assumere tale forma di legislazione
come punto di partenza è importante non solo per gli effetti disgreganti
che essa ha avuto a suo tempo sulle avanguardie rivoluzionarie e sull'intero
movimento di classe, ma soprattutto per il risvolto preventivo dovuto
alla sua progressiva normalizzazione. Quest'ultimo è l'aspetto
che oggi più ci interessa mettere in evidenza, in quanto le forme
di repressione messe in atto dallo stato assumono, a nostro avviso, un
carattere soprattutto preventivo, con la finalità di scoraggiare
e bloccare ogni tentativo di ricomposizione del movimento di protesta.
Nella relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo
in Italia, del primo semestre del '99, si afferma che "il nostro
ordinamento conosce una pluralità di figure criminose di tipo associativo
[...] ed è altrettanto noto come la categoria dei reati associativi
abbia consentito anche in passato notevoli successi nel contrasto al terrorismo
di matrice politica"; la sopra citata relazione continua escludendo
"la possibilità di utilizzare la categoria del concorso esterno
anche nel contrasto con associazioni terroristiche (dato che) è
stato segnalato dalla maggioranza dei commissari il pericolo che in tal
modo vengano criminalizzate ingiustamente attività rientranti nella
libera manifestazione del pensiero o nell'espressione di opinioni politiche,
con la creazione di un clima emergenziale che è invece opportuno
evitare". Tuttavia la normativa che interessa i reati di tipo associativo
di fatto colpisce la libera espressione politica indipendentemente dalla
commissione di azioni contro cose o persone. Basti pensare all'intensificarsi
del controllo durante il periodo della guerra, che ha visto una maggiore
organizzazione e compattezza del movimento di protesta portato avanti
da una pluralità di soggetti, dai lavoratori con le loro organizzazioni
ad altre realtà politiche. Ne sono un esempio le numerose denunce
e perquisizioni in seguito agli scontri avvenuti durante la manifestazione
del 13 maggio a Firenze. Il dibattito contro la guerra ha rappresentato
un momento importante per la crescita della critica politica in questo
paese, smascherando definitivamente la politica imperialista dei governi
di centro sinistra europei fatta di false missioni umanitarie, necessità
contingenti e di bombardamenti in Ex-Jugoslavia. La risposta dello stato
e dei suoi organi repressivi, di fronte ai tentativi di ricomposizione
del movimento di protesta, non poteva che essere la repressione, rispolverando,
se mai fossero stati messi in soffitta, tutti gli strumenti predisposti
dalle varie leggi d'emergenza che hanno contraddistinto l'ondata repressiva
degli anni '80.
Come si è già accennato prima, di fatto tali leggi sono
state "normalizzate", e quindi vengono oggi applicate a scopo
preventivo. Citando ancora la relazione della commissione d'inchiesta
sul terrorismo, la prevenzione dello stato, in questa fase, non ha esigenza
di un supporto legislativo di emergenza: infatti, per usare le parole
della commissione, "non vi è bisogno di leggi eccezionali.
Una democrazia contrasta il terrorismo con le leggi vigenti nel rispetto
delle garanzie e dei diritti individuali". La relazione continua
richiedendo "che le leggi vigenti siano puntualmente applicate, senza
indulgenza, utilizzandone appieno l'operatività, con l'impegno
dovuto, perché è evidente il pericolo in ogni forma di sottovalutazione".
Infatti decine di persone sono state denunciate, alcune arrestate e le
perquisizioni sono sempre più frequenti. L'incremento delle misure
repressive si è verificato a partire dalla lotta per il popolo
Kurdo e Ocalan fino all'opposizione netta contro la guerra imperialista
della Nato nei confronti della Ex-Jugoslavia. Dopo la ricomparsa delle
BR-PCC si è inasprita la reazione dello stato, che ha risposto
con un forte attacco ai danni di alcune organizzazioni politiche e con
una campagna contro quei centri sociali che hanno rifiutato la normalizzazione
continuando a ritenersi soggetti di conflitto. Inoltre, pochi giorni fa,
a Genova, Milano, Trapani e Roma abbiamo assistito alle cariche di polizia
e carabinieri nei confronti dei manifestanti contro i centri di detenzione
per immigrati, per non parlare di ci che è successo a Torino
alla lettura della sentenza a carico di Pellissero, condannato a quasi
sette anni per associazione sovversiva.
Questi non sono da considerare come singoli episodi, bensì come
eventi collegati e inseriti in una logica repressivo-preventiva portata
avanti dallo stato, che colpisce quelle aree politiche che, organizzandosi
potrebbero mettere in pericolo il sistema capitalistico, in un periodo
di transizione e riassetto degli stati nazione in funzione dello stato
imperialista europeo.
Funzionale al progetto dello stato è il ruolo svolto dagli organi
d'informazione che intraprendono puntualmente campagne contro una pluralità
di organizzazioni politiche, con l'intento di preparare il terreno all'azione
repressiva del potere politico istituzionale. Superare la barriera dell'informazione
borghese risulta necessario ed è quindi importante rafforzare la
controinformazione per smascherare i reali progetti governativi.
Parallelamente, purtroppo, il movimento risulta caratterizzato da una
estrema frammentazione e si rivela incapace di agire sino in fondo da
protagonista. Prova ne è il silenzio sulla repressione politica
interna e nella nostra città, che non dipende esclusivamente dalle
pratiche intimidatorie portate avanti dagli apparati repressivi, ma è
talvolta determinato da scelte politiche rivolte più all'autoconservazione
che alla solidarietà, elemento chiave per contrastare la strategia
preventiva e disgregante propria dello stato. Convinti che tale silenzio
vada superato abbiamo tentato in più occasioni di avviare un dibattito
sull'argomento, incontrando ogni volta resistenze in merito. Ma speriamo
che qualcosa possa cambiare. Un altro problema a cui dobbiamo fare fronte
è l'assenza di un dibattito sui prigionieri politici, aspetto molto
importante, in quanto essi vivono la massima repressione che lo stato
pu imporre, cioè il carcere. Con il carcere lo stato persegue
due obiettivi: l'isolamento di chi è detenuto per motivi politici
e l'utilizzazione di essi come forma di ricatto nei confronti della classe,
per dividerlo e per fare credere che progetti rivoluzionari non possono
essere realizzati.
Partendo dall'esigenza di affrontare e chiarire questi aspetti si è
scelto di approfondire il tema della repressione politica, individuare
come e chi colpisce, quali siano i suoi intenti, su quali apparati giuridico-polizieschi,
sia nazionali che internazionali, fa leva, e quali siano le differenze
e le affinità con le ondate repressive precedenti. Questo dibattito
sulla repressione non è espressione di una sorta di vittimismo
da parte di coloro che ne sono in qualche modo colpiti, ma intende piuttosto
mettere in luce le modalità con cui lo stato si organizza per impedire
lo sviluppo di ipotesi rivoluzionarie, tentando di fornire strumenti sia
teorici che organizzativi per il proseguimento della lotta.
A questo incontro ne seguiranno altri che tratteranno nello specifico
la repressione sui posti di lavoro, il controllo del territorio e repressione
degli immigrati e la riorganizzazione degli apparati repressivi europei.
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