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Censura n. 1/2000
[ ] L'imperialismo
in Medio Oriente
Ridefinizione degli assetti militari
Le modalità con cui l'imperialismo ha ridefinito gli assetti del
Medio Oriente sono per molti versi esemplificativi di una strategia che
ora con maggior chiarezza vediamo dispiegarsi a livello globale.
Lo schema destabilizzazione-guerra/normalizzazione, alla base dei molti
processi di pace avviati praticamente in ogni area omogenea in termini
di interessi imperialisti, sembra essere riprodotto all'infinito seguendo
direzioni che, se analizzate, evidenziano l'inadeguatezza della consueta
lettura nord-sud del mondo, tanto cara ad un "progressismo democratico"
totalmente funzionale agli interessi imperialisti. Costante di questo
riassetto è una sempre maggiore articolazione e strutturalità
dell'elemento controllo/prevenzione/repressione che investe ogni aspetto
della vita delle masse ed ogni margine di "sovranità"
degli stati.
Praticamente in ogni area del mondo sono in atto processi di adeguamento
alle aumentate esigenze di controllo da parte del capitale che per fronteggiare
la sua crisi non può permettere che qualcosa o qualcuno si sottragga
ad una totale funzionalità ai suoi interessi. Questa strategia
si sviluppa su diversi piani, strettamente interconnessi tra loro, che
vedono nella ridefinizione degli assetti militari uno degli aspetti centrali:
quello dell'inserimento di paesi strategici in un sistema integrato a
salda egemonia statunitense, un sistema che costringe a pagare prezzi
altissimi chi ne rimane fuori.
Le fasi di maturazione dei vari riassetti sono differenti e in Medio Oriente,
per l'importanza da sempre attribuita da parte degli USA a quest'area
strategicamente rilevantissima, gli yankee sono già molto avanti
col programma: dopo le 2 guerre del Golfo e l'avvio del processo di normalizzazione
dei rapporti tra lo stato sionista e i paesi arabi, eliminando la questione
palestinese con la complicità della borghesia palestinese, ora
il cerchio si sta chiudendo con l'inserimento, ancora un po' difficoltoso,
dell'importante tassello siriano.
Sulle motivazioni e le strategie messe in campo per raggiungere questo
obiettivo si potrebbe dire moltissimo, ma ora vogliamo concentrarci sugli
assetti militari necessari a tenere in piedi questa costruzione.
Il primo elemento, il centro della pax americana, è un ulteriore
rafforzamento della superiorità militare dello stato sionista,
che passa attraverso il potenziamento del già consistente arsenale
e ad accordi militari con i paesi dell'area. Per quanto riguarda il primo
aspetto la cifra che gli israeliani chiedono agli USA nel contesto del
negoziato con la Siria per il potenziamento della capacità offensiva,
oltre che per il riposizionamento di strutture ed infrastrutture militari,
si aggira sui 17,4 miliardi di dollari (e si tratta solo di una parte
della cifra richiesta, che complessivamente è di circa 4 volte
superiore). Una parte significativa servirà all'acquisto di tomahawk,
un tipo di arma che fino ad ora gli Usa avevano venduto solo alla Gran
Bretagna. Questa richiesta, avanzata dagli israeliani già da tempo,
è recentemente raddoppiata attestandosi oltre i 50 missili. Ma
naturalmente c'è dell'altro, la lista comprende infatti missili
Cruise (i missili che gli USA utilizzano contro l'Iraq e contro le presunte
basi del "terrorismo islamico"), una rete di difesa antimissile,
una stazione terrestre che permetterà allo stato sionista di ricevere
continuamente dati aggiornati dai satelliti spia americani ed elicotteri
Apache. La tendenza è quella di arricchire l'arsenale israeliano
dotandolo di missili a lungo raggio per compensare la quasi inevitabile
restituzione del Golan che scaturirebbe da un accordo con la Siria. Non
è un caso che negli ultimi mesi lo stato sionista abbia ricevuto
dalla Germania 3 sottomarini della classe Dolphin che possono essere adattati
per trasportare missili a lungo raggio (in particolare tomahawk) e che
hanno il pregio rispetto alle basi terrestri di essere meno vulnerabili
ad attacchi preventivi. Lo stato sionista si appresta ad estendere la
sua capacità missilistica e nucleare ad un secondo fronte.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, giustamente si è parlato
molto della cooperazione militare con la Turchia, ma accordi di cooperazione
militare, anche se con maggiore difficoltà, si sono avviati con
l'Egitto, per non parlare della Giordania già da tempo accodatasi,
in sordina, all'asse Tel Aviv-Ankara (vedi "allargamento della NATO
a sud").
E' interessante rilevare che solo nell'ultimo anno l'Egitto ha raddoppiato
il suo arsenale missilistico.
E' evidente che la struttura di questa cooperazione è gerarchica
e saldamente basata sulla supremazia israeliana, ma anche realtà
più irrilevanti sul piano militare come la Giordania, e persino
l'Autorità Palestinese, con forze di polizia dotate esclusivamente
di armi leggere, hanno il loro compito da svolgere.
Per quanto riguarda il ruolo della Giordania vale la pena di citare la
voce del padrone: in un articolo pubblicato sul New York Times il 6 febbraio
si sottolineava che i servizi segreti giordani erano diventati i più
importanti partner della CIA nel combattere il "terrorismo islamico",
molto più importanti degli stessi israeliani.
Solo l'anno scorso l'intelligence giordana ha avvisato la CIA di almeno
3 piani di attacco ad obiettivi statunitensi in Europa.
Non può essere sfuggito lo zelo con cui lo scorso dicembre le forze
di sicurezza giordane sono state massicciamente schierate attorno alle
ambasciate americana e inglese per scongiurare eventuali attacchi, dopo
aver praticato decine di arresti di presunti "terroristi islamici".
Questa ondata di arresti è arrivata solo pochi mesi dopo l'attacco
ai dirigenti, ai quadri ed alle infrastrutture di Hamas che in Giordania
aveva tradizionalmente una relativa agibilità politica. E' chiaro
che questi compiti vengono svolti dal regime giordano all'interno di un
contesto di crescenti relazioni di intelligence e militari con lo stato
sionista, ma anche con la Turchia, come testimonia la partecipazione di
osservatori militari giordani negli ultimi anni alle esercitazioni nel
mediterraneo di USA-Turchia-israeliani.
E' nota anche la cooperazione avviata da tempo tra le forze di sicurezza
dell'A.P. e lo stato sionista, con la supervisione della CIA, che ha ormai
eliminato anche i margini per una modesta opposizione agli accordi di
Oslo.
Se dovesse sfuggire il nesso che lega il potenziamento degli armamenti
dello stato sionista e i trattati di cooperazione militare tra paesi dotati
di potenti eserciti con la sempre maggior scientificità dei livelli
di controllo e repressione di ogni forma di opposizione, va considerato
che oltre all'oggettiva utilità per l'imperialismo dell'eliminazione
di espressioni politiche potenzialmente destabilizzanti c'è anche
la necessità di prevenire o limitare la loro possibilità
di saldarsi con settori sociali e di classe sempre più esasperati
dai crescenti livelli di sfruttamento e frustrati dall'impunità
dei crimini imperialisti contro le realtà che esprimono livelli
di resistenza. La repressione delle manifestazioni a sostegno del popolo
iracheno da parte di tutti i regimi arabi con l'esclusione, non a caso,
della Siria e in misura minore del Libano è un esempio di come
all'aggressione militare si affianchi la repressione delle forme di lotta
che mettono in qualche modo in discussione la strategia militare imperialista.
Anche se in Medio Oriente il processo base è in fase estremamente
avanzata è comunque in continua evoluzione visto che a partire
dalla normalizzazione tra stato sionista e paesi arabi si stanno sviluppando
progetti (anch'essi già avviati) come l'allargamento della NATO
a sud e quello di articolare sull'asse turco-sionista una rete di relazioni
con le repubbliche ex sovietiche del Caucaso (di cui il conflitto russo-ceceno
è uno dei frutti avvelenati) che determina l'accerchiamento di
Russia e Iran.
La saldatura evidente di questo sistema integrato con i processi di allargamento
della NATO ad est è uno dei capisaldi della politica americana
su cui anche l'imperialismo europeo gioca un ruolo molto importante.
Tutti questi processi, complessi e dalle molteplici implicazioni, rendono
indispensabile una sempre maggiore integrazione dei diversi livelli di
prevenzione/controllo/repressione sia orizzontalmente (cooperazione internazionale
contro il "terrorismo", accordi militari bilaterali e multilaterali
ecc.) che verticalmente (connessioni tra gestione dell'"ordine pubblico",
intelligence e assetti militari, relazioni sempre più strette tra
piano giuridico e intelligence, ecc).
Comprenderne la portata è il primo passo per dotarsi degli strumenti
di analisi e materiali necessari a combatterli.
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