DAL CARCERE ISRAELIANO IN PALESTINARULA ABU DAHOU è una delle
prigioniere Palestinesi liberate lo sorso febbraio, dopo oltre un anno
di lotte in carcere.
Come prima cosa abbiamo chiesto a Rula di parlarci dell'esperienza del carcere israeliano, come palestinese e donna. R. A. D. - Le carceri sono solo uno dei
luoghi dove lottare per i tuoi diritti, per la tua libertà e la
tua vita. Questo è il loro obiettivo, e la
consapevolezza di questo obiettivo israeliano è il primo passo
per riuscire a contrastarlo. Essere donna rende tutto ancora più
difficile: devi essere forte il doppio per riuscire a proteggerti. Quanto è diffusa la tortura? R. A. D. - La tortura è sistematica, ma ci sono due fasi distinte. La prima è la fase dell'interrogatorio,
in cui gli israeliani usano tutte le forme di tortura fisica e psicologica
immaginabili, e oltre. Poi arriva la seconda fase, quando vieni
portato al centro di detenzione in attesa del processo o per scontare
la pena. Per fare solo un esempio, una mia compagna,
al momento dell'arresto, è stata ferita al torace con 5 pallottole
(è senza un polmone e una parte di rene) e ad una gamba. Anche il cibo è una forma di tortura:
è sempre lo stesso, preparato in condizioni igieniche indescrivibili,
immangiabile, senza verdura, senza frutta. Per ogni minima rivendicazione sei costretto a lottare, a fare scioperi della fame che possono portarti alla morte o deteriorare pesantemente la tua salute. Voi prigioniere avete portato avanti
una lotta durissima contro il tentativo israeliano di dividervi, per essere
liberate "tutte o nessuna". R. A. D. - Io ero una delle prigioniere che gli israeliani rifiutavano di liberare, e, senza dubbio, il momento più importante è stato quando tutte hanno deciso che non sarebbero uscite dal carcere finché non fossimo state liberate anche noi. Noi abbiamo lottato insieme, abbiamo fatto
scioperi della fame, abbiamo condiviso tutto. Era molto duro per me svegliarmi ogni giorno
e vedere che erano ancora tutte in carcere. Noi abbiamo anche cercato di convincerle ad andarsene, ma non c'è stato verso. Anche le loro famiglie sono state incredibili; avrei considerato comprensibile che avessero cercato di convincerle ad interrompere la lotta, invece ogni volta che venivano ci incitavano ad andare avanti, dicevano che non avrebbero accettato di riavere le figlie a casa se non fossimo uscite tutte insieme. E una volta uscita? R. A. D. - Anche questo non è stato facile. Nei 9 anni che ho passato in carcere sono cambiate molte cose: non ci sono più 2 Germanie, non c'è più l'Unione Sovietica; e anche qui sono cambiate molte cose, in questi 9 anni ci sono stati l'Intifada e Oslo, i due più grandi cambiamenti per il mio popolo in decenni. Non ho avuto la possibilità di essere con il popolo durante l'Intifada e ora mi sono trovata in una situazione totalmente diversa, nel dopo Oslo. Non ho rimpianti per i miei 9 anni di carcere, ma vivere questo periodo è molto frustrante. Vedo le chiusure (dei Territori), la povertà aumentare ogni giorno, la sofferenza quotidiana della gente, migliaia di prigionieri ancora nelle carceri. Mi sembra che la liberazione mia e delle mie compagne non sia niente in confronto alle migliaia di prigionieri che ci siamo lasciate dietro. Quando vedo la situazione oggi non posso fare a meno di chiedermi se questa è la libertà per cui ho combattuto e per cui ho dato 9 anni della mia vita. Lo ripeto, non ho rimpianti, anzi sono orgogliosa di aver dato il mio contributo alla lotta, e 9 anni di carcere non sono nulla rispetto alle migliaia di Palestinesi che sono stati uccisi dagli israeliani. Il problema è che quello che viviamo oggi non ha nulla a che vedere con quello per cui la mia generazione e quella che l'ha preceduta hanno combattuto. Noi lottavamo per uno stato palestinese, libero e democratico, su tutta la Palestina, non per i "bantustan" in cui siamo rinchiusi oggi. Comunque penso che questa situazione non durerà a lungo perché vedo crescere di giorno in giorno la frustrazione e la rabbia della gente. Quindi vedi la prospettiva di una ripresa della lotta? R. A. D. - C'è molta stanchezza, ma credo che questa situazione sia veramente insostenibile. Naturalmente quello che succederà non dipende solo dai Palestinesi. Purtroppo ha un grande peso il fatto che gli israeliani sono sostenuti dagli Stati Uniti, mentre il mondo arabo è diviso e non può, o non vuole, appoggiare la nostra lotta. Penso quindi che le cose siano destinate a peggiorare, ma, in un certo senso, peggiorando miglioreranno. Non fraintendermi, io non desidero questo peggioramento, ma è nelle cose, e di fronte alle difficoltà si liberano energie a volte impensabili. [torna all'inizio della pagina] |