SENZA CENSURA N.4 - NOVEMBRE 1997

GLI OSTAGGI DIMENTICATI

I prigionieri libanesi nelle carceri israeliane in Palestina e nel campo di concentramento del Khiam

La maggior parte dei prigionieri libanesi nelle carceri israeliane non sa nemmeno perché è stata arrestata, alcuni sono in carcere da oltre 12 anni senza essere stati incriminati e processati.

Sono tutti destinati a rimanere in carcere finché gli israeliani non avranno l'opportunità di usarli come merce di scambio con la Resistenza Libanese.

Un rapporto di Amnesty International dello scorso luglio dà informazioni dettagliate sui casi di 21 libanesi deportati segretamente in carceri israeliane in Palestina: 9 sono in carcere da oltre 10 anni senza essere nemmeno stati incriminati, gli altri 12 sono in carcere da oltre 9 anni dopo aver finito di scontare la pena comminata da un tribunale israeliano.

Il rapporto di A. I. denuncia anche la condizione di oltre 130 prigionieri del Khiam, un vero e proprio campo di concentramento nel Sud del Libano, formalmente gestito dalla milizia alleata di israele, l'E. S. L. di Antoine Lahad, ma nei fatti controllato e diretto dagli isreliani.

Il numero di prigionieri libanesi è in realtà maggiore di quello dichiarato dallo stato israeliano: secondo la Resistenza, nelle carcere israeliane in Palestina si trovano in realtà almeno 75 libanesi, e anche il numero di prigionieri al Khiam è superiore: secondo l'Associazione in sostegno dei detenuti del Khiam ci sono più di 150 uomini e, per quanto riguarda le donne, oltre all'unica prigioniera dichiarata, Suha Beshara, vi sono altre 7 donne.

Il governo israeliano e l'E. S. L. hanno più volte affermato apertamente che il rilascio di questi detenuti è subordinato al rilascio o a informazioni su soldati israeliani dispersi durante le missioni in Libano, e infatti una serie di liberazioni di prigionieri libanesi dal Khiam e dalle carceri israeliane in Palestina si sono avuti nel 1991 e nel 1996 in cambio di informazioni e dei resti di soldati dell'IDF che gli israeliani credevano essere prigionieri di Hezbollah. Leggi come l'Emergency Powers (Detention) Law israeliana, che stabilisce che i prigionieri possano continuare ad essere detenuti per anni dopo aver finito di scontare la propria pena o senza processo, rappresentano una gravissima violazione dei diritti umani fondamentali, ma allo stato sionista la cosiddetta "comunità internazionale" continua a non far pagare in alcun modo la sua natura terrorista e razzista.

Il tardivo rapporto di A. I., il cui unico aspetto significativo è probabilmente il fatto che alla fine persino A. I. si è vista costretta a denunciare delle violazioni israeliane, mette fino in fondo in evidenza i limiti dell'approccio "umanitario", basti pensare all'inutilità dell'accordo tra il governo israeliano e la Croce Rossa Internazionale del 95, in base al quale israele si impegnava a migliorare le condizioni di vita nel carcere del Khiam e a consentire visite periodiche della Croce Rossa.

Non solo le condizioni in questo orrido campo di concentramento non sono cambiate ma, alla consueta inadempienza israeliana degli accordi sottoscritti va aggiunta la beffa dell'obbligo, per la Croce Rossa Internazionale (questo invece rigorosamente rispettato) di presentare i rapporti periodici sul Khiam esclusivamente al governo israeliano, e di vietare ai suoi funzionari di parlarne in pubblico.

Lo scorso agosto, durante una missione di monitoraggio in Libano, un funzionario della sezione canadese di A. I., Serge Thibodeau, ha sollevato una questione spinosa ma certamente non difficile da sospettare, denunciando che lo stupro e una delle torture inflitte sistematicamente a quasi tutte le donne che sono state detenute al Khiam.

Questa denuncia ha avuto l'effetto di riportare per un attimo l'attenzione dell'opinione pubblica libanese, se non internazionale, sull'unica donna che A. I. dichiara essere ancora detenuta al Khiam, Suha Fawez Beshara.

Attivista del Partito Comunista Libanese, Suha è stata arrestata nel 1988, all'età di 30 anni, con l'accusa di aver tentato di uccidere Antoine Lahad.

Non è mai stata processata ed è in condizioni di salute molto critiche a causa delle continue torture a cui è stata sottoposta. Suha ha ricevuto la prima visita di sua madre nel 1995, dopo 7 anni di prigionia.

Ora può vederla ogni mese, per 15 minuti, attraverso una grata.

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