PRIGIONIERI SENZA PROCESSOCostruiamo la campagna contro la detenzione amministrativa in PalestinaI DETENUTI AMMINISTRATIVI IN PALESTINA Lo scorso ottobre è stato rinnovato
per la decima volta l'ordine di detenzione amministrativa per Ahmed Qatamesh. In genere gli ordini di detenzione amministrativa sono di 6 mesi ma possono essere rinnovati praticamente all'infinito. La possibilità formale di appello alla "Corte Suprema" è solamente una copertura del carattere totalmente militare di queste detenzioni , basti pensare che gli avvocati difensori hanno la possibilità di visionare il "file" del prigioniero al massimo 30 minuti prima di presentare il caso alla Corte (spesso solo 5 minuti), e che, comunque, anche di fronte ad un ipotetico ordine di scarcerazione del giudice d'appello, nulla vieta ai militari di rinnovare immediatamente l'ordine di detenzione amministrativa (come è avvenuto per Ahmed Qatamesh e per altri prigionieri). Per far emergere con maggiore chiarezza l'assoluta arbitrarietà di questa situazione i prigionieri amministrativi, dall'agosto del 96, stanno boicottando gli appelli. Dopo gli accordi di Oslo, non solo la detenzione
amministrativa non è scomparsa, ma il suo utilizzo è diventato
dichiaratamente politico, andando questa a colpire quasi esclusivamente
gli oppositori degli accordi di Oslo. UN APPELLO A CUI NESSUNO RISPONDE Da anni i prigionieri e le associazioni di solidarietà con i prigionieri palestinesi stanno lanciando appelli perché si avvii una campagna internazionale che metta in evidenza questa situazione. I motivi per cui i "professionisti" dei diritti umani hanno evitato di riprendere ed amplificare questi appelli sono da ricercare nelle questioni che l'apertura di tale campagna solleverebbe. Essa infatti metterebbe inevitabilmente in luce, oltre alla natura razzista e massacratrice dello stato sionista, il disegno imperialista nordamericano di controllo del Medio Oriente attraverso "l'invenzione" dello stato di Israele; un disegno che, dopo il crollo dell'Unione Sovietica e la II guerra del Golfo, ha visto la sua articolazione ed ottimizzazione nelle dinamiche regionali innescate dagli accordi di Oslo. Questo terreno non ha mai stimolato reazioni zelanti nelle più note associazioni umanitarie internazionali, il cui approccio, rigidamente garantista-borghese, ha spesso l'obiettivo di occultare la determinazione a non mettere in discussione le compatibilità imperialiste. Anche la maggior parte delle associazioni umanitarie israeliane, pur stigmatizzando alcune pratiche repressive estreme o lanciando campagne "personalizzate" di denuncia, scollegate dall'analisi della dimensione generale del dominio israeliano, si sono sempre guardate bene dal mettere in discussione i fondamenti stessi dell'occupazione israeliana e dell'oppressione dei palestinesi, insieme al corollario di questa occupazione: il diritto alla sicurezza dello stato sionista. E' significativo, quindi, che negli ultimi tempi associazioni come Amnesty International abbiano almeno iniziato a produrre rapporti su questa situazione, probabilmente a causa dell'interessamento che la parte "progressista" della società israeliana ha iniziato a dimostrare (per motivi che hanno molto più a che vedere con le dinamiche di potere interne allo stato sionista che con un'improvvisa e tardiva sete di giustizia). ASSUMERSI LARESPONSABILITA' Come "Coordinamento contro la repressione a sostegno di Mumia Abu Jamal", pensiamo, quindi, che sia importante prenderci la responsabilità di lanciare, qui e ora, la campagna contro la detenzione amministrativa israeliana, con la convinzione che gli elementi di questa mobilitazione siano fino in fondo patrimonio del movimento antimperialista. Non consideriamo conclusa l'esperienza della campagna contro l'assassinio di stato di Mumia Abu Jamal, non solo perché questo compagno è ancora nelle mani dei carnefici statunitensi, ma anche perché il "caso Mumia" è un passaggio significativo della guerra sporca programmata per annientare ogni processo di trasformazione radicale dei rapporti economici e sociali capitalistici. In questa guerra sporca i prigionieri rivoluzionari sono gli ostaggi di un conflitto la cui natura "irriformabile" rimane costante, sia quando è aperto e guerreggiato, sia che assuma la forma di pacificazione imperialista. E' proprio questa considerazione che ci fa ritenere urgente e irrinunciabile raccogliere l'appello dei compagni palestinesi. La campagna contro la detenzione amministrativa israeliana può essere una mobilitazione in cui, partendo da un caso specifico, da una concreta e particolare forma di annientamento attraverso il carcere (con caratteristiche che la rendono assolutamente inaccettabile anche limitandosi ad un approccio garantista-democratico), si possono aprire spazi per approfondire una riflessione sulla dimensione globale di un conflitto che vede il "quadro democratico" come momento centrale del controllo sociale e della neutralizzazione delle spinte rivoluzionarie. La liberazione di Ahmed Qatamesh e degli altri prigionieri amministrativi palestinesi è un obiettivo che, oltre ad un valore assoluto come momento di lotta antimperialista, ha un enorme valore aggiunto come opportunità di maturazione ed ampliamento di un'area che collochi il tema della "liberazione" e la lotta contro il carcere in una prospettiva rivoluzionaria, cogliendo il ruolo che la lotta per la liberazione dei prigionieri rivoluzionari assume nel precisare ed elevare il livello più generale dello scontro per la liberazione dall'oppressione di classe e nell'esemplificare, chiarendole, le modalità ideologiche ed operative della controrivoluzione preventiva nell'imperialismo. In questo senso pensiamo che impegnarci per lo sviluppo di una mobilitazione specifica per la liberazione dei prigionieri amministrativi palestinesi, così com'é avvenuto con la campagna contro l'esecuzione di Mumia Abu Jamal, non solo non sia da vedere come un'alternativa a lotte ed iniziative in appoggio agli altri prigionieri rivoluzionari rinchiusi nelle carceri imperialiste di tutto il mondo, ma, anzi, possa contribuire a dare rilevanza all'ambito di analisi in cui va collocata ogni lotta radicale contro il carcere, all'interno, quindi, delle coordinate del più generale processo teso alla trasformazione dei rapporti socio-economici dominanti e per la trasformazione, in senso socialista, della società. Coordinamento contro la
repressione [torna all'inizio della pagina] |