LA LIBERAZIONE DELLA MEMORIAComitato romano contro la repressione per la liberazione di Mumia Abu JamalCerto non di bilanci c'è bisogno adesso ma di una riflessione sul percorso sviluppato finora. Proprio mentre si fa un gran parlare di prigione e prigionieri. In questi due anni di lavoro la campagna centrata su Mumia Abu Jamal si è sempre più precisata come parte di un percorso politico di lotta contro il carcere e la repressione. La materia del dibattito e dell'intervento collettivo si è sviluppata attorno alla liberazione come elemento centrale della memoria storica. Il confronto esteso a 180 gradi ha introdotto elementi positivi all'attenzione del movimento e dei settori più sensibili fra i proletari. Si è posto con forza l'obiettivo di chi lotta contro il carcere: la liberazione senza condizioni dei rivoluzionari prigionieri; questo senza presunzioni di cesure di fasi o chiusure di cicli, quindi senza pretese storicistiche o differenziazioni umanitarie. E ancor di più questo si è posto a partire dalla lotta articolata e complessa per fermare l'esecuzione di Mumia Abu Jamal e reclamarne la liberazione. Vale a dire che la campagna si è mossa da un punto individuale per snodarsi in un insieme di elementi che definiscono oggi il dibattito sulla liberazione dentro un ambito non più locale, bensì con un respiro generale, così come si generalizzano le dimensioni della lotta tra capitalismo e proletari da nord a sud del pianeta. Ma di cosa si è nutrito questo dibattito per due anni? Di tutto quello che è oggi la pratica del movimento nelle sue varie espressioni. Raccolta di firme, petizioni, assemblee, cortei, riviste, dibattiti, video, presidi, propaganda, spettacoli e controinformazione. Tutto questo è servito per mettere in comunicazione una voce con tutte le voci prigioniere e questo è accaduto. Uno scambio intenso e plurale è in atto. Oggi mentre si lotta per la liberazione di un nativo americano si coniuga la lotta per la liberazione dei rivoluzionari kurdi o dei militanti sotterrati nell'isolamento in Belgio o in Perù. Ma qualcuno che confonde il particolare con il generale ci dice oggi che la nostra lotta si è costruita su un miraggio umanitario (il caso individuale) e poi si impegna in campagne di allineamento come il raduno di Pisa (apoteosi del riformismo). Ma noi vorremmo guardare oltre il nostro naso, e sviluppiamo il confronto con tutte quelle forze che fuori dai condizionamenti e dalla mediazione filoistituzionale, si pongono come terreno di lotta praticabile ora la riappropriazione della memoria reale dei movimenti attraverso la rottura delle catene che ne ingabbiano l'articolazione. Questa distruzione delle gabbie si sviluppa mediante il continuo ricreare un percorso che si produce nella lotta e dalle lotte prende sostanza. Questo è anche un processo di riconquista della realtà e del piano storico dei fatti sociali. Vogliamo dire che vent'anni dopo non si può sostenere che la radicalizzazione delle lotte del ciclo 1969/75, le quali assumeranno poi forme organizzate di violenza proletaria diffusa, siano dovute principalmente all'incremento della strategia preventiva controrivoluzionaria degli apparati statali che metteva in campo le trame delle stragi e della tensione. Sarebbe come dire che i movimenti sociali e le lotte anticapitaliste e rivendicative, la pratica di forme e percorsi dell'autonomia di classe, nonché le allusioni a pratiche e obiettivi del potere proletario siano solo delle meteore in una costellazione immobile fatta di ceti politici contrapposti e in cui la lotta di classe sembra sia fuori dell'orbita. Noi crediamo che parlare di memoria oggi sia riscoprire questo sistema di orbite contrapposte in cui ruotano e si sviluppano i processi di evoluzione e trasformazione di massa. 3Il processo rivoluzionario che sta dentro la lotta di classe non si è cristallizzato in un'orbita fissa solo perché le stragi hanno interrotto i processi o perché le leggi e la repressione hanno frantumato l'accumulazione di forze proletarie. Arrivando all'oggi e al nostro intervento nella realtà, crediamo che la lotta contro il carcere per la liberazione, vada ricondotta a un piano che non sia né legato a spinte unidirezionali che la riducono interna al campo istituzionale, né d'altro lato costringerla in un ambito umanitario o di semplice resistenza, che può ridursi alla testimonianza e alla difesa delle condizioni immediate lasciando immutato il contesto. Volare più in alto significa sviluppare il dibattito critico e le iniziative a tutto campo, in una dinamica di fronte di lotta contro la repressione che sia da subito slegata dagli ambiti legalitari e spettacolari propri dei media, ma che riconquisti uno spazio concreto con i mezzi propri dell'iniziativa di lotta. Cioè a dire che non si fa un percorso per creare il sindacatino dei carcerati (la lega dei senza diritti), ma si crea un clima e una pratica continua capace di superare l'ambito della trattativa pura e semplice con lo Stato, in cui ciascuno rappresenta unicamente se stesso, per giungere alla imposizione più potente di una pretesa di massa di liberazione che trova sviluppo nella pratica del movimento in ogni sua azione. Significa portare questo contenuto centrale della lotta contro il carcere per la liberazione, dentro tutte le pratiche di movimento in atto: dalle lotte internazionaliste alle scadenze contro la globalizzazione, dalla lotta per gli spazi sociali fino alla lotta per il lavoro e contro lo sfruttamento. Questa pratica che va sviluppata da subito è la sola capace di superare le innegabili differenze esistenti, recuperando l'unità di un percorso che solo se di massa e di tutto il movimento può avere lo spessore e la dirompenza per rimettere al centro del dibattito e del confronto - anche aspro - la questione della memoria, della sua liberazione, che non sia solo metafisica ma reale e concreta attraverso l'uscita dei rivoluzionari dalle galere. Solo con una pratica forte e articolata si può superare l'ambito angusto delle trattative rivendicative e saldare un percorso reale di lotte che va dalla solidarietà ai prigionieri nel mondo, passa per la liberazione di Silvia Baraldini e di Mumia Abu Jamal fino alla vertenza di lotta che liberi i compagni in carcere, e non più solo i fantasmi della borghesia e le sue proiezioni concentrazionarie, finalizzate a chiudere un ciclo da vincitori per tornare a sfruttare e reprimere con le mani più libere e la coscienza ripulita. Comitato romano contro la repressione per la liberazione di Mumia Abu Jamal [torna all'inizio della pagina] |