SENZA CENSURA N.3 - APRILE 1997

PRIGIONIERI, MEMORIA, PROSPETTIVA

Coordinamento contro la repressione a sostegno di Mumia Abu Jamal

In tutto il mondo la questione dei prigionieri è sempre viva e attuale: dall'occupazione dell'Ambasciata giapponese a Lima con l'obiettivo della liberazione dei prigionieri della guerriglia tupamara, alle lotte e gli scioperi della fame delle compagne e dei compagni prigionieri nelle carceri turche così come in quelle cilene, in quelle greche... In tutto il mondo l'espandersi e l'inasprirsi delle lotte sociali sotto la spinta della crisi e delle necessità di ristrutturazione del capitale imperialista pone ai movimenti e alle organizzazioni rivoluzionarie la necessità di star dentro alle lotte riuscendo a recuperare e difendere allo stesso tempo una visione globale della propria identità e dei propri compiti. Riuscendo cioè a recuperare e difendere le proprie radici e la propria memoria che il più delle volte sono concretamente incarnate in uomini e donne prigionieri e prigioniere.

Anche qui in Italia la questione dei prigionieri è all'ordine del giorno: la manifestazione di Roma, quella di Pisa, quella di Bologna, svariate assemblee ed iniziative hanno segnato la crescita di un dibattito che, come Coordinamento contro la repressione a sostegno di Mumia Abu Jamal, non possiamo che considerare come un fatto positivo. Infatti, pur essendoci costituiti come struttura di solidarietà sul caso emblematico di un compagno condannato a morte per la sua militanza, abbiamo sempre precisato che il nostro obiettivo è quello di sviluppare, con la campagna su Mumia, un dibattito sulla questione della prigionia.

Come scrivono i compagni del Comitato romano contro la repressione per la liberazione di Mumia Abu Jamal : "Si è posto con forza l'obiettivo di chi lotta contro il carcere: la liberazione senza condizioni dei rivoluzionari prigionieri; questo senza presunzioni di cesure di fasi o chiusure di cicli, quindi senza pretese storicistiche o differenziazioni umanitarie. E ancor di più questo si è posto a partire dalla lotta articolata e complessa per fermare l'esecuzione di Mumia Abu Jamal e reclamarne la liberazione."

Come coordinamento, siamo consapevoli che in questi mesi si sono mobilitate forze diverse tra loro, con scopi e obiettivi diversi, pensiamo comunque sia necessario partecipare a questa mobilitazione con il nostro specifico contributo, consapevoli anche che non ha alcun significato definire l'obiettivo della liberazione dei prigionieri senza porsi quello di sviluppare materialmente i rapporti di forza necessari per raggiungerlo.

Il primo punto che vogliamo mettere a fuoco sono i motivi per cui riteniamo positivo per le strutture del movimento impegnarsi in questa mobilitazione.

I prigionieri rappresentano l'unico legame concreto con l'esperienza passata del movimento rivoluzionario. Discutere della prigionia, soprattutto se questo avviene in dialettica con le prigioniere e i prigionieri, significa riappropriarsi della memoria e comprendere i limiti e i problemi della situazione attuale alla luce di quella passata.

Prigionieri-memoria-prospettiva: questi sono i cardini della discussione che si deve affrontare all'interno di questa mobilitazione.

La memoria di cui parliamo è infatti la memoria degli sforzi compiuti da un'intera generazione di rivoluzionari di interpretare un ciclo di lotte delle classi e dei popoli oppressi a livello mondiale per illuminare il sentiero di una nuova fase rivoluzionaria e costruire così una prospettiva di liberazione per il proletariato come classe internazionale. Ed è solo con l'obiettivo di contribuire alla riapertura di una simile prospettiva che si può parlare di memoria in termini non idealistici. Ha senso parlare di memoria solo se la riflessione è diretta concretamente a modificare i rapporti di forza.

In questo senso crediamo che sostenere politicamente i prigionieri non debba significare uno schieramento e favore di questa o quella ipotesi organizzativa in cui essi militano o hanno militato, ma significhi invece recuperare il patrimonio che essi rappresentano permettendo un suo reinvestimento nello sviluppo della lotta proletaria.

Da anni uno dei principali obiettivi della borghesia è quello di impedire che i prigionieri esistano come soggetti politici, di impedire la trasmissione della memoria rivoluzionaria da un ciclo di lotte a quello successivo; è per questo principalmente che la borghesia si accanisce contro le prigioniere e i prigionieri e tenta di distruggerne l'identità rivoluzionaria con gli strumenti dell'isolamento, della tortura, delle detenzioni senza fine.

Ed è con questo stesso obiettivo che la borghesia cerca di creare situazioni di desolidarizzazione attorno ai prigionieri.

Non è un caso che le ultime generazioni di compagni sono cresciute spesso sconoscendo completamente la storia dei prigionieri (e dei percorsi rivoluzionari da cui provenivano) e considerando controproducente perfino parlare di tutto questo.

L'aver superato questa situazione, il fatto che si sia riaperto uno spazio di discussione sulla prigionia e sulla memoria, è quindi da considerare un dato obiettivamente positivo. Per questi motivi pensiamo che la mobilitazione di questi ultimi mesi rappresenti comunque, al di là dei limiti evidenti di alcune iniziative specifiche, un significativo passo avanti nella possibilità di una riflessione sull'esperienza del movimento rivoluzionario e sulla prospettiva di liberazione della classe, riflessione che si basi sulla conoscenza e non sullo schieramento e sui principi astratti.

Un secondo punto che vogliamo mettere a fuoco nel dibattito di movimento è la dimensione internazionale propria della questione della prigionia politica.

Le carceri del mondo intero rinchiudono migliaia e migliaia di rivoluzionari rinchiusi con l'obiettivo di impedire che la memoria di lotta rivoluzionaria che essi rappresentano si ritrasmetta e possa tradursi in nuova prospettiva di liberazione.

Non solo i vecchi ostaggi rimangono tali a dispetto degli anni che sono passati dal loro arresto, ma lo sviluppo dell'imperialismo porta alla costruzione di un numero sempre maggiori di carceri in tutto il pianeta, facendo conoscere a tutti i popoli del globo le "delizie" del sistema repressivo imperialista: carceri speciali, deprivazione sensoriale, torture scientifiche, attacco all'identità rivoluzionaria, leggi sul pentimento e sulla dissociazione... e in tutto il mondo il ricatto è sempre lo stesso: i "corpi" dei prigionieri si possono anche liberare, indipendentemente dai reati di cui sono stati accusati, solo in cambio di una rinuncia alla loro identità... si possono liberare i corpi, ma non le menti, non l'esperienza viva e trasformatrice.

Riproponendo un esempio che ci è capitato più volte di portare nella discussione, Mumia è prigioniero perché non si arrende, quello di lui che l'Amerikkka odia di più sono i suoi scritti, è la sua tensione a comprendere la realtà attuale e contribuire alla sua trasformazione rivoluzionaria.

L'esistenza di queste prigioniere e di questi prigionieri ci parla di un scontro che si estende a livello planetario e rispetto al quale si può affermare con tranquillità che una prospettiva di liberazione dei prigionieri specifica per il "caso Italia" esiste solo in relazione con quella della liberazione a livello globale.

Non è un caso che questa dimensione internazionale viva anche nei rapporti che si sono costruiti tra le prigioniere e i prigionieri dei diversi paesi, rapporti che sono stati alla base della mobilitazione a livello mondiale per Mumia, e che oggi vediamo svilupparsi nella fitta rete di solidarietà internazionale che si dispiega attorno alle lotte dei prigionieri dei più diversi paesi del mondo.

La molteplicità di esperienze che essi rappresentano è un riferimento prezioso, per superare uno dei limiti più pesanti che tutti (nel senso di tutto il movimento) abbiamo in questo momento: quello di impegnare la nostra militanza su prospettive parziali e specifiche, in grado sì di portare a dei risultati concreti, ma sicuramente insufficiente a contribuire ad una prospettiva di liberazione per le classi e i popoli oppressi a livello globale, facendo i conti con le contraddizioni più generali che determinano la vita e la morte di miliardi di esseri umani.

Questo ci porta all'ultimo punto che vogliamo sottolineare: il fatto che non solo i comunisti e non solo i rivoluzionari sono prigionieri. La galera è uno strumento del dominio di una classe sull'altra, uno strumento dello sfruttamento capitalista. Questo non va mai dimenticato, e la prospettiva della liberazione dei prigionieri va sempre inserita in quella più generale della liberazione di classe. Quando parliamo di repressione, di tribunali speciali, di arroganza di polizia e di magistratura, non possiamo fermare la storia a vent'anni fa, non possiamo ignorare che la storia del dominio di classe è una storia di emergenze, una dopo l'altra, fino ad arrivare ad oggi in cui oggetto di emergenza diventa anche un immigrato o un profugo di guerra. Questo non solo significa portare il contenuto centrale della lotta contro il carcere dentro tutte le pratiche di movimento in atto, ma significa anche soprattutto capacità di collegare la questione dei prigionieri, della memoria e della prospettiva alla lotta contro la repressione che tutte le strutture e i collettivi di movimento devono affrontare quotidianamente, significa concepire la questione dei prigionieri e della repressione delle lotte come un fronte unico, rafforzando in questo modo entrambi.

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