QUADERNI DI CONTROINFORMAZIONE N.1 - FEBBRAIO 1995

UNA NUOVA TAPPA
VERSO IL POTERE MONDIALE

GLI INTERESSI TEDESCHI
NEL CONFLITTO JUGOSLAVO

Seconda parte del dossier del Gruppo di lavoro e solidarietà antimperialista (AKAS) di Heidelberg sul conflitto jugoslavo

PREMESSA ALLA SECONDAPARTE

Straordinariamente, l'idea che la Germania sia una grande potenza che tenta con ogni mezzo di imporre i propri interessi è completamente scomparsa nella stessa Germania, anche nella sinistra. Ugualmente il concetto di imperialismo (soprattutto in riferimento alla società tedesca) non ha più alcun significato, per così dire, non è più di moda.

Se analizziamo gli avvenimenti in Jugoslavia, in particolare il ruolo della Germania, ci troviamo davanti al problema che processi storici di queste dimensioni sono difficili da osservare a causa della loro momentanea vicinanza temporale ed è difficile fare delle ipotesi. I contorni minacciano di sparire nello stesso momento in cui si cerca di osservarli sotto la lente di ingrandimento e spesso si dissolvono nella nebbia della politica di tutti i giorni. Fra dieci o venti anni si riuscirà ad analizzare meglio gli avvenimenti: la maggior parte dei fatti allora sarà nota e con la distanza temporale sarà più facile distinguere l'essenziale dal superfluo.

Però non siamo completamente impotenti, possiamo trarre delle conclusioni dai risultati di decennali studi empirico-teorici (sugli interessi preminenti che sono in gioco, sulle leggi e sui meccanismi economici e politici che tentano di imporre questi interessi). D'altro canto, anche uno sguardo retrospettivo ad avvenimenti storici paragonabili a questo e l'individuazione delle continuità e delle discontinuità ci possono aiutare a far luce sugli avvenimenti attuali.

Comunque non possono neppure essere formulati parallelismi prematuri e troppo diretti, anche se spesso appaiono evidenti. Niente si ripete in maniera identica. Ad esempio, se la Germania tendesse nuovamente verso un corso aggressivo, espansionistico, allora il nuovo fascismo sicuramente avrebbe un aspetto completamente diverso da quello del sistema dal 1933 al 1945. E' necessario individuare i processi di lungo periodo che stanno alla base di un fenomeno sullo sfondo di mutevoli superfici dei sistemi e verificare se questi, in forma diversa, sono presenti ancora oggi e dove esistono dei momenti equivalenti.

Per quanto riguarda il momento attuale, possiamo riscontrare una straordinaria continuità storica che appare con evidenza nella politica della RFT nei confronti della Jugoslavia. E questa continuità non si limita alla Jugoslavia, ma a tutti gli aspetti della politica tedesca nei confronti dell'est. Accertarsi di questa continuità è perciò tanto più importante dato che la Jugoslavia è un passo spettacolare, ma non certo il primo e tanto meno l'ultimo, nella politica espansionistica della Germania rispetto all'Europa orientale e meridionale.

Per raccogliere materiale di analisi dovremo percorrere un arco temporale più ampio. Dapprima accenneremo brevemente agli obiettivi strategici, ancora oggi molto moderni, dell'imperialismo tedesco prima e durante la prima guerra mondiale per poi vedere come questi obiettivi sono stati sviluppati alla fine degli anni '20 e agli inizi degli anni '30 e come poi hanno trovato una corrispondenza nella politica espansionistica della Germania sotto il fascismo.

Queste strategie hanno la medesima direzione d'urto: il controllo economico e politico dei paesi dell'Europa orientale e meridionale. Solo i nomi sotto i quali venivano indicate queste strategie sono cambiati: progetto mitteleuropeo, politica del 'grande spazio', politica dello 'spazio vitale' e oggi gemellaggio, associazione, Europa del nucleo duro.

Pure l'energia e il modo con cui venne tentato di imporli cambiano, eppure le prospettive che ne erano alla base diventavano sempre di più un bene comune delle élites dominanti tedesche.

Poi cercheremo di capire che cosa intende Klaus Kinkel quando nel suo programma, pubblicato dal FAZ, vede uno degli obiettivi della politica estera e mondiale tedesca nel "completare quello che per due volte abbiamo fallito".

In seguito tenteremo di formulare dei parallelismi con l'attuale politica estera ed economica, così come le differenze qualitative, nella mutata situazione mondiale.

Per una migliore comprensione generale dei rapporti mondiali, che influiscono tra l'altro anche sul conflitto in Jugoslavia, accenneremo a paragoni strutturali tra le strategie di soluzione delle crisi adottate dagli Stati imperialisti durante la crisi dell'economia mondiale agli inizi degli anni '30, in particolare quella USA, e mostreremo come l'odierno ordine mondiale, in particolare il rapporto primo-terzo mondo, sia l'essenza comune di tutte queste strategie di soluzione della crisi imposte - quale risultato della seconda guerra mondiale, sotto il dominio mondiale degli USA.

Su questo retroscena si riescono ad inquadrare gli sviluppi attuali nell'Europa orientale e si riesce a vedere la situazione degli interessi che hanno portato all'esplosione del conflitto in Jugoslavia e che ancora oggi lo tengono acceso.

Ancora una breve spiegazione del concetto di imperialismo, che è già stato citato e che in seguito sarà usato molto spesso. Negli Stati occidentali, contrariamente agli Stati del Sud del mondo, questo concetto è mal compreso e il suo significato è andato perduto.

Si tratta di un concetto scientifico, simile al concetto di capitalismo. In effetti l'imperialismo è strettamente connesso al capitalismo e rappresenta un sistema capitalistico contraddistinto da una forte quantità di concentrazione di capitale e di industrie e che non è limitato a livello nazionale, ma che anzi impone le proprie condizioni di sfruttamento a livello mondiale per mezzo del suo potere economico e militare. Sottolineiamo "militare", perché nella teoria di sinistra, marxista, questo aspetto viene spesso trascurato e viene diffusa l'impressione che l'attuale dominio imperialista sia possibile grazie al semplice dominio dei mercati mondiali, l'indebitamento, il FMI, la Banca Mondiale eccetera.

Distinguiamo i centri imperialisti, le cosiddette metropoli, dalla periferia dipendente. Le metropoli sono gli Stati delle grandi fabbriche multinazionali, in altre parole le grandi potenze capitalistiche (economiche e militari), la periferia invece sono gli Stati dipendenti del Sud.

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CONTINUITÀ STORICA NELLA POLITICA ESTERA TEDESCA NEI CONFRONTI DELL'EUROPA ORIENTALE E MERIDIONALE

OGNI TIRO UN RUSSO... E "I SERBI DEVONO MORIRE" - STRATEGIE ESPANSIONISTICHE PRIMA E DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE

1. LA FERROVIA DI BAGDAD

Quando l'imperialismo tedesco si era consolidato e rafforzato e tentava di espandersi (circa 100 anni fa), gli Stati imperialisti concorrenti controllavano già ampie parti della terra, in particolare i mari e le più importanti strade marittime. Forze consistenti del Reich tedesco videro quindi la direzione d'urto "naturale" dell'imperialismo tedesco - sulla scia della centenaria colonizzazione tedesca dell'oriente - nell'appropriazione dell'Europa orientale e meridionale e dell'impero russo. Questo "spazio vitale messo a disposizione dei tedeschi dalla geografia in modo per così dire naturale, che spetta loro legittimamente per la loro importanza storica ed economica nel cuore dell'Europa", prometteva immense riserve di materie prime e produzione di generi alimentari e doveva solo, così sembrò agli strateghi tedeschi, essere gestito con la diligenza tedesca.

Però questo non doveva essere che il "cortile di casa", che non soddisfava affatto l'imperialismo tedesco. L'ulteriore direzione d'urto aveva come obiettivo il Vicino e il Medio Oriente. Un ampio progetto strategico in questo senso era la costruzione, iniziata nel 1903, della ferrovia di Bagdad e proprio questo obiettivo è stato uno dei motivi che ha portato alla prima guerra mondiale. Il finanziamento del progetto era gestito dalla Deutsche Bank, dalla Banca dell'industria elettrica e chimica, cioè dalle "nuove" industrie, che spingevano con maggior vigore delle "vecchie" industrie pesanti per l'espansione verso l'oriente.

La ferrovia di Bagdad, che non era ancora terminata all'inizio della guerra nel 1941, doveva portare attraverso la Turchia in Irak e garantire il collegamento via terra con la regione petrolifera, che all'epoca faceva parte dell'Impero Ottomano, e con il Golfo Persico. Era anche prevista la possibilità di rifornire le navi da guerra tedesche in questa regione in caso di necessità.

Così però il Reich Tedesco mirava direttamente alla zona di influenza britannica nel Golfo Persico, Arabia e Oceano Indiano.

Era quindi irrinunciabile la sicurezza di questa ferrovia "tedesca". Una buona parte correva all'epoca lungo i confini dell'Impero Asburgico, la maggior parte attraverso l'Impero Ottomano, che già all'epoca si era notevolmente indebolito. Interesse preminente del Reich tedesco era quindi il rafforzamento della Turchia e contemporaneamente il rafforzamento dell'influenza tedesca e il controllo diretto delle regioni dell'Europa sudorientale. Inoltre la sicurezza sembrava impossibile fino a quando fosse esistita una Russia forte. Bisognava quindi distruggerla e disgregarla in piccole parti.

2. L'EUROPA CENTRALE

La direzione dell'imperialismo tedesco che abbiamo delineato ebbe la sua formulazione "classica" sotto il nome di "Mitteleuropa". Era la moderna strategia imperialista delle "nuove" industrie, già operanti a livello europeo-multinazionale (chimica, elettrica), che contrariamente ai piani meramente annessionistici dell'industria pesante avevano già in mente i metodi di coniugazione dell'egemonia economica con l'indipendenza formale.

Uno degli ideologi di questo progetto di Mitteleuropa era il social-liberale F. Naumann. Nucleo centrale di tutte le varianti della Mitteleuropa era l'unione della Germania all'asburgica Austria-Ungheria, alla Bulgaria, che all'epoca comprendeva anche la Grecia settentrionale, e la Turchia e in tutto questo l'elemento di maggior disturbo era la Serbia. La Serbia aveva da poco conquistato la propria indipendenza dall'Impero Ottomano e si era opposta con successo a tutti i tentativi di annessione da parte dell'Impero Asburgico.

Su questo punto, Friedrich Naumann dichiarò: "Il territorio serbo non può essere tollerato come fortezza nemica all'interno della formazione di trincea mitteleuropea.... Come popolo i serbi hanno gli stessi diritti di esistere degli altri popoli, ma non possono pretendere il diritto di disturbatore della pace di professione".

La prima guerra mondiale cominciò e il grido di guerra tedesco fu "ogni tiro un russo, ogni colpo un francese, ogni calcio un inglese...e i serbi debbono morire".

Nel settembre 1914 il Cancelliere del Reich, Hollweg, aveva già formulato il programma di guerra influenzato da Rathenau (AEG) e da Gwinner (Deutsche Bank): "Bisogna raggiungere un'unione economica mitteleuropea mediante lo smantellamento comune delle frontiere, sotto l'influenza della Francia, del Belgio, Olanda, Danimarca, Austria-Ungheria, Polonia ed eventualmente Italia, Norvegia e Svezia. Questa unione...sotto la parità esteriore dei suoi membri, ma in realtà sotto la direzione tedesca, deve stabilizzare il predominio della Germania sull'Europa Centrale".

E' superfluo sottolineare che a questo punto si pensava naturalmente solo ad un'imposizione militare di questa unione economica. Contemporaneamente erano già stati formulati dei programmi per il "rivoluzionamento della Russia dalla Finlandia fino al Mare Nero, così come del mondo islamico dal Marocco all'India".

Come si profilò in seguito la Germania non poteva reggere una guerra su due fronti e quindi, alla fine della guerra, non avrebbe potuto imporre il proprio predominio quale potenza vincitrice. Perciò i circoli più moderni della borghesia tedesca cominciarono a pensare a come poter ottenere il medesimo risultato in una maniera meno diretta.

Faceva parte di questi progetti anche il cercare una pace duratura e un'alleanza con la Francia così da avere le mani libere per il progetto di Mitteleuropa. Una prospettiva che si ripresentò anche in vista della sconfitta della seconda guerra mondiale e che poi venne ripresa sotto Adenauer.

In questo senso andavano, a partire dal 1917, i tentativi di questi circoli per raggiungere una "pace negoziata".

Questi progetti si esprimono chiaramente in un memoriale del 1918 di Friedrich Naumann, Ernst Jäckh e Robert Bosch nel quale viene richiesta l'immediata fine della guerra per salvare l'area sudorientale controllata dalla Germania: "Le nostre conquiste di guerra fino ad oggi sono la creazione e l'unificazione dell'Europa Centrale. Questo esprime la nostra collocazione economica e militare tra le grandi potenze, un obiettivo di guerra che possiamo raggiungere indipendentemente da qualsiasi cambiamento delle nostre frontiere con l'occidente e con l'oriente".

Proprio questo era stato capito anche dai nemici di guerra dei tedeschi che dopo la sconfitta del Reich tentarono di vanificare proprio questa vittoria e di impedire, con provvedimenti strutturali di lunga durata, una nuova edizione di quella che si chiamava la "Mitteleuropa" tedesco-imperialista. Per questo motivo il Trattato di Versailles e quelli successivi -quintessenza delle catene della politica tedesca- sono stati duramente combattuti fin dall'inizio.

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OBIETTIVI ESPANSIONISTICI PRIMA DELL'INSTAURAZIONE DELLA DITTATURA FASCISTA IN GERMANIA

L'imperialismo tedesco aveva subito durante la prima guerra mondiale una sensibile sconfitta, ma era molto lontano dall'abbandonare i propri obiettivi espansionistici. Questo si rileva con chiarezza tra l'altro nelle dichiarazioni del Generale Von Seeckt alla fine del 1918: "Dobbiamo tornare ad essere potenti e non appena riavremo il potere ci riprenderemo naturalmente tutto quello che abbiamo perso". E il Generale Groener, Ministro della Difesa del Reich dal 1928 al 1932, disse nel 1919: "Se si vuole combattere per il dominio mondiale, bisogna essere lungimiranti e prepararsi senza troppi riguardi per le conseguenze... . A questo fine però il terreno sul quale ci poniamo, all'interno e all'esterno, deve essere stabile e inattaccabile".

Questo compito venne assunto con fermezza dai circoli dominanti.

1. IL CONGRESSO ECONOMICO MITTELEUROPEO

Un passo decisivo è stata la fondazione del congresso economico mitteleuropeo (MWT), un gruppo d'interessi del capitale tedesco che univa, al di là delle diverse frazioni, tutti i gruppi di capitali interessati all'espansione verso il sud-est. Questo gruppo riuniva le più importanti multinazionali: dalla Krupp alla Thyssen fino alla IG-color e le grandi banche. In questo modo erano uniti all'interno del MWT i due campi della grande industria dell'epoca, il cosiddetto campo-Brüning (le industrie dell'esportazione come la Siemens che appoggiavano il Cancelliere del Reich Brüning) e il fronte-Harzburger (il cartello della cosiddetta "opposizione nazionale" sotto la direzione di Hitler e di Hugenberg), vale a dire frazioni di capitale con interessi in parte diametralmente contrapposti. Inoltre vi facevano parte anche altre associazioni come ad esempio l'unione dell'industria tedesca del Reich, il congresso dei comuni tedeschi, l'ADAC. Aveva stretti collegamenti con le forze armate del Reich e naturalmente con il Ministero degli Esteri.

La fondazione del MWT avvenne non a caso all'epoca della maggiore e più lunga crisi economica della storia del capitalismo.

Compito principale del MWT era quello di elaborare strategie per affrontare la crisi che potessero contare sul massimo consenso possibile da parte dei principali gruppi capitalistici. Il fatto che questa procedesse in modo eccezionale fu una delle condizioni che permisero l'instaurazione della dittatura fascista nel 1933.

2. STRATEGIE DI SOLUZIONE DELLE CRISI DEL CAPITALE TEDESCO AGLI INIZI DEGLI ANNI '30

Le prospettive dell'economia tedesca nel 1931, alla fine della lunga crisi dell'economia mondiale, erano estremamente sfavorevoli:

- dal mercato mondiale non c'era da aspettarsi, in tempi brevi, una ripresa degli affari;

- l'imperialismo tedesco era bloccato, per quanto riguardava la politica valutaria e creditizia, dal pagamento delle riparazioni di guerra;

- non aveva a disposizione delle colonie quali mercati esteri di riserva;

- aveva perso durante la prima guerra mondiale gran parte del suo capitale estero;

- disponeva per le sue capacità produttive di un mercato interno troppo limitato.

La concentrazione di interessi per trovare una strada comune per uscire dalla crisi, in questa situazione disperata, non era un compito facile. Da un lato il campo del fronte di Harzburg spingeva per sganciarsi dal mercato mondiale nel quale non vedeva alcuna prospettiva. Le multinazionali ancora concorrenziali a livello internazionale come la Siemens o la Pharma si opponevano a qualsiasi provvedimento che potesse nuocere alla capacità di concorrenza internazionale. L'unica via d'uscita sembrava essere in tre proposte concatenate:

- la creazione di una richiesta supplementare da parte dello Stato, in particolare materiali bellici;

- la riconquista di una capacità bellica aggressiva mediante un riarmo massiccio;

- la "delimitazione del commercio estero tedesco", cioè lo sganciamento dal mercato mondiale mediante la creazione di una regione economica dipendente dalla Germania nell'Europa centrale ed orientale. Del resto in caso di guerra sarebbe stato impossibile mantenere rapporti economici oltreoceano.

Sia questi cosiddetti sforzi autarchici che il massiccio riarmo avevano bisogno di uno Stato forte, che potesse imporre i provvedimenti e le spese necessarie all'intero paese - con i rapporti esistenti questo era possibile solo sotto una dittatura.

3. LA POLITICA DI AGGRESSIONE IMPERIALISTA TEDESCA PRIMA DELL'INSTAURAZIONE DELLA DITTATURA FASCISTA

E' comunque un errore credere che all'epoca la politica di aggressione imperialista tedesca abbia dovuto aspettare la "presa del potere da parte di Hitler". Infatti già in ottobre/novembre, quindi tre mesi prima che Hitler venisse "strappato dal letto" per diventare Cancelliere del Reich, venne intrapreso un tentativo di politica di aggressione nell'area del Mediterraneo, che può servire da esempio delle attività del MWT: nel novembre 1932 il MWT insieme alle forze armate del Reich e al Ministero degli Esteri redassero un memorandum "non ufficiale" e lo consegnarono a Mussolini. Questo memorandum aveva come obiettivo il sovvertimento violento degli Stati dell'Europa centrale e sudorientale. Punto centrale del progetto era la Jugoslavia che doveva essere distrutta con l'aiuto dell'Italia. La Jugoslavia doveva essere divisa in uno Stato Croato-Sloveno e in uno Stato del resto della Jugoslavia, composto da Serbia e Montenegro, lungo le vecchie frontiere tra il Regno Romano d'Oriente e d'Occidente. Inoltre si sarebbe dovuto irrompere dalla Transilvania tedesca nella Romania per creare infine una federazione del Danubio composta da Croazia, Slovenia, Transilvania e Ungheria che sarebbe stata sottomessa in ugual modo all'Italia e alla Germania. Le secessioni dovevano essere provocate con l'appoggio ai movimenti indipendentisti reazionari croati e sloveni in Jugoslavia ovvero mediante movimenti insurrezionali degli Ungheresi e dei tedeschi della Transilvania in Romania fomentati artificialmente.

Di conseguenza scoppiarono rivolte croate e slovene che si svilupparono nel 1932/1933 - attività sotterranee che, secondo le affermazioni di Alfred Sohn-Rethel, vennero finanziate tra l'altro da Krupp: "In campo tedesco avveniva il traffico d'armi, il servizio clientelare, la distribuzione di denaro riciclato, le trattative con i partiti politici e con i capi delle bande ... gli emissari di Pavelic [capo degli Ustascia] andavano e venivano. L'ultimo risultato di questa attività sovversiva fu l'assassinio del Re Alessandro I a Marsiglia il 9 ottobre 1934 da parte degli uomini di Pavelic" (con l'aiuto attivo della difesa tedesca).

Questo progetto fallì soprattutto perché l'Inghilterra e la Francia ne vennero a conoscenza.

4. SFORZI ECONOMICI E POLITICI PER IL CONTROLLO DEI PAESI DEL DANUBIO E DEI BALCANI

"Non che si volesse conquistare ed annettere politicamente i paesi del Danubio e dei Balcani, ma dovevano essere portati sotto l'influenza e l'effettivo dominio del Reich, così che in caso di necessità si potesse disporre delle materie prime, dei raccolti, delle fonti energetiche, dei mezzi di trasporto, della posta e delle strutture amministrative e che si potesse dirigere le loro strutture produttive e la loro politica agraria".

Totalmente unanime su questo punto, il capitale bancario ed industriale tedesco si impegnò metodicamente nell'accerchiamento economico e nell'infiltrazione politica dei Balcani.

Anche un altro metodo attirò l'attenzione in Inghilterra: secondo le affermazioni del Ministero per il Commercio inglese ditte tedesche importavano prodotti dall'Europa centrale e sudorientale ad un prezzo di molto superiore a quello del mercato mondiale e vi importavano merci in parte anche al di sotto dei costi di produzione conducendole così ad una dipendenza economica sempre maggiore.

In relazione ai piani economici per riconquistare una capacità bellica ("autarchia") era importante anche stimolare la coltivazione di monocolture che dovevano corrispondere agli interessi tedeschi. Si trattava soprattutto della coltivazione di foraggi e di sementi oleose, ad esempio soia, che avevano importanza anche per la produzione di alimenti sintetici e di materie grezze chimiche.

L'agognato controllo totale sull'"Europa Centrale" doveva essere anche la base per la programmata guerra contro l'Unione Sovietica ("petrolio di Baku") e l'allargamento dell'influenza tedesca nel Vicino e Medio Oriente.

"L'Unione Sovietica deve scomparire. Attaccarla frontalmente non è consigliabile. Useremo una manovra a tenaglia: al nord dal Baltico, al sud dai Balcani - fino a Baku... Per andare sul sicuro appronteremo una seconda tenaglia: al nord dalla Norvegia e da Murmansk, al sud dall'Italia, l'Africa settentrionale, l'Egitto e la Persia fino a Baku", così si esprimeva il Presidente della Camera di Commercio e dell'Industria di Aachen, Peill, nel 1932. La Germania avrebbe dovuto appoggiarsi sulla stessa base dell'ultima guerra, solo che questa volta l'Italia avrebbe preso il posto della Turchia.

Presupposto di un'effettiva egemonia sull'Europa sud-orientale era la distruzione del sistema industriale dell'Europa sud-orientale che si basava soprattutto sull'industria ceca, appoggiata soprattutto dal capitale finanziario francese, e sull'industria austriaca finanziata dall'Inghilterra. L'annessione territoriale dell'Austria e della Cecoslovacchia di per sé non era quindi necessaria; necessaria era solo la rottura della posizione di concorrenza dell'industria austriaca e ceca, che però, come già detto, erano sostenute da capitali finanziari francesi ed inglesi.

Non importa in quale modo, se al capitale tedesco fosse riuscito di appropriarsi delle fabbriche ceche e di portare sotto il proprio controllo le industrie austriache "la posizione di monopolio industriale e politico della Germania sarebbe stata assicurata non solo per l'Europa sudorientale, ma anche per una buona parte del Vicino Oriente".

In anticipo su questa espansione nel Vicino Oriente, nel maggio 1931 venne fondata l'Unione d'Oriente Tedesca.

Abbiamo parlato così articolatamente degli sforzi dell'imperialismo tedesco agli inizi degli anni '30 per mostrare che i tentativi fortemente nazional-sciovinisti, aggressivi ed espansionistici erano stati progettati già prima del 1933 e al di fuori delle organizzazioni nazional-socialiste. Erano le particolari circostanze storiche (crisi dell'economia mondiale, forte movimento operaio), che spinsero le principali forze imperialiste del Reich tedesco a ricorrere alla forma di governo fascista.

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LA DITTATURA FASCISTA COME STRATEGIA AGGRESSIVA DI SOLUZIONE DELLE CRISI DEL CAPITALE TEDESCO

1. TENTATIVI COMUNI DI SOLUZIONE DELLE POTENZE IMPERIALISTE: ESPANSIONE ED INTERVENTISMO DEL CAPITALISMO DI STATO

Lo sfondo di questa politica erano i problemi strutturali dell'economia imperialista che dopo i duri provvedimenti di razionalizzazione ed un massiccio processo di concentrazione non potevano più essere risolti con i mezzi del capitalismo liberale.

In principio, agli inizi degli anni '30, gli obiettivi delle principali potenze imperialiste si assomigliavano. Studi scientifici di gruppi di esperti imperialisti erano giunti alla conclusione -partendo dalla crisi economica mondiale della fine degli anni '20 - che la via d'uscita dalla crisi strutturale poteva consistere solo parzialmente nella limitazione dei meccanismi di mercato dovuta al fatto che l'intera industria e l'economia finanziaria erano sottoposti ad una certa influenza dalla creazione di cartelli obbligatori e diretti da interventi statali. La borghesia doveva quindi essere rimborsata per la sua perduta libertà con la garanzia della ripresa della produzione, con la creazione di domanda supplementare di cosiddetti beni non produttivi, cioè beni che non trovavano un impiego né per la riproduzione della popolazione (vestiti, alimenti ecc.), né per la produzione industriale. In pratica si trattava di merci d'armamento, di sprechi finanziati dallo Stato - cioè dalla massa della popolazione - e di beni di lusso.

Però i principi dell'economia di mercato dovevano cadere non solo all'interno. Sembrò infatti necessario legare strettamente a sé una gran parte del mondo in modo che lo scambio economico non seguisse le regole del mercato mondiale e le spese della ristrutturazione venissero scaricate in gran parte su queste regioni.

Nella corrispondente terminologia questo significava che la stabilizzazione del dominio imperialista era possibile solo con il controllo di una "zona egemonica" grande e gerarchicamente suddivisa: un ampio spazio economico-politico, con una struttura gerarchica metropoli-satelliti, nella quale i popoli sottomessi della periferia dovevano svolgere tre funzioni in un sistema di divisione del lavoro:

1. produrre materie grezze, generi alimentari e prodotti a basso prezzo per le metropoli;

2. essere acquirenti dei prodotti industriali dei popoli dominatori;

3. servire da gigantesco esercito di riserva a buon mercato per l'industria.

L'inasprimento dello sfruttamento del lavoro e il trasferimento della ricchezza prodotta verso le metropoli doveva rendere possibile accanto ad alti tassi di profitto per la grande borghesia imperialista anche l'elevamento dello standard di vita per ampi strati della popolazione nelle metropoli ed impedire così tentativi rivoluzionari dall'interno.

I metodi per affermare questa ristrutturazione dipendevano dalla situazione nella quale si trovava il rispettivo paese imperialista. Negli USA, che erano usciti estremamente rafforzati dalla prima guerra mondiale e che nel frattempo tenevano sotto il proprio controllo ben oltre l'America meridionale, si poterono imporre i provvedimenti di politica interna - grazie anche all'aiuto del "New Deal" di Roosvelt - nell'ambito di una limitata democrazia parlamentare. Contrariamente a questo keynesismo civile, le ricette borghesi in altri paesi, come ad esempio il Giappone e la Germania, dovevano essere più fortemente limitate, "e soprattutto in Germania, con lo sviluppo di una nuova, totalitaria forma di Stato borghese: il fascismo".

2. LA VARIANTE TEDESCA: SPAZIO VITALE - LO SVILUPPO DEL PROGETTO DI "MITTELEUROPA"

In questo paragrafo vogliamo parlare dettagliatamente di questa variante tedesca dell'intervento del capitalismo di Stato. Da un lato perché qui appare con particolare chiarezza la direzione d'urto dei tentativi espansionistici tedeschi. Dall'altro però anche perché nei documenti programmatici dell'intellighenzia economica e politica redatti sotto il fascismo tedesco vengono espressi propositi imperialisti in un linguaggio chiaro, senza veli, brutale, che secondo noi hanno una validità ancora oggi a livello mondiale, nel rapporto primo-terzo mondo.

Riallacciandosi ai progetti di Mitteleuropa, sotto il fascismo le elite tedesche svilupparono una strategia imperialista di soluzione della crisi utilizzando il concetto di "spazio vitale": la creazione di un'ampia area economica sotto il dominio della Germania. A partire dal centro - la Germania - dovevano essere creati cerchi concentrici con sempre minore grado di sviluppo economico e standard di vita e con sempre maggiore grado di sfruttamento delle risorse umane e materiali. Gli Stati immediatamente confinanti avrebbero mantenuto la propria indipendenza formale e il proprio potenziale industriale. Il cerchio successivo sarebbe stato formato da Stati semi-coloniali tenuti ad un livello di sviluppo inferiore e nel cerchio più esterno le regioni sotto l'occupazione coloniale, deindustrializzate e ricondotte ad un'economia meramente agraria.

Dal punto di vista geopolitico la parte principale di questo ampio spazio da conquistare non poteva che essere situato ad est. Hitler si espresse a questo riguardo nel modo seguente: "Le 'Indie' della Germania si trovano ad 'est': la culla della potenza inglese è l'India. Fino a 400 anni fa gli inglesi non avevano nulla. Gli enormi spazi dell'India li hanno costretti a governare milioni di uomini con pochi uomini. Determinante era l'approvvigionamento di più paesi europei con generi alimentari e beni d'uso... Nella nostra colonizzazione dell'area russa il 'contadino del Reich' dovrà alloggiare in meravigliosi insediamenti. I luoghi e le istituzioni tedeschi devono avere stupende costruzioni, i Governatori palazzi. Intorno a questi luoghi si costruirà ciò che serve al mantenimento della vita. Intorno alla città ci sarà un anello di 30/40 chilometri di bei villaggi collegati con le migliori strade. Quello che c'è poi è l'altro mondo, nel quale lasceremo vivere i Russi così come loro desiderano. Solo che noi li domineremo. In caso di una rivoluzione non abbiamo che da buttare un paio di bombe su quelle città e la cosa è risolta".

Accanto ai bei insediamenti ed ai palazzi l' "altro mondo", il "mondo dei Russi". Immagini terribilmente attuali come quelle delle townships e degli slums nell'attuale Africa, Asia e Sudamerica, che formano un contrasto inumano con la ricchezza nell'America del nord e in Europa.

Per il fascismo tedesco il principio-guida per la costruzione delle "Indie tedesche" era l'esempio britannico: saccheggio economico mediante l'uso della violenza. Presupposto ne era la distruzione dell'Unione Sovietica. C'era unità tra le frazioni principali delle forze armate, le élites politiche ed economiche nel far cadere il regime sovietico ed indebolire la Russia tramite la "balcanizzazione", l'annessione di sue parti, lo spopolamento e la deindustrializzazione. "Bisogna impedire l'esistenza di ogni organizzazione statale e tenere ad un corrispondente livello culturale gli appartenenti a queste popolazioni. Bisogna partire dal presupposto che questi popoli hanno innanzitutto nei nostri riguardi il compito di servirci economicamente. Non ci saranno più colonie, che aprono la porta alle illusioni, ma solo zone economiche che verranno gestite secondo un piano ben preciso" aveva detto Himmler nel 1940.

La logica conseguenza di questo programma, che fu eseguito in modo brutalmente scoperto, fu l'utilizzo del terrorismo di Stato.

3. CONDIZIONI DI PARTENZA DELL'ESPANSIONISMO TEDESCO

La Germania partiva da una posizione di svantaggio nella realizzazione dei suoi progetti. Dalla propria sconfitta [nella prima guerra mondiale, ndt] aveva ancora un accesso limitato alle risorse dei paesi dipendenti e delle quali ogni paese imperialista aveva assolutamente bisogno. Senza l'accumulazione delle ricchezze delle colonie e delle semicolonie in nessuno dei concorrenti imperialisti poteva esserci sviluppo economico ed era impensabile la costruzione di un potenziale bellico. Questo significava che la Germania doveva basare la maggior parte del proprio armamento su crediti diretti o indiretti che potevano essere coperti solo dai futuri guadagni di guerra. Questo peso doveva naturalmente essere scaricato sui "territori dell'est": "Le vittime della guerra di aggressione dovevano poi pagare in prima persona i costi dell'aggressione".

L'annessione dell'Austria, l'annessione della Cecoslovacchia e le aggressioni alla Polonia, Belgio, Francia, Norvegia non avevano altro obiettivo che creare le condizioni economiche per poter reggere una guerra prolungata. Il lavoro forzato, lo sfruttamento spietato della forza lavoro erano quindi assolutamente necessari per compensare la mancanza di risorse.

4 PIANIFICAZIONE ECONOMICA DEI SACCHEGGI FUTURI...

Calcoli imparziali degli economisti mostravano che le risorse dei territori presi di mira dal Reich Tedesco non potevano bastare a sfamare a sufficienza le popolazioni che vi abitavano e che quindi era inevitabile sprofondare interi popoli nella fame se si voleva conservare il livello di vita desiderato nel paese centrale e se si volevano eseguire i piani militari.

In un documento di pianificazione segreto del dicembre 1941 dell'Istituto scientifico del lavoro del fronte operaio tedesco sulla "utilizzazione dei territori conquistati dal popolo tedesco" questa logica viene espressa con chiarezza: "Quando una potenza conquista un territorio nemico si trova oltre all'alternativa tra l'inserire questo territorio e la sua popolazione quale nuova provincia con pari diritti nella precedente unione di Stati oppure dominarlo come oggetto di sfruttamento, cioè costituzionalmente, e per il resto amministrarlo separatamente, anche una serie di soluzioni di mezzo... Quanto più forte è l'impronta delle popolazioni straniere in questi territori, tanto meno essi sono adatti ad essere annessi pariteticamente nello Stato originario; devono quindi essere amministrati quale bottino separato. Naturalmente questo bottino deve rivestire una qualche utilità per la maggioranza etnica. Questa utilità può avere da un lato carattere politico, in questo caso il vincitore deciderà di riunire i territori conquistati in uno Stato più o meno indipendente e si accontenterà di tenere questo Stato in un certo grado di dipendenza (esempio Slovacchia, Croazia eccetera). L'altro estremo consiste nello sfruttamento esclusivamente economico con il contemporaneo impedimento alla formazione di uno Stato indipendente nelle zone conquistate. Questo sarà il caso applicato, per impellenti motivi politici, nella maggior parte dei territori orientali conquistati..... . Per l'economia politica vale il principio che la somma della produzione corrisponde alla somma del consumo, cioè ogni economia consuma nel suo complesso quanto produce. Su questa equazione si basa ogni economia della divisione del lavoro... Se ora i territori dominati devono cedere una parte delle loro eccedenze di lavoro a favore della maggioranza etnica (i tedeschi), allora deve essere violato il principio economico formulato sopra. Gli abitanti delle zone dominate dovranno usare per loro solo una parte della loro produzione. L'altra parte deve essere destinata alla maggioranza etnica come controvalore per la sua direzione politica. Nel rapporto maggioranza etnica-Stato dominato deve prendersi in considerazione ciò che l'economia politica definiva plusvalore, quando questo si presenta quale imprenditore nei rapporti con i lavoratori".

Questi auspicati rapporti strutturali di sfruttamento tra la metropoli e la periferia corrispondono in tutto alla teoria della dipendenza che è stata formulata in riferimento all'attuale rapporto tra il primo e il terzo mondo. "Nel lungo periodo la primitiva economia di sfruttamento deve essere sostituita con un adattamento pianificato della struttura economica alle esigenze del popolo tedesco. Solo allora è assicurato un 'guadagno' del popolo tedesco", si legge ancora nel documento citato sopra.

Dopo la guerra, secondo i progetti dell'elite al potere - composta da NSDAP [partito nazista], elite economica e scientifica - la popolazione sovietica "vivrebbe ad un livello di vita così basso, che tutti i prodotti industriali, partendo dal semplice bicchiere d'acqua, vi troverebbero commercio" (Hitler). Dove c'erano delle industrie concorrenti, le economie dovevano essere "ridotte" tramite deindustrializzazione o "naturalizzazione" al necessario grado primitivo "complementare", non concorrenziale.

5 ...E LE PROMESSE PER LA POPOLAZIONE TEDESCA

In futuro si sarebbe offerto ai lavoratori tedeschi "il meglio per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di stipendio, la valorizzazione della loro forza lavoro e tutto quello che è attualmente possibile dal punto di vista tecnico". Una simile rivoluzione della produttività e del salario poteva realizzarsi però solo nella "grande area europea": "Nella grande area in futuro i lavoratori tedeschi potranno essere utilizzati solo per i lavori di maggior prestigio e meglio pagati e che permettono il maggior standard di vita possibile; i prodotti che non corrispondono a queste prerogative verranno lasciati sempre di più alla produzione dei paesi periferici. Ci prenderemo il meglio per i lavoratori tedeschi nella produzione industriale europea".

Ovvero come si legge ancor più chiaramente in un contributo scientifico pubblicato nel 1941 nella Rivista per l'economia pubblica globale: "I paesi dipendenti potranno coprire non solo il loro fabbisogno di beni di consumo di massa, ma anche in parte, a poco a poco, quello del paese-guida, mentre il paese-guida potrà dedicarsi sempre di più a quei rami industriali che richiedono forza lavoro altamente qualificata... Mentre quindi i più piccoli membri della grande area... produrranno ad esempio più articoli tessili e di pelle, più prodotti dell'industria del legno, metallurgica, siderurgica, edile eccetera a prezzi medio-bassi, la produzione del paese-guida godrà di nuovo impulso grazie alla produzione chimica ed elettrica altamente qualificata, alle macchine ed alle apparecchiature che necessitano di competenze meccaniche o particolarmente complicate, automobili o aeroplani e altri mezzi produttivi costosi..." - così Theo Suranyi-Unger nella sua relazione dal titolo "la lotta per l'economia della grande area" all'Università di Leipzig l'8/3/1940.

Questo esprime anche la quintessenza delle proposte, pubblicate dallo Spiegel nel 1992, della agenzia di consulenza aziendale Roland Berger & Soci, la seconda azienda di servizi di questo tipo in Germania. Ritorneremo su questo punto in seguito.

6 ZONE ECCEDENTARIE E ZONE DEFICITARIE: LIVELLO DI VITA A SPESE DEI PAESI DIPENDENTI

L'Europa occidentale, in particolare la Francia e il Belgio, dovevano servire da centri di investimento supplementari per il capitale tedesco; la Scandinavia e il "Protettorato di Boemia e Moravia" dovevano essere attive nella produzione di energia, alluminio e autovetture. Per l'Europa meridionale erano previste agricoltura intensiva, produzione di materie prime e una limitata produzione industriale di beni di consumo di massa; infine, la Polonia e l'Unione Sovietica dovevano diventare paesi sottosviluppati per quanto riguardava l'agricoltura e fornire le merci forza-lavoro e materie prime.

Anche qui - come evidenzieremo in seguito - ci sono degli evidenti parallelismi con la situazione attuale.

Nell'ambito di questa "struttura di sfruttamento della grande-area" tutto era legittimo e questo consentiva il maggior plusvalore possibile delle economie periferiche per la metropoli. Era possibile un certo "sviluppo dipendente" solo nella misura in cui aumentava questo plusvalore. Un elaborato dell'Ufficio Sperimentale per l'economia di difesa dell'Ente incaricato per il piano quadriennale ad esempio diceva di non avere obiezioni - in riferimento all'Europa meridionale- ad uno sviluppo economico della regione nell'ambito del settore produttivo assegnatole, se questo non limitava le rendite per la metropoli:

"... abbiamo un grande interesse a vicini economicamente stabili. Comunque dobbiamo temere una produzione eccedentaria di queste regioni, per cui non dobbiamo assolutamente contribuire ad uno sviluppo che ne aumenti il livello di vita a discapito della produzione eccedentaria che sarebbe disponibile per noi: se il livello dei consumi nei paesi dall'Europa sudorientale salisse ai nostri stessi livelli di consumo non solo diminuirebbero le eccedenze per le esportazioni dell'Europa sudorientale di generi alimentari e di foraggi, ma ci sarebbe un deficit incolmabile nell'approvvigionamento di generi alimentari e di materie prime per tutta l'Europa".

Non deve nemmeno essere un obiettivo far scomparire quella che "sta prendendo espressione nella sovrappopolazione agraria come 'disoccupazione nascosta'. Questa forza-lavoro in eccedenza potrebbe venire impegnata meglio qui da noi. In effetti la forza-lavoro eccedente del sud-est è il bene da esportazione più prezioso che quei paesi ci possono inviare già adesso e nel dopo-guerra. Sarebbe quindi da valutare se non sarebbe utile attribuire un ruolo più importante nel traffico economico tedesco-sudest europeo all'assunzione di maggiori masse di esseri umani quali lavoratori pendolari...".

In questo importante documento viene elaborato in modo esemplare quello che è essenziale per tutte le strutture e le strategie imperialiste: il fatto che l'aumento del livello di vita dei cosiddetti paesi periferici non è possibile senza diminuire il livello di vita nelle metropoli imperialiste e, al contrario, un alto livello di vita nella metropoli può esserci solo a spese della periferia. Dice su questo punto Heinz Dietrich, che si è espresso esaurientemente in un suo lavoro sulle affinità strutturali delle strategie imperialiste di soluzione della crisi negli anni '30 e le analogie con gli attuali rapporti nord-sud: "Le massime di razionalità capitalistico-economica formulate in questo modo dai tecnocrati e dai politici nazionalsocialisti non sono espressione di una loro particolare bassezza morale - in paragone ai discorsi delle attuali democrazie liberali". Documentano solo "apertamente e quindi tanto più brutalmente" le strategie, valide fino ad oggi, delle élites capitalistiche dominanti negli Stati imperialisti.

Oltre alle prime misure militari ne era programmata un'intera altra serie tesa ad affermare e consolidare la formazione della grande-area e la conquista del mercato mondiale. Di primaria importanza, per assicurarsi il predominio, era l'azione congiunta di alta finanza, grande industria e politica di intervento del capitale statale. Bisognava raggiungere una compenetrazione capitalistica tra le multinazionali concorrenziali all'interno del blocco del marco con la formazione di maggioranze azionarie tedesche, assicurazione del monopolio sulle licenze, agevolazioni fiscali e vantaggi per le grandi industrie tedesche, posizioni di monopolio sulle fonti di materie prime.

"Come è in generale necessario nei progetti imperiali o imperialisti, anche il superamento della crisi e la strategia egemonica dell' 'area vitale' dovevano essere assicurate con il terrorismo di Stato e con tecniche di dominio. Uno dei metodi utilizzati fu quello della politica di affamamento. Per rendere disponibile ai conquistatori lo spazio di insediamento all'est, la popolazione che vi era stanziata - così come era accaduto nella colonizzazione dell'America - doveva essere liquidata (Ebrei, Sinti, Rom eccetera), oppure esiliata in zone marginali, oppure trasformata in schiavi. Secondo i piani dell'Ente Centrale per la Sicurezza del Reich, dopo la vittoria sull'Unione Sovietica, dei circa 45 milioni di Europei orientali che nel 1941/42 vivevano ancora al di là del progettato confine orientale delle zone di insediamento tedesche, 31 milioni dovevano essere deportati in Siberia e il resto, nel giro di trenta anni, 'tedeschizzati'".

Come già accennato in precedenza lo stato maggiore economico-politico tedesco partiva dal "dato di fatto" che bisognava ridurre il consumo di generi alimentari all'est di modo che la Germania avesse avuto a sufficienza di che mangiare. Conseguentemente l'est venne diviso in zone eccedentarie e zone deficitarie. "Verranno promosse economicamente e tenute in ordine solo quelle zone che possono rifornirci di riserve alimentari e di petrolio". Un esempio di questo può essere testimoniato dalle generazioni più anziane: in Germania si è sofferto veramente la fame solo dopo la guerra.

I prodotti delle zone eccedentarie naturalmente non dovevano più essere a disposizione delle rimanenti regioni russe. "Non c'è alcun interesse tedesco nel mantenimento della capacità produttiva di questi territori -tranne che per quanto riguarda esclusivamente l'approvvigionamento delle truppe che vi sono stanziate-".

Di conseguenza anche ogni "trasporto di generi alimentari dal fertile sud verso il nord doveva essere ostacolato... Le popolazioni di queste zone (settentrionali), in particolare quelle delle città, dovranno affrontare il problema della fame". I tentativi "di salvare la popolazione dalla morte per fame, facendo confluire le eccedenze dalla zona della terra nera (per i territori settentrionali), potevano avvenire solo a discapito dell'approvvigionamento dell'Europa... La conseguenza forzata è la morte sia dell'industria che di una gran parte degli esseri umani nelle zone deficitarie (Russia)".

Anche in questo caso sono evidenti le affinità con le zone deficitarie dell'Africa. Naturalmente qui la morte per fame non viene progettata apertamente, amministrativamente, ma avviene attraverso il "mercato", cioè anche attraverso la politica delle multinazionali e dei loro governi. "E con i dati attuali si può prevedere in modo statisticamente preciso quante persone delle zone deficitarie dovranno morire se i banchieri di New York, Tokjo, Londra e Francoforte decidono di aumentare il tasso internazionale di sconto di un punto", così Heinz Dietrich nei suoi studi.

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L'ODIERNO "MONDO LIBERO" - L'ESSENZA DELLE STRATEGIE IMPERIALISTE DI SOLUZIONE DELLE CRISI DEGLI ANNI '30

Ci manca lo spazio per analizzare compiutamente le strategie degli USA, vincitori della seconda guerra mondiale. Riassumendo basti dire: l'imperialismo tedesco - come quello giapponese - mirava apertamente ad un "Nuovo Ordine" e si riferiva, dal punto di vista ideologico, alla dottrina Monroe, utilizzata dagli USA da 100 anni (divieto di intervento da parte di tutte le altre potenze in America), quale precedente di diritto internazionale. Gli USA invece, quale maggiore potenza e sicura erede dell'impero britannico, non potevano trarre alcun vantaggio da questo basilare riordinamento e miravano al mantenimento dello status quo.

Mentre quindi i Giapponesi cercavano potenziali alleati nelle regioni della grande-area con la parola d'ordine "l'Asia agli Asiatici" e la Germania "l'Europa per gli europei germanizzati", gli USA - insieme all'Inghilterra - che avevano da difendere una egemonia mondiale, portavano avanti uno scontro ideologico nella forma generale della difesa della democrazia e del diritto all'autodeterminazione dei popoli.

Per quanto le strategie differissero molto nella forma, l'effettivo contenuto era essenzialmente lo stesso. Le strutture mondiali che si formarono dopo la seconda guerra mondiale nella parte del mondo controllata dagli Stati imperialisti sono l'essenza di queste strategie di soluzione della crisi. Se si toglie il mantello ideologico alle relazioni tra primo e terzo mondo appaiono con chiarezza le stesse relazioni che erano state apertamente formulate dall'intellighenzia tedesca durante il fascismo.

Citando ancora Heiz Dietrich: "La situazione attuale è ancora più ripugnante di quella passata. I nazisti potevano... demagogicamente... gestire le necessità di guerra. Gli attuali centri dell'economia mondiale non si trovano né in guerra, né soffrono la mancanza di generi alimentari. Al contrario enormi somme vengono sprecate per annientare i generi alimentari eccedenti... Il capitale liberista, contrariamente al moloc amministrativo annientatore del nazionalsocialismo, uccide principalmente attraverso il mercato. Eppure, dato che gli apparati ideologici del Mondo Libero svolgono alla perfezione la loro funzione di indottrinamento, la "morte necessaria" degli esseri umani nel terzo mondo non è uno scandalo bensì una di quelle necessità triviali che colpiscono questo mondo".

Però, come hanno mostrato le guerre degli ultimi 50 anni in Africa, Asia e America, l'imperialismo non uccide solamente attraverso il mercato.

Con il crollo degli Stati socialisti dell'Europa orientale e dell'Unione Sovietica la strada verso l'est e verso il sudest è nuovamente libera. Tutto fa presumere la una maggior parte di questi paesi stia per cadere in una di quelle forme di dipendenza descritte sopra e quindi per assumere lo status di paese del terzo mondo. Dove questo non può essere ottenuto con provvedimenti politici ed economici, si destabilizzano gli Stati e si utilizza la violenza per disgregarli. La Jugoslavia, della quale parleremo subito dopo, è un esempio di tutto questo.

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GERMANIA POTENZA CENTRALE DELL'EUROPA

LA RINASCITA DEL "CONCETTO DI MITTELEUROPA"

Lo storico conservatore e biografo di Adenauer Hans-Peter Schwarz apre il suo ultimo lavoro sul ruolo della Germania quale "potenza centrale europea" con l'osservazione che tra le grandi cesure della storia tedesca è da annoverare il 1° settembre 1994, il giorno della ritirata delle ultime unità russe dalla Germania. "Così finiva un'epoca che era incominciata mezzo secolo prima". La RFT, quattro anni dopo l'annessione della RDT, è di nuovo tre in uno: uno Stato nazionale, una grande potenza europea e la forza centrale in Europa. "Perché c'è solo un paese che grazie alla sua posizione geografica, grazie alle sue capacità economiche e alla sua influenza culturale, grazie alla grandezza e grazie ad una sempre presente dinamica, può assumersi il compito di essere una potenza centrale: appunto la Germania". La Germania è già la potenza centrale dell'Europa, ovvero la grande potenza europea. Dal momento però che il concetto di grande potenza evoca all'interno come all'estero il ricordo di una sfrenata politica egemonica, della guerra e dell'annientamento, si preferisce il nuovo concetto di "potenza centrale dell'Europa".

1 SCHÄUBLE/LAMERS E IL "NUCLEO EUROPEO"

Puntualmente il giorno della grande cesura del 1° settembre 1994, il capo frazione della CDU/CSU Wolfgang Schäuble insieme al portavoce della politica estera della frazione parlamentare della CDU/CSU Lamers fecero scalpore con la pubblicazione del documento strategico "riflessioni sulla politica europea". In esso venivano formulati -e sattamente nel senso del pensiero di Hans-Peter Schwarz sulla "potenza centrale dell'Europa" - gli obiettivi della nuova politica tedesca di grande potenza e veniva richiesta la formazione di un "nucleo europeo" - con Germania, Francia e Benelux che formano il nucleo e la Germania e la Francia il "nucleo del nucleo duro" - con l'intenzione, dopo quasi 50 anni di astinenza, di entrare finalmente in scena quale potenza d'ordine continentale. Accanto alla "stabilizzazione dell'est", Schäuble annovera quali ulteriori obiettivi strategici l'area del Mediterraneo e lo sviluppo di un'alleanza strategica con la Turchia.

Questo testo di 14 pagine può essere considerato come la bozza strategica basilare per il salto della RFT al ruolo di potenza mondiale. Il suo scritto parte dal presupposto che il paese "grazie alla sua posizione geografica, alla sua grandezza e alla sua storia" è destinato ad essere una grande potenza. E se la Francia e il Benelux non dovessero acconsentire alla formazione di un nucleo europeo allora la RFT "potrebbe essere tentata, per motivi di sicurezza, a realizzare la stabilizzazione dell'Europa orientale da sola e con i metodi tradizionali". Il nuovo ordine tedesco "tradizionale" nell'est ha già portato due volte in questo secolo milioni di morti e anni di sfruttamento e devastazione bellica.

Schäuble e Lamers hanno ricevuto il sostegno per queste tesi - incontrastate all'interno della CDU/CSU - sul "nucleo europeo" da parte del portavoce del consiglio direttivo della Deutsche Bank, Hilmar Kopper, che ha dichiarato al FAZ che in quel documento si è solamente detto quello che comunque tutti "pensavano, sapevano o temevano". Il Presidente della Bundesbank Hans Tietmeyer ha tirato nuovamente fuori il concetto di "cerchi concentrici" nella discussione sul futuro della politica europea tedesca. Quello che significa è stato spiegato prima.

Al termine del semestre tedesco di presidenza della UE, il Governo Kohl, al vertice di Essen del dicembre 1994, ha deciso una "strategia di avvicinamento" per gli Stati dell'Europa orientale che ha come obiettivo l'allargamento all'est dell'Unione Europea - attualmente sono associate con la UE la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, l'Ungheria, la Romania e la Bulgaria; si stanno preparando trattati analoghi con gli Stati baltici e con la Slovenia. La RFT sarebbe lo Stato che approfitterebbe maggiormente di questo allargamento all'est, infatti spetta alla RFT il 50% del commercio UE con l'Europa dell'est. Così l'est viene visto come "lo spazio di azione della politica estera tedesca".

2 KINKEL E LA RESPONSABILITÀ NEL MONDO

Già nel marzo 1993 il Ministro degli Esteri tedesco Klaus Kinkel aveva indicato la stessa direzione d'urto in un documento pubblicato dal FAZ: "Bisogna affrontare parallelamente due compiti: all'interno dobbiamo diventare nuovamente un popolo, verso l'esterno dobbiamo riuscire in quello che abbiamo fallito già due volte: trovare un ruolo in sintonia con i nostri vicini che corrisponda ai nostri desideri e alle nostre potenzialità. Il ritorno alla normalità tanto all'interno che all'esterno...". Nel suo articolo definiva le prospettive della politica estera e mondiale della Germania: "Grazie alla nostra posizione centrale, alla nostra grandezza e alle nostre relazioni tradizionali con l'Europa centrale e orientale siamo predestinati a trarre il maggior vantaggio dal ritorno di questi Stati in Europa. Questo non vale solo per l'economia, ma anche per la posizione della lingua e della cultura tedesche in Europa [...] Con la riunificazione abbiamo fatto un investimento che per ora ci costringe principalmente a delle limitazioni, ma nel giro di un paio di anni ne sarà valsa la pena...". E infine chiede: "Adesso dobbiamo provare la nostra capacità di normalità all'interno e all'esterno se non vogliamo subire severi danni politici. Per questa normalità è necessario un posto stabile per la Germania al Consiglio di Sicurezza dell'ONU...".

3 FINE DEL BLOCCO DELL'IMPERIALISMO TEDESCO GRAZIE ALLA CROLLO DELL'UNIONE SOVIETICA

Con la fine della contrapposizione est-ovest e il dissolvimento dell'Unione Sovietica le ambizioni della politica di grande potenza verso l'est vengono discusse apertamente nella RFT e soprattutto, dopo quasi 50 anni di blocco della sua politica estera, vengono messe in pratica.

Già Friedrich Naumann sapeva perfettamente che la formazione economica della grande-area sarebbe stata possibile solo attraverso lo sfruttamento dei tentativi di indipendenza da parte di cechi, slovacchi, croati, sloveni eccetera. Secondo lui erano essenziali due elementi fondamentali: l'unione economica dell'Europa centrale e un "nucleo duro di Stati dell'Europa centrale". Attualmente questi elementi centrali sono in un certo senso l'Unione Europea e il già espresso concetto del nucleo di Stati per mezzo dei quali si deve attuare un ulteriore allargamento dell'egemonia tedesca. Dopo il 1945 questo non era possibile: "L'Europa centrale sembrava essere una pallida immagine di una storia irripetibile".

Solo negli anni '70 e '80 venne ripreso il vecchio concetto di "Mitteleuropa" che doveva essere utilizzato per destabilizzare il blocco degli Stati dell'est. Dalla metà degli anni '80 il concetto di "Mitteleuropa" venne ripreso da intellettuali di Ungheria, Croazia e Polonia molto apprezzati in occidente e nei loro paesi all'opposizione. Lo spunto era stato dato da George Bush, all'epoca Vice Presidente USA, quando - dopo un viaggio in Jugoslavia, Romania e Ungheria - tenne una conferenza all'Hofburg di Vienna nella quale propugnava una politica di differenziazione regionale con l'obiettivo di spingere all'indipendenza questi Stati; già allora si metteva in dubbio apertamente la sovranità ad esempio della Jugoslavia e veniva messa in pratica una aperta politica di destabilizzazione. Il concetto con il quale definiva questa regione - Ungheria, Slovenia, Croazia, Cecoslovacchia, Polonia ecc. - era la parola tedesca "Mitteleuropa". "Mitteleuropa" divenne per gli intellettuali di questa area una specie di parola in codice che significava che essi si consideravano parte della cultura politica dell'Occidente.

L'intellettuale socialdemocratico Peter Glotz diceva nel 1986: "Dobbiamo riconquistare l'Europa Centrale, prima come concetto, poi nella realtà". Per raggiungere questo obiettivo da parte socialdemocratica si parlava soprattutto della creazione di un corridoio denuclearizzato in entrambi gli Stati tedeschi, di una zona libera da armi chimiche in entrambi gli Stati e in Cecoslovacchia, del mitigamento delle imposizioni del COMECON per gli Stati di questa area, di una Commissione UNESCO dell'Europa Centrale per la cura dei monumenti culturali dell'Europa Centrale; tutto questo per indebolire e lentamente destabilizzare il blocco degli Stati dell'Est.

Nel 1991 lo storico conservatore berlinese Arnulf Baring pubblicò una conversazione sul ruolo futuro della Germania. "Quando saranno risolte le difficoltà della riunificazione - tra cinque, dieci o venticinque anni - la Germania non potrà evitare di penetrare economicamente l'Europa orientale e in questo modo, probabilmente, riuscirà in quello che il Terzo Reich non era riuscito a fare con alcune centinaia di Divisioni: il predominio su quegli spazi immensi tra la Vistola, Bug, Dnjepr e il Don". Questa la predizione dell'editore conservatore Wolf Jobst Siedler, il quale pensava inoltre che la Germania fosse per la prima volta di nuovo la potenza egemonica di tutta l'Europa Centrale: "Sarà per la Cecoslovacchia, per l'Ungheria e, in parte, anche per la Polonia, la potenza guida".

"Nel lungo periodo nell'Europa orientale non esisterà più de facto un effettivo Stato sovrano; tutti dovranno sottostare più o meno al diktat del Leviatano germanico. La germanizzazione dell'Europa orientale, già iniziata, non verrà eseguita con la guerra e la violenza, sarà piuttosto una versione ampliata della 'Mitteleuropa' concepita nelle prime decadi di questo secolo da Friedrich Naumann, una specie di compagine allargata dell'imperialregno", così si esprimeva il pubblicista spagnolo Heleno Saña nel 1990 nel suo libro "Il quarto Reich. La vittoria ritardata della Germania".

Le relazioni economiche con la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, l'Ungheria, la Bulgaria e la Slovenia assomigliano già oggi a quelle degli anni '30 con le loro bilance commerciali sbilanciate a favore della RFT che, accanto alla Francia, rappresenta l'effettiva potenza economica in queste aree. Il consulente aziendale tedesco Roland Berger formulò in un'intervista allo Spiegel del 1992 il ruolo della Germania nel senso della politica del "cerchi concentrici" con decrescente intensità economica e compenetrazione: "I tedeschi dovrebbero ricordarsi della propria potenza e liberarsi da tutto quello che anche altri sono in grado di fare, e per di più a minor prezzo... Noi siamo forti in tutti i lavori creativi e che richiedono conoscenze specifiche, nello scoprire, sviluppare, costruire, nel miglioramento di componenti tecnologiche e prodotti di qualità superiore... Il nostro futuro di Stato industriale è quello di un capo sistema, non certamente quello di produttore di profilati d'acciaio o di camiceria... Il mercato mondiale sta diventando un tutt'uno e per questo noi dobbiamo riorganizzare la divisione del lavoro tra gli Stati secondo il motto: l'intelligenza in Germania: più componenti da fuori e maggior montaggio in loco, all'intero e all'estero...".

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L'INTERVENTO DELLA RFT NELLA GUERRA CIVILE JUGOSLAVA

Dato che gli obiettivi dell'imperialismo tedesco nei documenti citati vengono formulati in modo relativamente chiaro, retrospettivamente si può dire anche di più sulla politica interventista dell'Occidente nella crisi e nella successiva guerra in Jugoslavia. Vogliamo quindi spiegare in breve come si sono svolti la destabilizzazione e il successivo intervento in Jugoslavia.

La parola d'ordine della politica tedesca nell'affermazione dei propri interessi nell'Europa orientale e meridionale negli anni passati è stata quella dell'"autodeterminazione dei popoli". Per questo la RFT prende spunto dai conflitti tra abitanti di lingue diverse o di opinioni diverse all'interno di uno Stato o di un'unione di Stati. Conflitti che dipendono principalmente da malgoverno o iniquità economiche - livello ineguale nello sviluppo tecnico o industriale, mancanza di beni di consumo o altro - e che vengono spacciati per conflitti etnici (l'"etnicizzazione del sociale"). Questo è avvenuto in modo esemplare nelle repubbliche baltiche dell'ex URSS oppure nelle Repubbliche slovene e croate che all'interno dello Stato federale della Jugoslavia avevano già una posizione economica dominante. "La politica della RFT si collega a queste contraddizioni interne degli Stati con l'obiettivo della disgregazione o del ridimensionamento di questo Stato o di questa unione di Stati ovvero con l'obiettivo dello scioglimento o della secessione di una parte di queste unioni di Stati". Questo solo con l'obiettivo di annettere alla formazione della propria grande area le parti secessioniste quali entità economicamente e politicamente dipendenti.

Possiamo probabilmente attualizzare meglio queste riflessioni con l'immagine della "teoria degli aranci" del politico colonialista Paul Rohrbach: la teoria degli aranci era un programma per disgregare l'allora Impero russo nelle sue singole componenti e renderle controllabili da parte della Germania. L'Impero degli Zar, secondo Rohrbach, poteva essere diviso nelle sue componenti come un arancio: se si separa oculatamente un arancio non ne deriva un caos inutilizzabile, nessuna distruzione, ma i suoi spicchi rimangono appetitosamente intatti. Nient'altro che il vecchio "dividi e impera" sta dietro la politica della RFT: "disintegrare la Jugoslavia con il piede di porco del riconoscimento della Croazia e della Slovenia" nel dicembre 1991 non aveva comunque niente a che fare con l'"umanitarismo", i "diritti umani" o con il "diritto all'autodeterminazione dei popoli".

Alla Slovenia e alla Croazia è stato attribuito - in modo simile a quello che è accaduto negli Stati baltici rispetto all'Unione Sovietica - una particolare funzione nella divisione del lavoro e nell'approvvigionamento del resto del mercato interno in Jugoslavia. Quali regioni industrializzate nello Stato federale jugoslavo a poco a poco il livello di vita è salito rispetto alle altre regioni. Quando questo sviluppo si è arrestato, durante la crisi politica ed economica degli anni '80, si è diffusa progressivamente l'opinione che le relazioni di scambio che erano esistite sino ad allora con le Repubblica "più povere" - ovvero con la Serbia e il Montenegro - costituissero un intralcio per aumentare il proprio livello di vita; le restanti Regioni, cioè il mercato interno, vennero percepite come un peso morto e si vide una prospettiva nell'entrata nel mercato comune europeo ovvero nel mercato mondiale nel momento in cui la propria economia si fosse liberata dalle intralcianti "catene" del mercato interno.

Che la strada della Croazia e della Slovenia verso l'"autodeterminazione" sarebbe stata una strada verso la rovina era stato pronosticato già nell'estate del 1991 dal FMI e dalla Banca Mondiale. Il Vicepresidente della Banca Mondiale Wapenhans aveva affermato all'epoca: "Secondo noi non esiste alcun dubbio che nessuna delle componenti della Jugoslavia nel breve e nel medio periodo possa approfittare della disgregazione della Jugoslavia o della sua economia". Indirettamente aveva ammesso che per le singole regioni - quindi anche per la Croazia e per la Slovenia - una base di sussistenza si fondava sul mantenimento dello Stato federale jugoslavo, cioè sul suo mercato interno, piuttosto che su uno status di "indipendenza" sciolto da questa base comune che sfociava inevitabilmente nel collegamento con la grande area europea-tedesca.

1 LA POLITICA ESTERA TEDESCA FORZA LA DISGREGAZIONE DELLA JUGOSLAVIA

Dipende anche dalla continuità storica che l'orientamento verso la Germania abbia trovato il favore e l'appoggio di gran parte della popolazione croata e slovacca. Il passato legame di "divisione del lavoro" con l'economia del Reich tedesco, ovvero della grande Germania, è ricordato sicuramente come vantaggioso da gran parte della popolazione. L'odierno Presidente croato Tudjman è riuscito quindi a trovare numerosi sostenitori promettendo che al distacco dallo Stato federale jugoslavo sarebbe seguito "l'appoggio" della CEE e in particolare di un vecchio amico: la Germania. Slogans anticomunisti hanno fatto il resto.

Nell'agosto 1992, sulla rivista "The New Yorker", il giornalista USA John Newhouse aveva scritto che "Genscher era in contatto quotidiano con il Ministro degli Esteri croato. Incitava i croati ad abbandonare la Federazione e a dichiarare la propria indipendenza". E questo anche se i leader politici della Bosnia spingevano i governi occidentali a posticipare il riconoscimento della Slovenia e della Croazia, altrimenti essi stessi sarebbero stati costretti a richiedere la propria indipendenza. Essi stessi dicevano che la loro sicurezza consisteva nel fatto di essere parte di uno Stato multinazionale. Nel novembre 1991 il Presidente bosniaco Alija Izetbegovic aveva fatto visita all'Ufficio per gli Affari Esteri di Bonn. Si opponeva alla politica del riconoscimento perché era convinto che avrebbe "aizzato" i serbi e i croati all'aggressione contro la Bosnia con la conseguenza di un inimmaginabile bagno di sangue. Anche l'Ambasciatore tedesco a Belgrado considerava il riconoscimento una cattiva idea e fornì controargomentazioni a Izetbegovic per il suo colloquio con Genscher - questo è quanto riporta John Newhouse. Quello che Genscher promise a Izetbegovic non è ancora noto; comunque dopo il colloquio aveva cambiato posizione.

Ancora prima delle sanzioni ufficiali da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, la RFT, poco prima dell'inverno antecedente al riconoscimento della Croazia e della Slovenia, aveva attuato un blocco unilaterale dei trasporti nei confronti della Repubblica Federale Jugoslava. Puntualmente, nel Natale 1991, seguì il promesso riconoscimento - e la prevedibile escalation della guerra civile jugoslava che dura fino ad oggi. Con il prematuro riconoscimento delle repubbliche secessioniste della Jugoslavia - contro gli accordi con i suoi alleati occidentali - l'imperialismo tedesco manifestò solo la fine del suo "blocco", il ritorno alla "normalità" e la rinnovata ascesa verso il potere mondiale. Il 19 dicembre 1991 dovremmo quindi segnarcelo sul calendario - come il 1° settembre 1994 di Hans-Peter Schwarz - come una delle "più importanti cesure" della storia tedesca.

LA JUGOSLAVIA E LA "NORMALIZZAZIONE" DELLA STORIA TEDESCA E DELLA POLITICA QUOTIDIANA

La discussione sul riconoscimento e il successivo dibattito sulla Bosnia sono stati nel segno dell'obiettivo statale della "normalizzazione" dall'alto che doveva porre fine alle limitazioni alla politica estera della Germania durate per quasi 45 anni.

Dal punto di vista della politica interna, dall'inizio della guerra in Jugoslavia è stata realizzata una "quasi-normalizzazione del nazismo per mezzo della moltiplicazione delle sue forme di espressione". I reportage tedeschi perseguono l'obiettivo di creare "una, due, molte Auschwitz" per gettare finalmente nella pattumiera della storia dodici anni della propria storia: così ci sono "i campi di annientamento serbi", "i campi di concentramento", "la Grande Serbia", "la soluzione finale serba" e "la follia della razza dominatrice serba", che dovrebbero coprire la storia tedesca. Con l'istituzione di un Tribunale Internazionale per punire i crimini di guerra, nato su iniziativa della RFT, si tenta di relativizzare da parte tedesca la "vergogna di Norimberga". Naturalmente Bonn nega la corresponsabilità nei crimini e nella guerra in Jugoslavia. Nella versione ufficiale c'è solo un gruppo di responsabili e di criminali in questa guerra: i Serbi. Il vero obiettivo dell'arresto e del processo contro il serbo Dusco Tadic - che viveva a Monaco - è stato spiegato in una trasmissione speciale del ARD dall'avvocato di Amburgo che ha portato le autorità federali sulle sue tracce: Tadic non sarebbe altro che il guardiano di un campo di concentramento. Tramite lui si volevano colpire Himmler, Karadzic, Hitler e Milosevic.

Questo tipo di demagogia e di revisionismo storico ha spinto - come già detto - il giornalista americano David Binder, di idee piuttosto conservatrici, in una sua valutazione giuridica della guerra in Bosnia, a porre anche Kohl e Genscher nella lista dei criminali di guerra "perché hanno preso delle decisioni che hanno ampliato ed approfondito la guerra".

Con il riconoscimento dell'anticostituzionale secessione delle Repubbliche jugoslave i politici tedeschi, ovvero occidentali, sono riusciti ad internazionalizzare un conflitto meramente interno e ad impegnarsi apertamente nell'intervento per la "sicurezza della pace". Genscher ha potuto addirittura presentarsi come un difensore dei diritti umani esortando gli alleati europei al riconoscimento: "Anche in futuro la Germania sarà dalla parte dei diritti umani, dei diritti delle minoranze e del diritto all'autodeterminazione contro le aggressioni e l'oppressione... Si chiede alla Comunità Europea di aprire una prospettiva futura ai popoli della Jugoslavia". Se nell'introduzione aveva ancora sottolineato che la decisione sul proprio futuro era esclusivamente un problema dei popoli jugoslavi, poi ammoniva espressamente: "Non possiamo lasciare sole le Repubbliche indipendenti. Non dobbiamo spingerle nell'isolamento nazionalstatale!". Così era riuscito ad imprimere al "futuro dei popoli jugoslavi" una prospettiva europea, con l'obiettivo - come già detto - di disgregare o di ridimensionare questi Stati per potere aggregare alla successiva formazione della grande area queste parti come formazioni economicamente e politicamente dipendenti all'interno della gerarchia di Roland Berger citata prima.

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NUOVAMENTE ATTUALE: "CERCHI CONCENTRICI DI DECRESCENTE ATTIVITÀ ECONOMICA"

Il 'Corriere Commerciale' descriveva così, nel 1991, lo sviluppo economico dell'Europa: "L'economia politica insegna che la dinamica economica non si sviluppa mai a macchie ma si determina di regola in centri le cui attività poi si propagano per cerchi. Così lo sviluppo economico del continente europeo dovrebbe seguire il seguente percorso: i centri dell'Europa centrale si propagheranno verso est e comprenderanno dapprima gli ex Stati satellite. Solo in seguito verranno raggiunte le confinanti regioni del Regno Sovietico. A prescindere da prevedibili centri industriali propri nel territorio dell'Unione Sovietica, si formeranno intorno all'Europa centrale cerchi concentrici con decrescente attività economica il cui livello di produttività dipenderà dai contatti con l'Europa...".

Per poter meglio influenzare e controllare questi "cerchi concentrici con decrescente attività economica" è stata disgregata la ex Repubblica Federale Socialista Jugoslava sotto la parola d'ordine dell'"autodeterminazione".

"L'attuale politica d'intervento contro la Jugoslavia, contemporaneamente all'attuale formazione dell'opinione pubblica all'interno della RFT, non si trova ancora allo stato della guerra (dichiarata, n.d.a.), ma mira al raggiungimento della capacità bellica e ciò sia verso l'esterno che verso l'interno".

Come questo si svilupperà, lo mostrerà questa esposizione che sta assumendo nuova attualità: "Le circostanze mi hanno costretto per decenni a parlare solo di pace. Solo continuando a rimarcare la volontà di pace e le intenzioni pacifiche tedesche mi è stato possibile conquistare pezzo dopo pezzo la libertà al riarmo per il popolo tedesco, premessa necessaria per il passo successivo... Adesso era solo necessario preparare psicologicamente un poco alla volta il popolo tedesco e fargli lentamente capire che ci sono delle cose che se non possono essere conquistate con mezzi pacifici, ma devono essere conquistate con la violenza. Per questo però non era necessario diffondere la violenza per se stessa, bensì far balenare innanzi agli occhi del popolo tedesco gli avvenimenti di politica estera di modo che nelle menti delle masse si sarebbe fatta strada a poco a poco una convinzione: se non funziona con le buone, allora funzionerà con le cattive". Così Adolf Hitler alla stampa tedesca il 10/11/1938.

La sistematica messa a fuoco, costitutiva di un'opinione pubblica, sugli avvenimenti di politica estera - in modo tale che una gran parte della popolazione chieda alla fine azioni di violenza contro un altro Stato - è una componente essenziale della propria capacità bellica. Dobbiamo capirlo ed analizzare sotto questo aspetto anche gli ultimi tre anni della politica in Jugoslavia.

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CONSIDERAZIONI FINALI

L'economista egiziano e teorico marxista Samir Amin ha ultimamente illustrato quali compiti ci si pongano oggi in concreto: "L'intromissione del nord negli affari del sud è sotto ogni punto di vista, in ogni tempo ed in ogni forma (e soprattutto quando si tratta di un intervento militare violento oppure politico), negativo. Gli eserciti occidentali non porteranno mai ai popoli dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina pace, benessere o democrazia. In futuro, così come da cinque secoli, non potranno che portare schiavitù, sfruttamento del loro lavoro e delle loro ricchezze, negazione dei loro diritti. E' compito delle forze progressiste occidentali comprenderlo".

Mentre in passato ampie parti della sinistra solidarizzavano con i movimenti di liberazione, puntavano il dito sullo sfruttamento dei paesi del cosiddetto Terzo Mondo e manifestavano contro il FMI e la Banca Mondiale, oggi si è sviluppata in occidente una cultura sciovinista che non nasce da ambienti conservatori o nazionalisti, bensì dal cuore della sinistra liberale - il luogo politico dove un tempo si annidavano i movimenti pacifisti. Sorprendentemente la consapevolezza che la Germania è una grande potenza che tenta di affermare ad ogni costo i propri interessi è completamente scomparsa in Germania, anche all'interno della sinistra. Allo stesso modo il concetto di imperialismo (soprattutto in riferimento alla società tedesca) non ha più alcun significato, per così dire, non è più di moda.

E così non erano le sparate cariche d'odio del signor Reißmüller nel FAZ, oppure le storie dell'orrore del deputato parlamentare della CDU Stefan Schwarz che hanno fatto in modo che dopo lo scoppio del conflitto in Jugoslavia nella RFT (e anche in altri paesi europei) si alzassero ad ogni angolo appelli all'intervento occidentale contro i serbi. Erano partiti come i Verdi e giornali cosiddetti liberali (di sinistra) come il TAZ, la Frankfurter Rundschau, Die Zeit, il francese Libération, il britannico Guardian a diffondere quel panico antiserbo che distorce ancor oggi, da parte degli intellettuali dell'Europa occidentale, la comprensione del conflitto. I movimenti pacifisti e terzomondisti giocano un ruolo non indifferente nel rendere popolari gli interventi occidentali nei paesi del Tricontinente. Da questa parte sono infatti pervenute la maggioranza delle proposte, ad esempio, di porre fine al conflitto jugoslavo con l'intervento (militare o non-militare). Purtroppo questi movimenti hanno dimenticato il vecchio slogan in uso durante la prima guerra mondiale: "Il nemico si trova nel proprio paese"; per questo la protesta non è indirizzata contro lo sciovinismo occidentale nei confronti di altri popoli, né contro l'intervento del proprio Stato negli affari di altri Stati ugualmente sovrani. Invece, ad esempio, le campagne dell'opposizione antimilitarista sono indirizzate principalmente contro l'esportazione di armi: quindi contro la cessione di armi a regimi considerati particolarmente terribili e non contro il militarismo tedesco. Il messaggio di queste campagne oggi non può che essere: ci sono due ordini di Stati, quelli il cui possesso di armi è legittimo e non problematico (l'occidente) e quelli a cui esso è proibito (i paesi del cosiddetto Terzo Mondo). Naturalmente questo non viene detto così apertamente, ma si legge tra le righe.

Un "movimento pacifista" che non combatte il militarismo e lo sciovinismo del proprio paese, ma che anzi chiede al proprio Stato di intervenire negli affari di un altro popolo non c'era mai stato prima d'ora. Bisogna dirlo con tutta chiarezza. E coerentemente bisogna riportare all'ordine del giorno della politica della sinistra la vecchia parola d'ordine di combattere il nemico nel proprio paese, contro ogni forma di iniziativa bellica interna ed esterna sia essa economica, politica, militare od ideologica.

Con riferimento al conflitto in Jugoslavia questo significa concretamente prendere posizione contro ogni forma di intervento e pretendere che queste finiscano. Perché ,come dice Samir Amin, l'intromissione dell'imperialismo non può mai portare pace, benessere o democrazia. Questa deve essere l'inalienabile posizione di partenza di un lavoro internazionalista e antimperialista a partire dal quale deva partire il dibattito sulle richieste e sulle prospettive politiche. E' tempo che lo capiamo.

Heidelberg, marzo 1995

Arbeitskreis antiimperialistische Sollidarität

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