QUADERNI DI CONTROINFORMAZIONE N.12 - FEBBRAIO 1995

MESSICO E RIVOLUZIONE
SPUNTI DI ANALISI MARXISTA

Il materiale che segue è la registrazione di parte di un incontro con un Economista della UNAM (Università Nazionale Autonoma del Messico), messo a disposizione dal Comitato Internazionalista 'Che Guevara' di Bologna.

Mi presento politicamente. Non sono un militante dell'EZ o di altre organizzazioni o partiti, ma come marxista lavoro da 25 anni sul punto di vista dell'economia politica. Lavoro con un gruppo di amici di Città del Messico in uno spazio nella Facoltà di Economia chiamato "seminario del Capitale". E' un lavoro che punta al recupero del lavoro di Marx. D'altra parte, militando nel movimento operaio e studentesco, ci è sembrato fin dagli anni '70 che fosse molto importante affinare la nostra percezione dello sviluppo capitalistico perché da questo dipende un'azione politica più pertinente.

Durante tutto il secolo XX la teoria di Lenin sullo sviluppo capitalistico come teoria dell'imperialismo ha stabilito una serie di punti come piattaforma d'azione. Ha affermato che il capitalismo si trova nella sua fase ultima, quella della decadenza, che significa che il capitale si trova in una situazione di debolezza. Per questo si agisce rispetto a questa supposta debolezza.

Oggi, alla fine del secolo XX, chi è debole siamo noi. Per questo dobbiamo pensare in maniera autocritica rispetto alla visione che abbiamo del capitalismo. Quindi, al di là di una o dell'altra prospettiva politica, in uno spirito fraterno, ci sembra che oggi sia necessario porre il problema, senza settarismo. Secondo noi il miglior pensatore, per concepire una teoria dello sviluppo capitalistico nella lotta rivoluzionaria continua ad essere Marx.

Il mio lavoro di ricerca teorica marxista si centra appunto su come concepire una teoria dello sviluppo capitalistico in un confronto con le diverse teorie dell'imperialismo, cioè con Bucharin, Hilferding, Lenin, Luxemburg, Grosman, con la teoria classica dell'imperialismo che si è sviluppata nelle prime tre decadi del XX secolo e con le teorie del capitalismo monopolista di stato, con Mandel (teoria del tardo-capitalismo), con le teorie regolazioniste francesi, che sono comunque legate alla teoria dell'imperialismo. In questa prospettiva ci pare che tutte queste teorie non riescano a spiegare la complessità dello sviluppo capitalistico del XX secolo, la complessità con cui nel XX secolo si siano sviluppate forme di controllo di tutta la popolazione e del movimento operaio.

Il nostro lavoro è totalmente rivolto a comprendere criticamente queste forme. Più recentemente, da sei - sette anni, ci siamo organizzati con altri compagni dell'università, cominciando a ricercare come il capitale mondiale si sviluppi su scala planetaria. In questa ottica cerchiamo di aprire uno spazio di ricerca e discussione che possa superare il modo in cui si riflette oggi sullo sviluppo capitalistico, cioè come un mercato mondiale, messo a fuoco guardando soprattutto il capitale finanziario, il FMI, la circolazione dei crediti, la struttura del debito internazionale, le relazioni fra le borse valori.

Tutto questo ci pare importante, ma ci pare racchiuda un feticismo molto complesso, perché parte da una messa a fuoco "circolazionista", che non prende come punto di partenza il processo di produzione, che non affronta come problema teorico lo sviluppo delle forze produttive.

Questa mi sembra la prima deficienza importante delle teorie sull'imperialismo del XX secolo. Durante il XX secolo non c'è nessuno studio di valutazione diretta di come si siano sviluppate le forze produttive.

Abbiamo una serie di riferimenti vaghi che presuppongono sempre un feticismo tecnologico, si sottolinea che la tecnologia è progredita molto, si pensa alla tecnologia aerospaziale, microelettronica, al complesso militare/industriale. Ma questa non è una riflessione critica dello sviluppo tecnologico, che si collochi sul piano in cui Marx ha pensato il problema.

Per Marx il problema dello sviluppo tecnologico è il fondamento materiale dal quale si costruisce la rivoluzione comunista. Non si può avere il comunismo senza automatizzazione del processo di lavoro, senza una ricchezza materiale abbondante, e sebbene in Europa esista tale ricchezza, non sappiamo se queste forze produttive sono sufficienti per generare questa abbondanza per la totalità del pianeta.

Per Marx la lotta di classe deriva da questa scarsità delle ricchezze materiali, non da principi metafisici. Quando Marx pensa che è necessario dare il colpo della rivoluzione comunista alla fine del secolo XIX in Europa, ha un'idea geografica della rivoluzione comunista molto precisa. E' cosciente che questa rivoluzione sarebbe solamente in un'isola del mondo, è cosciente che il grande pericolo di fare la rivoluzione nell'isola d'Europa (ciò è scritto in molti documenti) è che la borghesia organizzi nella periferia eserciti di mercenari, che sfrutti la povertà di questa popolazione periferica per organizzare il saccheggio dell'Europa e dell'esperienza comunista.

Per lui è importantissimo in primo luogo il problema di come si possa fare la rivoluzione nel centro e di come poi questo centro possa in realtà gestire in maniera umanizzata lo sviluppo delle forze produttive nella periferia, compiere la funzione della borghesia nella periferia, senza gli aspetti selvaggi di questa borghesia. Si tratta di una posta alta, con il rischio che tutto il processo rivoluzionario possa rimanere paralizzato.

Dalla morte di Marx nel 1883 allo sviluppo delle teorie dell'imperialismo, cioè nei 20 anni del passaggio del secolo, il capitalismo è passato dal controllo d'Europa al controllo del mondo. Quelle che erano forze produttive sviluppate per poter costruire una rivoluzione comunista nel centro, diventavano forze produttive molto deboli che dovevano accollarsi il compito di cominciare a dominare tutta la sfera planetaria.

Pensando a questo problema del salto delle forze produttive del centro alla totalità del pianeta, l'idea del tempo storico di Marx è molto importante nel senso che ciò che sembra un capitalismo moderno, nel momento del superamento di queste misure territoriali in effetti è un capitalismo che sta tornando al secolo XVI, perché ha di fronte un compito gigantesco per sviluppare le forze produttive.

Fino a qui sto parlando delle idee di Marx.

Questo insieme di problemi non sono ripresi dalle teorie dell'imperialismo. Fondamentalmente, la problematica dello sviluppo delle forze produttive e tecniche sviluppate per generare una ricchezza materiale abbondante nella totalità del pianeta è un problema teorico che non appare nella riflessione economica, politica e culturale della sinistra. Per me è uno dei grandi vuoti nella riflessione marxista contemporanea. Su questo tentiamo di organizzare un gruppo di ricercatori a Città del Messico: il compito è gigantesco e il nostro lavoro è molto modesto. Penso che sia un lavoro da sviluppare collettivamente con i comunisti di tutto il mondo. Il nostro lavoro è consistito e consiste nel fare ricerca sulle forze produttive in tutto il mondo seguendo due differenti linee. In primo luogo vedere come si sviluppa l'automazione del processo di lavoro e allo stesso tempo che metodi di espansione territoriale ha questa automazione. D'altra parte non ci interessa ricercare solo sulla tecnologia di punta, ma qual è in termini generali la tecnologia che stringe la totalità della sfera planetaria, quali sono le contraddizioni dello sviluppo capitalistico che genera. Per questo abbiamo deciso di costruire un concetto, quello di "produzione strategica", che non è inteso come usualmente si intende la parola, cioè non si pensa ad un concetto militare ma economico. Esistono alcuni punti focali all'interno del processo di lavoro dai quali dipende tutto lo sviluppo della restante tecnologia. Quindi ci interessa ricercare come il capitale comprende e controlla questi nuclei strategici. Questo perché permette di chiarire un problema più congiunturale, meno strutturale, la relazione del potere oggi, come il potere si organizza intorno al controllo di questi nuclei strategici.

Si è parlato molto della caduta dell'egemonia nordamericana, ma senza dubbio, tutte le volte che apriamo il giornale, oltre alla crescita del debito americano, oltre alla crisi della produttività USA, la realtà è che in termini economici, politici e militari, l'egemonia USA continua ad essere il centro per un tempo che non è ben chiaro quando terminarà.

E' nel contesto personale di questa problematica alla quale mi dedico, (che è riunita in un libro che è appena stato pubblicato in Messico : "Produzione strategica e economia mondiale") che è cominciata la guerra del Chiapas, e allora mi è parso importante rapportare a questa realtà nuova la riflessione precedente.

La mia riflessione sul Chiapas è molto più inesperta, è un'esperienza quotidiana, immediata.

Per molti anni si è discusso fra i marxisti in Messico sul problema della questione contadina, sulla teoria della rendita in Marx e sul ruolo dei contadini nel processo rivoluzionario in Messico.

Questo si discuteva quando ancora i contadini erano il 60% della popolazione. Nel 1994 erano il 27% della popolazione. Era una specie di discussione su cui ci si era arenati. I "campesinisti", che insistevano sul problema dei contadini e degli indigeni, hanno posto un problema teorico che non aveva nessun precedente. Io non so se questa situazione possa dargli ragione, ma è chiaro che il problema di cui parlavo era importantissimo.

All'inizio di quest'anno, in base a quello che è successo, è ripresa questa discussione.

In Messico abbiamo cercato di riguadagnare il tempo perso editando una rivista che è uno spazio per tutti i differenti marxisti e per la gente della sinistra radicale, ricercatori della problematica contadina e chiapaneca. Una rivista non settaria che cerca di capire come funziona la logica dell'accumulazione di capitale nella regione e in Messico. Nello stesso tempo abbiamo sospeso questa ricerca sull'economia mondiale non perché la consideriamo conclusa, ma perché ci sembra più importante passare a riflettere sulla logica dell'accumulazione di capitale in America del Nord e la riflessione sulla forza lavoro in Nord America.

Questa è la mia autopresentazione, perché sappiate con chi state parlando.

C'è un'altra linea di lavoro: per noi il XX secolo non è solo il secolo nel quale il capitale controlla tutta la sfera planetaria dove finalmente può terminare una globalizzazione del processo di lavoro. Come se il capitalismo avesse compiuto un lunghissimo cammino per tornare al punto di partenza: prima globalizzare tutto il commercio, poi tutti gli investimenti, poi tutto il capitale finanziario per poi, solamente dopo questa accumulazione gigantesca, poter finalmente globalizzare ciò che era il punto di partenza cioè il processo di lavoro. Questo è molto importante perché ci mostra che il capitalismo sta appena iniziando una grande epoca...

Oltre a questo, il capitalismo ha sviluppato un altro grande lavoro storico durante il XX secolo.

Durante il XIX secolo ha imposto il controllo reale del processo di lavoro (ciò che Marx chiama la sussunzione reale del processo di lavoro), creando una civilizzazione materiale, una rivoluzione industriale, un insieme di valori d'uso nuovi che garantiscono l'automatizzazione progressiva del processo di lavoro (questo è il dominio reale del processo di lavoro).

Se nel XIX secolo ha perfezionato il dominio reale del processo di lavoro, nel secolo XX ha sviluppato il dominio reale del processo di riproduzione. Prolungando un po' di più le parole di Marx, potremmo dire che durante il XX secolo ha sviluppato una sussunzione reale del consumo. Così come il dominio del processo di lavoro si è basato sull'adeguamento delle forze produttive tecniche, il dominio del consumo ha bisogno dell'adeguamento di altri tipi di forze produttive.

Engels le chiama "forze produttive procreative", cioè le forze produttive tecniche sono quelle che producono oggetti, le forze produttive procreative sono quelle che producono soggetti.

I soggetti si riproducono sessualmente, con la conversazione, con l'interrelazione soggettiva, con tutti gli ambiti con cui si forma la mente, che fa parte del corpo. Con tutto ciò che concerne la produzione del corpo e della coscienza: la riproduzione della forza-lavoro.

Tutte queste sono forze produttive procreative e durante il secolo XX il capitalismo le ha sussunte realmente. Ha sviluppato una nuova sessualità, una nuova forma delle relazioni fra uomo e donna, fra padre e figlio; ha trasformato lentamente e totalmente la struttura familiare, dall'inizio della proletarizzazione della donna nel secolo XIX alla massificazione della proletarizzazione della donna nel secolo XX. Ha trasformato completamente la morale, che fa parte delle forze produttive procreative, ha trasformato lo spazio domestico nei suoi contenuti tecnici, automatizzandolo completamente, ha modificato i contenuti dell'alimentazione, la vita quotidiana, la salute. Il nostro corpo è completamente differente dal corpo dei lavoratori del secolo XIX.

Se non siamo hegheliani, il cambiamento del corpo significa anche cambiamento della mente. La mente non fluttua nell'aria, pensa e sente in base al corpo. La manipolazione della produzione del corpo è anche la manipolazione della produzione della mente, ne è la base materiale. A noi non pare che il capitalismo sia potente solo perché manipola l'informazione, la produzione di segni, perché domina la televisione, il discorso, la produzione di semiologia.

A noi pare che tutto questo, che è dominio reale, abbia un substrato più elementare, più basico, più ovvio, ma meno studiato: ciò che il capitalismo fa è la manipolazione materiale del corpo. Per consumare oggetti non c'è bisogno di televisione, basta solo consumare questi oggetti.

Ogni oggetto ha in sé il suo valore d'uso e la manipolazione necessaria perché tu possa diventare schiavo dell'oggetto. Mangiando certi alimenti si diventa schiavi di questi alimenti. Portando avanti una sessualità di un determinato tipo si diventa dipendenti da una serie di oggetti materiali. Avendo un'esperienza quotidiana del piacere, un'esperienza moderna, capitalista, che reprime l'esperienza del piacere, si diventa narcodipendenti da altre forme secondarie di piacere. Gli oggetti hanno questa struttura materiale: una realtà che implica tutta una rete di dominio.

Questa è ciò che chiamiamo sussunzione reale del consumo. In riferimento a questa, la nuova popolazione del capitalismo moderno, come i luddisti del XIX secolo, ha cercato di rispondere spontaneamente. Così si capisce lo sforzo di creare nuove forme di vita quotidiana, il bello sforzo delle comunità degli anni '60. Però, come i luddisti del XIX secolo, fecero lo sforzo spontaneamente, senza capire a fondo la grandezza del nemico col quale si scontravano.

Bene, questo lavoro ha 15-20 anni di riflessione. E' un lavoro che deve servire anche a creare forme di organizzazione di lotta. Ma questo forse è più lontano dalla problematica del Chiapas e più vicino alla vostra.

Chi vive a Città del Messico vive con un piede nel primo mondo e un piede nel terzo. Per le strade di Città del Messico, per me che sono un salariato come voi (lavorare all'Università a Città del Messico non è come lavorare all'Università qua in Italia), si incontrano forme di povertà estrema del terzo mondo: migliaia di bambini che non mangiano durante il giorno, che cercano di lavare le macchine; incontri disoccupati che ti assaltano da tutti i lati. Ma quando torni a casa, o all'Università, o in certi posti, la società è completamente del primo mondo. In più questi bambini così poveri si trovano nella città più inquinata del mondo dalle industrie, dalle automobili e per una serie di problemi legati alla "modernità". (...)

Per questa situazione storica particolare che si vive a Città del Messico noi cerchiamo di affrontare tanto i problemi di espansione del capitalismo nel mondo, ma anche i problemi di subordinazione del processo globale di riproduzione. Passare dalla lotta in Chiapas a forme di lotte adeguate su scala mondiale, mi sembra un passaggio che tocca questi due problemi. Passa dal problema del controllo del capitale sul processo di lavoro a quello della riproduzione.

Questa è l'idea di cui pensavo di parlare oggi. Comincerò con degli esempi dell'esperienza immediata della lotta in Messico.

A Città del Messico tutti hanno la televisione, anche i più poveri: è un regno di contrasti. La televisione non c'è nelle comunità indigene, ma ci sono le radio. Già negli anni '70 in Chiapas l'ideale di un Totzil era un cinturone con una grande fibbia e una radio. Il controllo della riproduzione ha come pietra miliare il controllo dei media: essi non sono il fondamento, ma il risultato, l'espressione ultima di un lavoro molto più profondo. In Messico abbiamo un problema simile al vostro con Berlusconi. Da noi Emilio Ascarraga (un messicano) è il capitalista che apparentemente organizza la vita politica, che ha il monopolio della TV latinoamericana. Il controllo dei media in Messico è molto importante, come lo sviluppo delle strade.

Attraverso i mezzi di comunicazione il capitalismo sta regolando lo sviluppo delle forme di consumo, sta sostenendo il controllo di tutto il processo di riproduzione della forza-lavoro.

Tanto i disoccupati del distretto federale, i lumpen, che la forza lavoro rurale, anche se non sono stati incorporati nel lavoro industriale, certamente sono entrati già sotto il controllo del processo di riproduzione. Questo è molto importante per capire la problematica del terzo mondo.

E' un paradosso. Gli indigeni del Chiapas non sono proletarizzati, ma vivono la realtà di un controllo globale del processo di riproduzione capitalistico. Per collocare la problematica chiapaneca, bisogna ubicarla nel controllo del processo globale di riproduzione. Tutto lo spazio geografico chiapaneco si organizza intorno alla rendita della terra che garantisce la fornitura di materie prime. Allo stesso tempo questi indigeni, che fanno parte in questo senso dell'accumulazione di capitale, hanno costantemente una relazione con il mercato.

Consumano radio, alimenti, sistemi di salute occidentali (gli stessi alimenti generano malattie), perdono i loro sistemi di salute tradizionali, non solo perché consumano oggetti, ma perché la stessa accumulazione di capitale li ha sradicati dai loro luoghi. Tutti gli indigeni zapatisti non vivono in quella regione da 500 anni. Furono costretti ad emigrare dalle montagne, e 20, 30 anni fa sono finiti nella selva tropicale. Non conoscono le piante di quella zona, così la loro medicina tradizionale è sparita. Hanno cominciato a mangiare zucchero bianco, che causa molte malattie. Hanno malattie molto gravi. Questo è un problema di sottomissione del consumo. Allo stesso tempo hanno tutte le altre malattie del terzo mondo.....

Le immagini che produce il capitalismo sono potentissime, muovono azioni storiche gigantesche. Gli indigeni chiapanechi non vogliono tornare alle loro forme tradizionali, le indigene dell'EZ vogliono lavatrici, per non stare tutto il giorno nel fiume a sfregare la roba. Sono incorporati in una logica di consumo completa.

Non si può capire la loro modernità se non si tiene conto che attraverso le radio hanno ascoltato tutta l'esperienza politica del Centro America. Hanno vissuto nella regione dove arrivavano tutte le radio guerrigliere, la radio cubana e tutte le radio locali.

Quando arrivano nelle città queste realtà sono più intense: le merci sono più care e più potenti, gli oggetti in quanto tali hanno più potere di generare dipendenza.

Gli indigeni vivono tutta la violenza del capitalismo come violenza che entra attraverso il controllo del processo di riproduzione e che si combina con il vecchio controllo del processo di lavoro, che è una forma di controllo medioevale. Lo stesso succede a Città del Messico, che è un grande apparato di controllo. Il contrasto più importante e più inspiegabile è che è la città più inquinata del mondo. E' arrivata ad asfissiare la gente, è un inferno orwelliano.

Non c'è nessun gruppo di sinistra che si ponga il problema. Il discorso sull'inquinamento è il discorso dello Stato, che ributta la palla ai cittadini, che dice che il 70% dell'inquinamento è causato dalle auto. Questo, anche se è un dato manipolato, in sostanza è vero, perché ci sono 7 milioni di auto. Ma quante di queste auto appartengono al capitale, generando plusvalore? Quante sono le auto dell'industria, del commercio, della finanza, dello Stato? Quanto veramente è il trasporto della gente? Ma a parte questo, è il capitalismo che disegna questi oggetti, è lui il responsabile.

L'inquinamento produce la perdita dell'ossigeno nel sangue, produce depressione. Senza ossigeno nel sangue scende la combattività. E' una manipolazione materiale. La gente si ribella per il Chiapas e non per l'inquinamento, è una pazzia.

Quelli che si sono ribellati a Città del Messico per il Chiapas sono le persone che vivono di più la violenza della città, cioè non solo i lavoratori delle fabbriche.

Quando parlo di città, parlo di un valore d'uso moderno, che ha a che vedere con la sussunzione reale del consumo, come gli alimenti, che sono oggetti materiali che stanno manipolando la produzione di corpi, la riproduzione della forza lavoro. Quelli che lottano di più sono i più poveri, gli abitanti dei quartieri periferici, e le loro lotte si danno nello spazio della riproduzione della forza lavoro. Sono lotte per la casa, per le condizioni immediate di vita, non sono lotte per il posto di lavoro o per il salario, ma per avere la luce, contro le imposte, ecc. Il nucleo combattivo sono le donne perché sono legate alle necessità di mantenere lo spazio domestico.

Come si spiega questa lotta? Io me la spiego come la lotta di questa grande parte dell'esercito industriale di riserva che, a differenza del XIX secolo, ora oltre a vivere l'esclusione dal lavoro, vive la sussunzione del processo di riproduzione. L'esercito industriale di riserva oggi non ha il lavoro ma ha la televisione, ascolta la radio, è nella logica del consumismo. Vive la lacerazione della sussunzione del consumo. Allora solo così si spiega la combattività di questa gente.

C'è un'analogia strutturale fra gli indigeni chiapanechi e gli abitanti delle periferie di Città del Messico: sono parte delle grandi masse marginali che tendenzialmente si incorporano nella logica dell'esercito industriale di riserva, ma a differenza dell'esercito industriale di riserva del secolo XIX vivono la violenza del processo di sussunzione reale della riproduzione.

Questo genera una analogia peculiare. Siamo abituati a pensare che questo esercito fermasse le lotte operaie, proletarie. Era l'esercito dei crumiri. Ma ciò che sta succedendo in Messico è che proprio loro sono i più combattivi, trascinandosi dietro l'esercito dei lavoratori attivi che, tra le altre cose, non hanno voglia di mobilitarsi perché sentono che possono perdere qualcosa.

Nel mondo attuale cosa può perdere un proletario? Nient'altro che le proprie catene. Ma provate a convincere un operaio. Non lo si può convincere a causa della sussunzione reale del consumo, perché crede che può perdere il suo consumo, la sua macchina, la sua casa, la sua donna, che, in un sistema così strutturato, è come perdere tutto. E' ciò che Lenin intuisce e chiama aristocratizzazione della classe operaia. Questa è una realtà molto più complessa. Non è un'aristocratizzazione: tutti abbiamo la merda fino al collo.

Gli "aristocratici" nel XIX secolo erano una minoranza della classe operaia, ma nel XX secolo siamo tutti dentro a questa logica. La risposta di ribellione si da in quei punti dove è impossibile questa logica di sussunzione del consumo.

Questa è la mia idea generale. Esistono legami oggettivi fra la lotta del Chiapas e la lotta generale del movimento operaio internazionale.

In primo luogo il terzo mondo sta diventando lo spazio dove si concentra l'esercito industriale di riserva mondiale. E' un esercito che si sta globalizzando. E' una nuova realtà, nella quale il fatto che il capitalismo domini tutto il processo di lavoro sta permettendo di convertire tutta la popolazione che era non capitalista in una popolazione capitalista, però come esercito industriale di riserva. Secondo gli annuari dell'ONU il terzo mondo è lo spazio dove si trovano più di 1.250 milioni di disoccupati e sottoccupati, cioè lo spazio dell'esercito industriale di riserva mondiale: 1.250 milioni di disoccupati contro i 37 milioni del primo mondo.

Allo stesso tempo nel primo mondo si concentra l'esercito attivo, anche se non è un'affermazione netta. Anche in Messico, Brasile, Argentina, Taiwan, esiste un esercito attivo, ma che non si può comparare a quello europeo. In alcuni posti esistono entrambe le cose, ma c'è una polarizzazione funzionale.

Il modo di articolare questi due eserciti si basa sulla circolazione della forza lavoro e sulla circolazione del capitale. Perché i disoccupati possano fare una pressione sugli occupati è necessario che siano presenti, in una maniera o nell'altra. Cioè viaggiando direttamente come emigranti, o indirettamente, come una possibilità per il trasferimento di capitali se la resistenza operaia va avanti. Il Messico occupa un ruolo strategico in questa articolazione.

La globalizzazione dell'economia mondiale di oggi incorpora i lavoratori asiatici e questo pone un problema molto importante nell'articolazione della concorrenza internazionale. Si è chiarito che durante gli anni '80 la competitività giapponese non era tanto nella tecnologia quanto nella subordinazione della forza lavoro giapponese, nel controllo all'interno della fabbrica. E molto più sottomessa è la forza lavoro indiana e degli altri paesi dell'area del Pacifico. E' una forza lavoro supersfruttata che produce prodotti tessili, elettrodomestici, le merci più economiche.

L'ingresso di queste merci in America Latina non ha nessun tipo di resistenza. Questa è una difficoltà per gli USA e l'Europa per mantenere l'egemonia internazionale. L'egemonia del capitale dipende dai guadagni straordinari nei settori di punta, che dipendono dalla tecnologia avanzata, ma anche dal supersfruttamento. Gli USA competono con Europa e Giappone con la tecnologia di punta, ma il fatto che l'Oriente si stia organizzando come un blocco di lavoro economicissimo sta obbligando gli USA ad esercitare un controllo sull'America Latina come un blocco di lavoro a basso prezzo. Sta obbligando l'Europa a far lo stesso con l'Africa e l'Europa Orientale.

L'egemonia dipende da questo controllo. Il progetto generale non è lo stesso per il primo e per il terzo mondo. La privatizzazione delle imprese negli USA non comporta la svendita del patrimonio nazionale ai capitali stranieri. La privatizzazione in America Latina implica la consegna totale della sovranità nazionale.

Il neoliberismo sembra che generi la dissoluzione dello Stato, ma questo non è vero perché gli Stati continuano a compiere una funzione fondamentale: incarcerare la forza lavoro nei suoi spazi territoriali, in modo che si mantenga il suo basso prezzo, che implica il possesso del controllo del processo di lavoro, contro i flussi migratori.

Gli stati non possono sparire perché se no la circolazione di forza lavoro sarebbe a livello mondiale e questo porterebbe alla rivoluzione mondiale. Il Messico è un paese strategico in questo programma di subordinazione dell'America Latina.

Dalla subordinazione del Messico dipende tutta la subordinazione dell'America Latina, in primo luogo perché è il paese crumiro che rompe ogni possibilità di unione latinoamericana, poi perché è il paese che i media internazionali prendono come esempio del miracolo economico da seguire. Questo non lo hanno potuto fare con il Cile perché era il frutto di una dittatura.

Ci vuole una certa discrezione, anche se quello che sta succedendo in Messico è quello che economicamente è già successo in Cile: la distruzione degli apparati produttivi, la conversione di tutti gli impianti industriali in produttori di solo quattro prodotti, alzare il tasso di sfruttamento e presentare il tutto come processo di democratizzazione.

Tutta questa merda è già successa in Cile, ma non può essere il paese strategico per controllare l'America Latina, mentre il Messico si. In più il Messico ha la peculiarità di avere una densità demografica molto alta, ha una radice preispanica, ha una struttura agraria complessa, che aveva bisogno di cambiamenti molto più modesti nelle relazioni sociali.

Il Cile, in America Latina, è una delle nazioni più proletarizzate. Il Cile è il primo paese in America Latina dove si sviluppò un moderno movimento operaio. Mentre in Messico, come nel Centro America e in parte dell'America del sud, si concentra la maggior parte della popolazione preispanica, che si esprime come cultura contadina. La trasformazione del Messico è la trasformazione del nucleo più importante di questa antica popolazione locale.

Questo è ciò che sta generando indici di violenza straordinaria, facendo si che un settore molto grande di popolazione resti completamente emarginato, che le sue condizioni di sopravvivenza restino al limite. Questo è quello che sta dietro alla crisi rivoluzionaria che sta vivendo il Messico.

Per le condizioni specifiche del territorio e della storia del posto, in Messico questa proposta neoliberale di supersfruttamento è arrivata al fondo: se i tecnocrati neoliberisti persistono a non negoziare un nuovo patto sociale, vanno ad alimentare progressivamente una crisi rivoluzionaria, che dal mio punto di vista si può estendere in parte all'America Latina e al sud degli USA.

Questa è un'ipotesi che non deriva da un trionfalismo ma da un'analisi economica. Deriva dal fatto che gli USA realmente hanno divorato il paese e ci sono milioni di persone di origine messicana negli USA, di cui cinque milioni sono illegali, mentre fra Messico e USA c'è il principale flusso migratorio del mondo. Questo è molto importante, perché stavamo dicendo appunto che il capitalismo mondiale articola questa relazione fra primo e terzo mondo come articolazione fra elemento attivo ed esercito industriale di riserva. La principale articolazione nel mondo è quella fra Messico e USA.

Dicevamo che il dominio sull'esercito industriale di riserva si da anche come dominio sul processo di riproduzione. Il Messico è anche un esempio del dominio sul processo di riproduzione nel terzo mondo. In Messico abbiamo la principale catena di televisioni in America Latina. Già trasmette in Europa. Abbiamo questi contrasti: uno dei principali eserciti industriali di riserva del mondo in una logica di sussunzione reale molto sviluppata; abbiamo la città più grande del mondo e anche una crisi rivoluzionaria che ha riflessi in tutto il mondo. La seconda città messicana più grande del mondo è Los Angeles, negli USA, dove c'è stata la rivolta tre anni fa. Questo per capire le possibilità di contagio. (...)

Se i tecnocrati monetaristi continuano a non voler realizzare un patto sociale, continuano ad alimentare questa lotta di classe nella regione. Ma se inizia la lotta di classe negli USA torneremo agli ultimi decenni del secolo scorso, l'unico periodo in cui si è sviluppata una forte lotta di classe all'interno degli USA. Con la differenza che ora gli USA sono al centro del capitalismo mondiale.

La lotta dei contadini e degli emarginati in Messico sta contagiando tutti i settori lavorativi, sta maturando in lotta di classe generale. Il capitale egemonico della regione è intrappolato in una contraddizione: se negozia col Chiapas deve negoziare col Messico, con l'America Latina. Un patto sociale che non gli permette la concorrenza con l'Oriente. Se non negozia va a svilupparsi una lotta di classe.

Mi pare che sia interesse di tutti i lavoratori nord americani il fatto che ci sia un patto sociale in Messico. Riceverebbero meno pressioni ad abbassare il loro salario. Questa è una tendenza che è in corso negli stessi USA. E' interesse generale dei lavoratori del primo mondo collaborare perché nel terzo mondo ci sia un innalzamento del salario. Bisogna arrivare ad un accordo generale perché vi sia un patto sociale. Se non c'è questo accordo il capitale continua ad avanzare sulla linea del supersfruttamento nella periferia e nella metropoli. (...)

E' necessario articolare le forme di lotta con reti di comunicazione a livello internazionale, ma credo anche che sarà molto difficile mobilitare le masse del primo mondo con l'argomento della solidarietà con la lotta del terzo mondo. Deve esserci qui una propria lotta specifica. In questo senso non è importante se è strettamente una lotta contro il controllo del processo di lavoro, può anche essere contro il dominio del processo di riproduzione.

Solo con l'articolazione della lotta contro il dominio capitalistico del processo di produzione e di consumo si possono articolare lotte complesse in alternativa: il pacifismo, l'ecologia, la critica della vita quotidiana, l'antipsichiatria, le lotte delle comuni. Tutte le esperienze di lotta europee degli ultimi 20 anni credo che siano in funzione di una risposta al dominio del processo di riproduzione. Ma senza dubbio non sono state proposte come tali, sono state proposte nell'articolazione che hanno con il dominio del processo di lavoro. Se non si articolano teoricamente queste forme di controllo, non si possono articolare in maniera pratica le risposte organizzative e non si possono articolare le lotte del primo e del terzo mondo, perché anche le lotte del terzo mondo comprendono questa complessità, anche se con un'altra faccia.

Voi lottate contro il dominio sulla riproduzione, con l'antipsichiatria, con l'ecologia, col femminismo, e nel terzo mondo si lotta contro la sussunzione della riproduzione con le lotte degli emarginati dei quartieri poveri. Sono casi differenti, ma strutturalmente esprimono fenomeni simili.

 

Cominciamo con le domande, con la discussione su quello che ho detto.

¥ Non ti sembra che proprio per la globalizzazione, come linea di tendenza, non si possa pensare ad un superamento della divisione tra primo e terzo mondo?

¥ Per quanto riguarda il discorso sui mass media e il sistema di comunicazione, tu hai detto che sarebbero l'architrave del controllo della riproduzione, ma che esso poggia comunque sulle questioni materiali. Io mi chiedevo se invece attorno ai mezzi di comunicazione non si sia sviluppato un vero e proprio settore produttivo, se quindi il sistema comunicativo non stia diventando a sua volta parte di questa base materiale. Se il primo mondo non si stia sviluppando più sulla produzione di comunicazione che sulla produzione di oggetti.

¥ Mentre il dibattito anche attuale che si conosce tende a dare un'importanza molto ampia, quasi unica, al processo di finanziarizzazione, invece c'è una base materiale che è il capitale industriale, produttivo, dal quale dipenderà il capitale finanziario. Come dire: Attenzione! Non è il capitale finanziario che dobbiamo guardare per capire i processi di fondo, ma il capitale produttivo. Anche fra i compagni si parla sempre di finanziarizzazione dell'economia, mutuando un paradigma interpretativo dell'economia borghese, non dell'economia marxista, che parte dalla base materiale che è il capitale produttivo. Mi sembrava di capire che questo capitale produttivo, che è fondamentalmente legato al centro, ma che ha anche delle diramazioni in periferia, effettivamente non produrrebbe la quantità di valori d'uso necessari in prospettiva per il benessere di tutto il pianeta. Anche qui c'è una grossa differenza rispetto a quello che si sa abitualmente. Abitualmente pensiamo che il capitalismo così com'è oggi, come base produttiva mondiale, produce già la massa di beni di valore d'uso sufficienti per tutto il pianeta, solo che c'è una distribuzione che è massificata al centro come consumi, mentre non c'è assolutamente l'idea di poter dare benessere capitalistico, così come esso è dato oggi al centro, a tutto il pianeta. Questa base produttiva capitalistica non avrebbe i mezzi sufficienti per poterlo fare, quindi sarebbe un problema di scarsità e non di cattiva distribuzione. Mi è sembrato di capire da qualche altro passaggio che il capitalismo in sé è una forza produttiva molto giovane, non è una forza produttiva in declino per vecchiaia, come poteva pensare Lenin ma dovrebbe essere una formazione storica molto giovane, con ancora davanti molte risorse da spendere.

 

RISPOSTE

Comincerò dalle domande più teoriche e poi passo alle più pratiche e immediate. Comincio dall'ultima che poneva questioni più generali che riguardano lo sviluppo delle stesse forze produttive nel mondo. La questione comprende due problemi differenti abbastanza complessi.

In primo luogo il problema è se è dominante il capitale industriale o quello finanziario. E' un problema soprattutto metodologico, che si discute generalmente in termini empirici, ma rimanda ad una affermazione di ordine metodologico. Il secondo problema è quello della scarsità della ricchezza materiale. Come possiamo determinare la misura della scarsità?

Il primo problema lo comincia a discutere Hilferding, che introduce un punto di vista metodologico per discutere il problema che a me pare sbagliato. Esso consiste nel sottolineare da un punto di vista empirico l'importanza reale del capitale finanziario. Il problema è che quando Marx dice che è fondamentale il capitale industriale, non il capitale commerciale e finanziario, si sta riferendo al fatto che in termini trans-storici ciò che è fondamentale è la produzione, non la circolazione o il consumo.

Nella società primitiva, nello schiavismo, nel feudalesimo, nel capitalismo e nel socialismo, la produzione è sempre il momento trascendente della riproduzione sociale. Questo argomento appare nell'introduzione al Grundrisse del 1857, è un problema teorico di fondo. Non vale dire che nel secolo XIX ciò che è importante è il capitale produttivo e che nel XX secolo è il capitale finanziario perché le cose sono cambiate: questa è una maniera subdola di discutere con Marx. Una maniera sincera di discutere con Marx l'ha fatta George Bataille, che ha detto che ciò che è fondamentale è il consumo e ha riunito una serie di argomenti.

L'assunto è che Hilferding discute con Marx, critica i fondamenti della teoria marxista, ma senza esplicitarlo. Pare che discuta solo di analisi congiunturale, non dei fondamenti. Su questo imbroglio metodologico si sono costruite tutte le teorie dell'imperialismo. Questo è il primo problema. Quando diciamo che il capitale industriale è determinante diciamo una cosa che non si dimostra con i dati. Non si dimostra argomentando che su 10.000 unità di capitale 8.000 sono di capitale finanziario, perché in ultima analisi il capitale finanziario non produce plusvalore.

A volte il capitale finanziario è anche capitale produttivo, quando il capitale finanziario è la mescolanza fra capitale bancario e industriale. Quando in questi casi il capitale finanziario funziona anche come controllo del processo di lavoro è capitale industriale, non è capitale circolatorio. Questo è il punto per cui è molto difficile discutere. In ogni caso si può discutere con Marx, ma come ha discusso Bataille: dovremmo dimostrare perché la circolazione è fondamentale in ultima istanza, sempre, o perché non c'è niente che sia determinante in ultima istanza, mai. Però la discussione deve condursi in quesiti teorici puri, non usando il manganello delle statistiche. Questo è il primo punto che può generare confusione.

Il secondo problema è quello della scarsità. Voglio riferirmi alla problematica generale dell'economia politica, che è collegata con questo problema. In primo luogo, il problema della scarsità è il problema dal quale dipende in termini strategici la lotta di classe ed è stato molto poco trattato. L'unico marxista che ha posto al centro della discussione il problema della scarsità fu Sartre, non a livello dell'economia politica ma a livello del materialismo storico. Il punto consiste nel fatto che il capitalismo ha un posto nella storia perché è la risposta finale di tutte le società di classe alla scarsità, quella che porta lo sfruttamento del lavoro alle sue ultime conseguenze. Ricreando le forme varie di sfruttamento umano che sono esistite fin ora accumula le energie rivoluzionarie e le condizioni materiali che finalmente permettono di liquidare la lotta di classe.

Questo è il problema politico che si pone di fronte alla tematica della scarsità. Mi pare che nella critica dell'economia politica di Marx il problema si concentri nella teoria del plusvalore relativo, cioè nella teoria che spiega lo sfruttamento del lavoro secondo il metodo del valore relativo. E' l'unico metodo che permette di aumentare permanentemente il tasso di sfruttamento ma al prezzo di automatizzare progressivamente il processo di lavoro. Questa automatizzazione tende a portare al limite oggettivo del capitalismo.

Questo è chiarissimamente esposto da Marx nei Grundrisse, è una delle grandi previsioni di Marx che stiamo vedendo ora come si compie.

Il problema è però un po' più complesso. In primo luogo è necessario pensare sempre lo sviluppo delle forze produttive in un contesto territoriale. I rapporti produttivi non sono sospesi nell'aria, hanno radici territoriali. Il cavallo, come forza produttiva, non è lo stesso nel XVI secolo in Europa e in America. L'Europa è piana, piena di strade, l'America è piena di selve tropicali. Vale a dire: non era la stessa forza produttiva. Un computer portatile non è la stessa cosa a New York o nel centro dell'Africa. Dipende dal contesto territoriale in cui si colloca. Non perché qualcuno va in Africa con un PC portatile si sviluppano le forze produttive. Questi studi di come si concretizza la tecnologia non esistono, o appena cominciano a svilupparli i geografi marxisti. Ma il problema è che nessuno li conosce.

Voi non sapete che il migliore è un italiano, si chiama Massimo Quarini, e ha scritto "Marxismo e geografia". Negli USA c'è un gruppo molto importante. Questi problemi sono legati al problema di ricercare fino a che punto lo sviluppo delle forze produttive possa garantire una ricchezza abbondante. Di fronte a questo problema non ho una risposta. Sto ricercando.

Io ho il dubbio che questo sviluppo delle forze produttive non possa garantire una ricchezza abbondante a tutto il pianeta. Ma l'unica cosa che posso proporre sono i miei dubbi. In primo luogo il problema della scarsità non è un problema lineare, come dire: dove il capitalismo sviluppa le forze produttive deve andare da 1 a 100, ed è arrivato a 40, così gli mancano 60 punti. Cioè il capitalismo percepisce che in questa tendenza all'automatizzazione progressiva del processo di produzione si avvicina alla sua fine storica.

Questo lo ha scoperto con orrore la prima volta con l'opera di Ricardo. Ricardo si spaventa di questa contraddizione. In qualche modo le crisi cicliche del capitalismo sono collegate con questo fatto essenziale. Ogni volta che nella crisi si distrugge la ricchezza il capitalismo torna a prendere forza. Entrambe le guerre mondiali sono servite principalmente a rilanciare la forza del capitalismo. Il capitalismo non si è sviluppato mai tanto come dopo la seconda guerra mondiale. In termini globali il capitale del secolo XX, come parte di questa logica di sussunzione del consumo (del consumo non solo individuale, ma anche produttivo, del consumo che fanno le industrie dei prodotti di altre industrie), ha scoperto il meccanismo di distruzione della sua stessa ricchezza, che gli dà una grande agilità. Come dire, ha scoperto che si può produrre artificialmente scarsità, cosa che dà longevità al sistema. Questo inizialmente comporta un problema per la misurazione, perché da un lato abbiamo una tecnologia, che a volte non è sufficientemente abbondante per garantire la ricchezza di tutti, ma che dà un carattere progressivo al capitalismo, gli dà una missione storica, ma d'altra parte abbiamo una meccanica già decadente, dove il capitalismo compie una funzione solo distruttiva.

Viviamo in un momento in cui si compiono queste due realtà e dove nel primo mondo si concentrano le forze distruttive, e nel terzo mondo hanno luogo le forze produttive.

Ma è ovvio che anche nel terzo mondo, per il caos e la barbarie, le forze distruttive sono molto grandi. E' ovvio che nel primo mondo si concentrano le forze distruttive perché qui l'automatizzazione è maggiore. Il problema della misurazione di queste realtà richiede la chiarificazione di questi problemi. C'è inoltre un'altra serie di problemi che hanno a che vedere con lo schema tecnologico, con il fatto che lo sviluppo delle forze produttive esistenti è pensato per una certa misura. Per esempio l'automatizzazione delle forze produttive in base allo schema ferro - petrolio, funzionava senza problemi per una certa misura, ma nel momento in cui globalizziamo la misura, cioè un momento in cui riempiamo il mondo di automobili, abbiamo la distruzione della fascia d'ozono e l'effetto serra che mostra che lo sviluppo delle forze produttive non era tale.

Per inventare un esempio assurdo, è come se i primitivi volessero costruire una grande diga ponendo pietra su pietra, e improvvisamente scoprissero che la diga crolla. Per noi sarebbe ben facile dire: queste forze produttive sono molto primitive. Ma possiamo dirlo lo stesso dell'energia atomica, perché è una forza produttiva molto primitiva, perché la diga scoppia. Anche il motore a scoppio è una tecnologia primitiva, perché non garantisce la produzione di ricchezza su scala mondiale.

Oggi assistiamo ad un ricambio intenso dello schema tecnologico. Nel cambiamento degli ultimi 20 anni il capitale mondiale ha riconosciuto che il suo riferimento tecnologico non serviva alla globalizzazione del processo di lavoro mondiale. E si trova a riformulare con nuovi materiali, nel quale l'anima non è più il vecchio acciaio, sostituito dai materiali compositi, dalla plastica, dai polimeri, e si trova in un processo di cambiamento delle forme di energia.

Un altro esempio per vedere come si complicano le cose è che non gli conviene dare una via d'uscita energetica allo sviluppo del capitalismo mondiale basata sull'energia solare perché è molto difficile la rendita dell'energia solare. E' molto difficile concentrare tecnologicamente la rendita dell'energia solare. Lavorano intensamente in questo senso, come per esempio con le stazioni spaziali che condensano energia solare e la inviano intensamente alla superficie della terra. Ma prima di raggiungere questa soluzione tecnica preferiranno consumare tutte le riserve di petrolio. Allora, per considerare quanto sono scarse le forze produttive oggi, bisogna considerare il loro carattere ecologico, che è un'altra sfumatura.

Quale marxista ha introdotto questo carattere di riflessione? Questo semplicemente per avere un'idea di quello che non facciamo come marxisti. Nonostante ciò affermiamo che il problema è semplicemente la redistribuzione della ricchezza, senza sapere se i nostri nemici giocano già una carta nella storia o si trovano in un punto di decadenza. C'è bisogno di più modestia da parte nostra, riconoscendo le nostre debolezze, perché solo riconoscendole cominceremo ad agire con forza reale.

Bene, questo era il primo punto. Ora affrontiamo la questione della globalizzazione, cioè se la globalizzazione sta rendendo necessaria la differenziazione fra primo e terzo mondo. Questa è una domanda che mi faccio tutti i giorni, e non ho ancora una risposta...

Con questo problema comincia il primo capitolo del capitale, quando spiega che la contraddizione fra valore e valore d'uso della merce si neutralizza sempre risolvendosi nella contraddizione merce/denaro.

Un'altra contraddizione è quella fra tecnica e riproduzione. Da un lato il capitalismo ha bisogno di accumulare capitale, produrre plusvalore, e per questo deve sviluppare le forze produttive tecniche, ma d'altra parte deve riprodurre la popolazione, sfruttata e subordinata, e deve sottomettere il processo di riproduzione della popolazione ai tempi di sviluppo della tecnologia.

Lo sviluppo capitalistico non è lineare, ma sempre oscillante fra progresso, stasi e crisi. Questo implica che la tecnica chieda alla riproduzione cose contraddittorie. Nei momenti di sviluppo il capitale chiede alla popolazione di crescere, essere felice, che facciano figli, si sposino, si amino. Impone un certo modello di sessualità, di psicologia, di stato d'animo. Quando il capitalismo è in stasi o in crisi, la tecnologia manda il messaggio opposto, perché quando non c'è lavoro i bambini sono di troppo. Quando il capitale è in stasi o in crisi la gente è in eccedenza, il capitale manda il messaggio di non fare figli, che si controlli il tasso di natalità, che si riproducano meno, e, nei settori più marginali del proletariato, che si suicidino, che consumino droghe, che si autodistruggano.

Ma questo non succede perché l'occidente ha scoperto la fine delle utopie, ma perché il capitalismo entra in un ciclo. E' la seconda volta che succede nel XX secolo. Negli anni '20 e '30 è sorto un movimento di massa nichilista, quando Bataille ha scritto il suo primo libro. Ma egualmente in questa epoca i militanti si suicidavano, si svilupparono il fascismo e tutte le tendenze nere del capitalismo. Perché questa contraddizione non esplode? Perché c'è una maniera in cui si neutralizza: si distribuisce spazialmente.

Ci sono persone necessarie e persone non necessarie, paesi necessari e paesi non necessari. Credo che tutto l'insieme delle contraddizioni capitaliste, che ora non ho tempo di descrivere, si esprima alla fine con la necessità di organizzare il mondo come un mondo metropolitano e uno periferico.

Ma risolvere questo implica ancora sviluppare collettivamente una teoria nuova dello sviluppo capitalista. In questo senso il lavoro di Lenin e della teoria dell'imperialismo è importante, riconosco che la polarità è molto importante, ma non credo sia stata sufficientemente spiegata, e nemmeno si è collegata la teoria di Marx con la teoria della polarizzazione. Bisogna ricordare che Marx aveva un progetto di lavoro molto grande, per la descrizione dell'economia capitalistica. Era un progetto di sei libri. Il primo era l'analisi del capitale, il secondo della proprietà della terra, il terzo del lavoro salariato, il quarto dello Stato, il quinto del commercio internazionale, il sesto del mercato mondiale. Era un progetto gigantesco, e di questi sei ne ha scritto solo uno, "Il Capitale", che è il punto di partenza per ricostruire la logica globale.

Ma i marxisti che cominciarono a lavorare dopo la morte di Marx si affrettarono di più a dire che le cose erano cambiate, che bisognava riprendere alcune cose, ma nessuno riprese il progetto di critica globale di Marx. Le conseguenze le vediamo ora: 120 anni dopo la sua morte non abbiamo una teoria su come il capitalismo si sviluppa polarmente nel mondo, non abbiamo una teoria critica di sinistra che spieghi questa cosa. L'unica teoria che abbiamo è la teoria dell'imperialismo, ma essa non ha recuperato il problema dello sviluppo delle forze produttive.

Così, disgraziatamente, non ho una risposta, ho solo intuizioni.

In riferimento all'ultima domanda, il problema è questo paradosso molto importante che avete segnalato, cioè intendere il capitale dedicato ai mezzi di comunicazione come un capitale industriale. E' un discorso un po' più complesso, perché è un capitale che si comporta a volte come un proprietario terriero, cioè non è semplicemente capitale industriale, anche se usa molta tecnologia, apparati, elettronica, satelliti. Perché ciò che usa è lo spazio e tutti quelli che usano lo spazio hanno a che fare con la rendita.

Non solo chi produce alimenti ottiene rendita dalla terra, c'è rendita anche per estrarne petrolio, minerali e anche per l'uso dello spazio delle comunicazioni. E' talmente un problema spaziale che chi legifera sull'uso dello spazio della comunicazione è precisamente chi regola il problema di tutto lo spazio: lo Stato. E' lui che assegna le concessioni affinché le imprese private usino lo spazio della comunicazione. Ciò che succede è che questo capitale dei mezzi di comunicazione non paga nessuna rendita allo Stato, per questo i suoi profitti sono così alti.

Il capitale in campagna ha una struttura particolare. Da un lato c'è il padrone della terra, il proprietario terriero, dall'altra parte c'è l'affittuario: in genere l'imprenditore che arriva in questo posto con la tecnologia e che assume i lavoratori agricoli. Lui produce e genera la ricchezza, ma la deve dividere. Si tiene una parte dell'eccedente e un'altra parte la consegna al padrone della terra. Il proprietario, anche se non sviluppa le forze produttive, deve essere rispettato perché è il simbolo storico della proprietà privata. Il capitalismo per sviluppare le forze produttive in campagna tende ad annullare la presenza dei proprietari terrieri, a socializzare la produzione, come fa nell'industria. Ma se questo viene realizzato, cioè si eliminao i proprietari terrieri, il capitale annulla il proprio punto di partenza, cioè la proprietà privata. Per questo l'affittuario, anche se odia il proprietario terriero, lo deve rispettare. E' una contraddizione molto forte, che tende a risolversi solo con la conversione degli affittuari in proprietari.

Questo è un problema generale, che riguarda anche i mezzi di comunicazione. Nei mezzi di comunicazione l'affittuario si è convertito già nel proprietario terriero, come Berlusconi che non paga rendita a nessuno e per questo ottiene guadagni giganteschi. Per questo è uno dei business più importanti oggi. In primo luogo, effettivamente, i mezzi di comunicazione sono legati al controllo del processo di lavoro. E' un processo di produzione sempre più collegato a tutti gli altri mezzi di produzione. L'automatizzazione moderna di questo processo di lavoro si introduce con la robotica, la microelettronica, l'informatica, e genera un processo di lavoro integrato su scala planetaria.

Marx chiama i mezzi di comunicazione e di trasporto "la forza produttiva generale". Come dire che per Marx i mezzi di comunicazione e di trasporto sono la "spuma" dello sviluppo delle forze produttive, perché ai mezzi di comunicazione e di trasporto restano legati tutti gli oggetti.

Il capitale sta passando dall'automatizzazione all'interno all'automatizzazione del pianeta. Cioè sta passando alla connessione automatica di punti territoriali lontani l'uno dall'altro. Stiamo entrando in qualcosa che ha descritto Asimov nella "Prima fondazione". Il capitale sta creando una sfera automatizzata attraverso i satelliti e i mezzi di comunicazione. Questo fa che la parte strategica in questa correlazione fra i mezzi di lavoro siano proprio i mezzi di comunicazione.

Il problema è che i mezzi di comunicazione sono molto importanti perché non sono solo ciò che correlaziona tutto il processo di lavoro, ma collegano il processo di lavoro con quello di riproduzione. E' il vertice della forza produttiva, è la forza produttiva che sintetizza tutto. Questo processo di sviluppo tecnologico sta creando masse gigantesche di lavoratori, colletti bianchi, che devono studiare la microelettronica, ecc.

I teorici borghesi li qualificano come lavoratori dei servizi. E' una gran trappola attraverso la quale si dice addio al proletariato. Nel momento in cui il processo di lavoro è così complesso da creare un operaio sociale complesso, e dove effettivamente il lavoro materiale nell'elaborazione finale del prodotto è minore, ciò che sta succedendo è che tutti stiamo avendo a che fare in una maniera o nell'altra con il processo di lavoro.

Evidentemente complicare il processo di lavoro significa complicare la classe operaia. Questa classe operaia complessa è precisamente quella che richiede la necessità di una lotta operaia che abbia come fondamento la diversità. Ma se seguiamo l'idea dogmatica che gli operai stanno solamente nell'industria, non riusciamo a cogliere la totalità dei problemi che si presentano ad un operaio sociale così complesso.

Allora effettivamente il controllo dei mezzi di comunicazione è una pietra miliare del controllo dei processi di lavoro, ma quando dicevo che sono una pietra miliare della sussunzione del consumo io non mi riferivo al ruolo occupato nella produzione, ma all'interno del processo di consumo.

I mezzi di comunicazione lavorano con il discorso, con i segni, con il linguaggio, le immagini, con una realtà discorsiva. Volevo sottolineare che il discorso è sempre qualcosa che si trova in funzione dei problemi materiali. Oggi è di moda dire che la circolazione domina la produzione, o che il consumo domina la produzione, o che il capitale finanziario domina il capitale industriale, o che la politica domina l'economia, o che la cultura domina la politica e l'economia. Oggi è di moda porre tutti i problemi in chiave non materialista e questa moda è presentata come una maniera non dogmatica di vedere le cose, perché effettivamente il nostro marxismo è stato molto dogmatico durante il XX secolo.

Questa è una realtà. Però non perché rifiutiamo di essere dogmatici dobbiamo dimenticare dei problemi fondamentali. Il mondo non si potrà risolvere parlando. Bisogna risolvere i problemi materialmente. Nessuno mangia le parole, per quanto possano essere importanti. Il discorso sta dappertutto, non c'è nulla dove non ci sia la cultura, non c'è nulla che non sia "segno". Questo è completamente vero, ma mi sembra che sia molto più importante, perché una persona diventi narcodipendente, che prima si faccia una pera, manipoli il suo sangue e il suo corpo, perché poi torni a consumare droga, piuttosto che qualsiasi discorso che promuova l'uso di droghe. Mentre il discorso lo propone tu hai la possibilità di consumare o non consumare droga. Quando te la inietti sei fottuto, perché sei obbligato a continuare a consumarla.

La forza della necessità del corpo è qualcosa di fondamentale. E' quello che cerco di dire, cioè che tutti i discorsi manipolati dai mezzi di comunicazione sono molto forti, perché c'è un'altra serie di manipolazioni materiali che si incontrano prima di questa manipolazione discorsiva. La manipolazione del consumo non cominciò con la TV, ma alla fine del secolo scorso, ed è andata avanti in modo gigantesco, mentre la TV si è cominciata a vedere solo negli anni '50. Ovviamente nel momento in cui è subentrata la mediazione della TV, la sussunzione del consumo ha avuto un salto gigantesco. Non voglio sminuire la sua funzione, al contrario dico che è una pietra miliare.

Prima della TV questa funzione l'occupava la radio, e prima la stampa. Ci sono sempre stati mezzi di comunicazione che hanno aiutato il consumo. Sono problemi che devono essere determinati, hanno molte sfumature, ma quando dicevo che stanno occupando una funzione di pietra miliare non parlavo della metafora della sovrastruttura, dell'interpretazione stalinista o dei manuali russi del materialismo storico.

Sul problema del debito estero, credo che il debito dei paesi si basi su rapporti di forza, relazioni materiali, come dire: il Messico deve del denaro, è il paese più indebitato dell'America Latina, e uno dei più indebitati del mondo, perché a chiesto crediti molto grandi per sviluppare l'industria petrolifera. Dal 1976 al 1982 sono caduti i prezzi del petrolio e il primo mondo ha alzato il tasso di interesse. Così il debito messicano diventa uno dei più alti del mondo.

Perché USA ed Europa decisero di alzare i tassi di interesse? Perché avevano perso durante gli anni '70 quantità gigantesche di denaro di fronte agli arabi. La strategia dell'Europa fu prestare il denaro degli arabi (nelle proprie banche) e, dopo averlo prestato, alzare i tassi di interesse. Così restituirono il denaro agli arabi ma si rifecero della quantità che avevano perduto originariamente facendola pagare al resto del terzo mondo. E se hanno potuto realizzare questo movimento di trasferimento del debito è perché hanno la bomba atomica, hanno il mondo pieno di eserciti, e perché chi protesta finisce come Saddam Hussein. E' un problema di colpi bassi. (...)

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