QUADERNI
DI CONTROINFORMAZIONE N.12 - FEBBRAIO 1995 |
MESSICO E RIVOLUZIONE
SPUNTI DI ANALISI MARXISTA
Il materiale che segue è la registrazione
di parte di un incontro con un Economista della UNAM (Università
Nazionale Autonoma del Messico), messo a disposizione dal Comitato Internazionalista
'Che Guevara' di Bologna.
Mi presento politicamente. Non sono un
militante dell'EZ o di altre organizzazioni o partiti, ma come marxista
lavoro da 25 anni sul punto di vista dell'economia politica. Lavoro con
un gruppo di amici di Città del Messico in uno spazio nella Facoltà
di Economia chiamato "seminario del Capitale". E' un lavoro
che punta al recupero del lavoro di Marx. D'altra parte, militando nel
movimento operaio e studentesco, ci è sembrato fin dagli anni '70
che fosse molto importante affinare la nostra percezione dello sviluppo
capitalistico perché da questo dipende un'azione politica più
pertinente.
Durante tutto il secolo XX la teoria di
Lenin sullo sviluppo capitalistico come teoria dell'imperialismo ha stabilito
una serie di punti come piattaforma d'azione. Ha affermato che il capitalismo
si trova nella sua fase ultima, quella della decadenza, che significa
che il capitale si trova in una situazione di debolezza. Per questo si
agisce rispetto a questa supposta debolezza.
Oggi, alla fine del secolo XX, chi è
debole siamo noi. Per questo dobbiamo pensare in maniera autocritica rispetto
alla visione che abbiamo del capitalismo. Quindi, al di là di una
o dell'altra prospettiva politica, in uno spirito fraterno, ci sembra
che oggi sia necessario porre il problema, senza settarismo. Secondo noi
il miglior pensatore, per concepire una teoria dello sviluppo capitalistico
nella lotta rivoluzionaria continua ad essere Marx.
Il mio lavoro di ricerca teorica marxista
si centra appunto su come concepire una teoria dello sviluppo capitalistico
in un confronto con le diverse teorie dell'imperialismo, cioè con
Bucharin, Hilferding, Lenin, Luxemburg, Grosman, con la teoria classica
dell'imperialismo che si è sviluppata nelle prime tre decadi del
XX secolo e con le teorie del capitalismo monopolista di stato, con Mandel
(teoria del tardo-capitalismo), con le teorie regolazioniste francesi,
che sono comunque legate alla teoria dell'imperialismo. In questa prospettiva
ci pare che tutte queste teorie non riescano a spiegare la complessità
dello sviluppo capitalistico del XX secolo, la complessità con
cui nel XX secolo si siano sviluppate forme di controllo di tutta la popolazione
e del movimento operaio.
Il nostro lavoro è totalmente rivolto
a comprendere criticamente queste forme. Più recentemente, da sei
- sette anni, ci siamo organizzati con altri compagni dell'università,
cominciando a ricercare come il capitale mondiale si sviluppi su scala
planetaria. In questa ottica cerchiamo di aprire uno spazio di ricerca
e discussione che possa superare il modo in cui si riflette oggi sullo
sviluppo capitalistico, cioè come un mercato mondiale, messo a
fuoco guardando soprattutto il capitale finanziario, il FMI, la circolazione
dei crediti, la struttura del debito internazionale, le relazioni fra
le borse valori.
Tutto questo ci pare importante, ma ci
pare racchiuda un feticismo molto complesso, perché parte da una
messa a fuoco "circolazionista", che non prende come punto di
partenza il processo di produzione, che non affronta come problema teorico
lo sviluppo delle forze produttive.
Questa mi sembra la prima deficienza importante
delle teorie sull'imperialismo del XX secolo. Durante il XX secolo non
c'è nessuno studio di valutazione diretta di come si siano sviluppate
le forze produttive.
Abbiamo una serie di riferimenti vaghi
che presuppongono sempre un feticismo tecnologico, si sottolinea che la
tecnologia è progredita molto, si pensa alla tecnologia aerospaziale,
microelettronica, al complesso militare/industriale. Ma questa non è
una riflessione critica dello sviluppo tecnologico, che si collochi sul
piano in cui Marx ha pensato il problema.
Per Marx il problema dello sviluppo tecnologico
è il fondamento materiale dal quale si costruisce la rivoluzione
comunista. Non si può avere il comunismo senza automatizzazione
del processo di lavoro, senza una ricchezza materiale abbondante, e sebbene
in Europa esista tale ricchezza, non sappiamo se queste forze produttive
sono sufficienti per generare questa abbondanza per la totalità
del pianeta.
Per Marx la lotta di classe deriva da questa
scarsità delle ricchezze materiali, non da principi metafisici.
Quando Marx pensa che è necessario dare il colpo della rivoluzione
comunista alla fine del secolo XIX in Europa, ha un'idea geografica della
rivoluzione comunista molto precisa. E' cosciente che questa rivoluzione
sarebbe solamente in un'isola del mondo, è cosciente che il grande
pericolo di fare la rivoluzione nell'isola d'Europa (ciò è
scritto in molti documenti) è che la borghesia organizzi nella
periferia eserciti di mercenari, che sfrutti la povertà di questa
popolazione periferica per organizzare il saccheggio dell'Europa e dell'esperienza
comunista.
Per lui è importantissimo in primo
luogo il problema di come si possa fare la rivoluzione nel centro e di
come poi questo centro possa in realtà gestire in maniera umanizzata
lo sviluppo delle forze produttive nella periferia, compiere la funzione
della borghesia nella periferia, senza gli aspetti selvaggi di questa
borghesia. Si tratta di una posta alta, con il rischio che tutto il processo
rivoluzionario possa rimanere paralizzato.
Dalla morte di Marx nel 1883 allo sviluppo
delle teorie dell'imperialismo, cioè nei 20 anni del passaggio
del secolo, il capitalismo è passato dal controllo d'Europa al
controllo del mondo. Quelle che erano forze produttive sviluppate per
poter costruire una rivoluzione comunista nel centro, diventavano forze
produttive molto deboli che dovevano accollarsi il compito di cominciare
a dominare tutta la sfera planetaria.
Pensando a questo problema del salto delle
forze produttive del centro alla totalità del pianeta, l'idea del
tempo storico di Marx è molto importante nel senso che ciò
che sembra un capitalismo moderno, nel momento del superamento di queste
misure territoriali in effetti è un capitalismo che sta tornando
al secolo XVI, perché ha di fronte un compito gigantesco per sviluppare
le forze produttive.
Fino a qui sto parlando delle idee di Marx.
Questo insieme di problemi non sono ripresi
dalle teorie dell'imperialismo. Fondamentalmente, la problematica dello
sviluppo delle forze produttive e tecniche sviluppate per generare una
ricchezza materiale abbondante nella totalità del pianeta è
un problema teorico che non appare nella riflessione economica, politica
e culturale della sinistra. Per me è uno dei grandi vuoti nella
riflessione marxista contemporanea. Su questo tentiamo di organizzare
un gruppo di ricercatori a Città del Messico: il compito è
gigantesco e il nostro lavoro è molto modesto. Penso che sia un
lavoro da sviluppare collettivamente con i comunisti di tutto il mondo.
Il nostro lavoro è consistito e consiste nel fare ricerca sulle
forze produttive in tutto il mondo seguendo due differenti linee. In primo
luogo vedere come si sviluppa l'automazione del processo di lavoro e allo
stesso tempo che metodi di espansione territoriale ha questa automazione.
D'altra parte non ci interessa ricercare solo sulla tecnologia di punta,
ma qual è in termini generali la tecnologia che stringe la totalità
della sfera planetaria, quali sono le contraddizioni dello sviluppo capitalistico
che genera. Per questo abbiamo deciso di costruire un concetto, quello
di "produzione strategica", che non è inteso come usualmente
si intende la parola, cioè non si pensa ad un concetto militare
ma economico. Esistono alcuni punti focali all'interno del processo di
lavoro dai quali dipende tutto lo sviluppo della restante tecnologia.
Quindi ci interessa ricercare come il capitale comprende e controlla questi
nuclei strategici. Questo perché permette di chiarire un problema
più congiunturale, meno strutturale, la relazione del potere oggi,
come il potere si organizza intorno al controllo di questi nuclei strategici.
Si è parlato molto della caduta
dell'egemonia nordamericana, ma senza dubbio, tutte le volte che apriamo
il giornale, oltre alla crescita del debito americano, oltre alla crisi
della produttività USA, la realtà è che in termini
economici, politici e militari, l'egemonia USA continua ad essere il centro
per un tempo che non è ben chiaro quando terminarà.
E' nel contesto personale di questa problematica
alla quale mi dedico, (che è riunita in un libro che è appena
stato pubblicato in Messico : "Produzione strategica e economia mondiale")
che è cominciata la guerra del Chiapas, e allora mi è parso
importante rapportare a questa realtà nuova la riflessione precedente.
La mia riflessione sul Chiapas è
molto più inesperta, è un'esperienza quotidiana, immediata.
Per molti anni si è discusso fra
i marxisti in Messico sul problema della questione contadina, sulla teoria
della rendita in Marx e sul ruolo dei contadini nel processo rivoluzionario
in Messico.
Questo si discuteva quando ancora i contadini
erano il 60% della popolazione. Nel 1994 erano il 27% della popolazione.
Era una specie di discussione su cui ci si era arenati. I "campesinisti",
che insistevano sul problema dei contadini e degli indigeni, hanno posto
un problema teorico che non aveva nessun precedente. Io non so se questa
situazione possa dargli ragione, ma è chiaro che il problema di
cui parlavo era importantissimo.
All'inizio di quest'anno, in base a quello
che è successo, è ripresa questa discussione.
In Messico abbiamo cercato di riguadagnare
il tempo perso editando una rivista che è uno spazio per tutti
i differenti marxisti e per la gente della sinistra radicale, ricercatori
della problematica contadina e chiapaneca. Una rivista non settaria che
cerca di capire come funziona la logica dell'accumulazione di capitale
nella regione e in Messico. Nello stesso tempo abbiamo sospeso questa
ricerca sull'economia mondiale non perché la consideriamo conclusa,
ma perché ci sembra più importante passare a riflettere
sulla logica dell'accumulazione di capitale in America del Nord e la riflessione
sulla forza lavoro in Nord America.
Questa è la mia autopresentazione,
perché sappiate con chi state parlando.
C'è un'altra linea di lavoro: per
noi il XX secolo non è solo il secolo nel quale il capitale controlla
tutta la sfera planetaria dove finalmente può terminare una globalizzazione
del processo di lavoro. Come se il capitalismo avesse compiuto un lunghissimo
cammino per tornare al punto di partenza: prima globalizzare tutto il
commercio, poi tutti gli investimenti, poi tutto il capitale finanziario
per poi, solamente dopo questa accumulazione gigantesca, poter finalmente
globalizzare ciò che era il punto di partenza cioè il processo
di lavoro. Questo è molto importante perché ci mostra che
il capitalismo sta appena iniziando una grande epoca...
Oltre a questo, il capitalismo ha sviluppato
un altro grande lavoro storico durante il XX secolo.
Durante il XIX secolo ha imposto il controllo
reale del processo di lavoro (ciò che Marx chiama la sussunzione
reale del processo di lavoro), creando una civilizzazione materiale, una
rivoluzione industriale, un insieme di valori d'uso nuovi che garantiscono
l'automatizzazione progressiva del processo di lavoro (questo è
il dominio reale del processo di lavoro).
Se nel XIX secolo ha perfezionato il dominio
reale del processo di lavoro, nel secolo XX ha sviluppato il dominio reale
del processo di riproduzione. Prolungando un po' di più le parole
di Marx, potremmo dire che durante il XX secolo ha sviluppato una sussunzione
reale del consumo. Così come il dominio del processo di lavoro
si è basato sull'adeguamento delle forze produttive tecniche, il
dominio del consumo ha bisogno dell'adeguamento di altri tipi di forze
produttive.
Engels le chiama "forze produttive
procreative", cioè le forze produttive tecniche sono quelle
che producono oggetti, le forze produttive procreative sono quelle che
producono soggetti.
I soggetti si riproducono sessualmente,
con la conversazione, con l'interrelazione soggettiva, con tutti gli ambiti
con cui si forma la mente, che fa parte del corpo. Con tutto ciò
che concerne la produzione del corpo e della coscienza: la riproduzione
della forza-lavoro.
Tutte queste sono forze produttive procreative
e durante il secolo XX il capitalismo le ha sussunte realmente. Ha sviluppato
una nuova sessualità, una nuova forma delle relazioni fra uomo
e donna, fra padre e figlio; ha trasformato lentamente e totalmente la
struttura familiare, dall'inizio della proletarizzazione della donna nel
secolo XIX alla massificazione della proletarizzazione della donna nel
secolo XX. Ha trasformato completamente la morale, che fa parte delle
forze produttive procreative, ha trasformato lo spazio domestico nei suoi
contenuti tecnici, automatizzandolo completamente, ha modificato i contenuti
dell'alimentazione, la vita quotidiana, la salute. Il nostro corpo è
completamente differente dal corpo dei lavoratori del secolo XIX.
Se non siamo hegheliani, il cambiamento
del corpo significa anche cambiamento della mente. La mente non fluttua
nell'aria, pensa e sente in base al corpo. La manipolazione della produzione
del corpo è anche la manipolazione della produzione della mente,
ne è la base materiale. A noi non pare che il capitalismo sia potente
solo perché manipola l'informazione, la produzione di segni, perché
domina la televisione, il discorso, la produzione di semiologia.
A noi pare che tutto questo, che è
dominio reale, abbia un substrato più elementare, più basico,
più ovvio, ma meno studiato: ciò che il capitalismo fa è
la manipolazione materiale del corpo. Per consumare oggetti non c'è
bisogno di televisione, basta solo consumare questi oggetti.
Ogni oggetto ha in sé il suo valore
d'uso e la manipolazione necessaria perché tu possa diventare schiavo
dell'oggetto. Mangiando certi alimenti si diventa schiavi di questi alimenti.
Portando avanti una sessualità di un determinato tipo si diventa
dipendenti da una serie di oggetti materiali. Avendo un'esperienza quotidiana
del piacere, un'esperienza moderna, capitalista, che reprime l'esperienza
del piacere, si diventa narcodipendenti da altre forme secondarie di piacere.
Gli oggetti hanno questa struttura materiale: una realtà che implica
tutta una rete di dominio.
Questa è ciò che chiamiamo
sussunzione reale del consumo. In riferimento a questa, la nuova popolazione
del capitalismo moderno, come i luddisti del XIX secolo, ha cercato di
rispondere spontaneamente. Così si capisce lo sforzo di creare
nuove forme di vita quotidiana, il bello sforzo delle comunità
degli anni '60. Però, come i luddisti del XIX secolo, fecero lo
sforzo spontaneamente, senza capire a fondo la grandezza del nemico col
quale si scontravano.
Bene, questo lavoro ha 15-20 anni di riflessione.
E' un lavoro che deve servire anche a creare forme di organizzazione di
lotta. Ma questo forse è più lontano dalla problematica
del Chiapas e più vicino alla vostra.
Chi vive a Città del Messico vive
con un piede nel primo mondo e un piede nel terzo. Per le strade di Città
del Messico, per me che sono un salariato come voi (lavorare all'Università
a Città del Messico non è come lavorare all'Università
qua in Italia), si incontrano forme di povertà estrema del terzo
mondo: migliaia di bambini che non mangiano durante il giorno, che cercano
di lavare le macchine; incontri disoccupati che ti assaltano da tutti
i lati. Ma quando torni a casa, o all'Università, o in certi posti,
la società è completamente del primo mondo. In più
questi bambini così poveri si trovano nella città più
inquinata del mondo dalle industrie, dalle automobili e per una serie
di problemi legati alla "modernità". (...)
Per questa situazione storica particolare
che si vive a Città del Messico noi cerchiamo di affrontare tanto
i problemi di espansione del capitalismo nel mondo, ma anche i problemi
di subordinazione del processo globale di riproduzione. Passare dalla
lotta in Chiapas a forme di lotte adeguate su scala mondiale, mi sembra
un passaggio che tocca questi due problemi. Passa dal problema del controllo
del capitale sul processo di lavoro a quello della riproduzione.
Questa è l'idea di cui pensavo di
parlare oggi. Comincerò con degli esempi dell'esperienza immediata
della lotta in Messico.
A Città del Messico tutti hanno
la televisione, anche i più poveri: è un regno di contrasti.
La televisione non c'è nelle comunità indigene, ma ci sono
le radio. Già negli anni '70 in Chiapas l'ideale di un Totzil era
un cinturone con una grande fibbia e una radio. Il controllo della riproduzione
ha come pietra miliare il controllo dei media: essi non sono il fondamento,
ma il risultato, l'espressione ultima di un lavoro molto più profondo.
In Messico abbiamo un problema simile al vostro con Berlusconi. Da noi
Emilio Ascarraga (un messicano) è il capitalista che apparentemente
organizza la vita politica, che ha il monopolio della TV latinoamericana.
Il controllo dei media in Messico è molto importante, come lo sviluppo
delle strade.
Attraverso i mezzi di comunicazione il
capitalismo sta regolando lo sviluppo delle forme di consumo, sta sostenendo
il controllo di tutto il processo di riproduzione della forza-lavoro.
Tanto i disoccupati del distretto federale,
i lumpen, che la forza lavoro rurale, anche se non sono stati incorporati
nel lavoro industriale, certamente sono entrati già sotto il controllo
del processo di riproduzione. Questo è molto importante per capire
la problematica del terzo mondo.
E' un paradosso. Gli indigeni del Chiapas
non sono proletarizzati, ma vivono la realtà di un controllo globale
del processo di riproduzione capitalistico. Per collocare la problematica
chiapaneca, bisogna ubicarla nel controllo del processo globale di riproduzione.
Tutto lo spazio geografico chiapaneco si organizza intorno alla rendita
della terra che garantisce la fornitura di materie prime. Allo stesso
tempo questi indigeni, che fanno parte in questo senso dell'accumulazione
di capitale, hanno costantemente una relazione con il mercato.
Consumano radio, alimenti, sistemi di salute
occidentali (gli stessi alimenti generano malattie), perdono i loro sistemi
di salute tradizionali, non solo perché consumano oggetti, ma perché
la stessa accumulazione di capitale li ha sradicati dai loro luoghi. Tutti
gli indigeni zapatisti non vivono in quella regione da 500 anni. Furono
costretti ad emigrare dalle montagne, e 20, 30 anni fa sono finiti nella
selva tropicale. Non conoscono le piante di quella zona, così la
loro medicina tradizionale è sparita. Hanno cominciato a mangiare
zucchero bianco, che causa molte malattie. Hanno malattie molto gravi.
Questo è un problema di sottomissione del consumo. Allo stesso
tempo hanno tutte le altre malattie del terzo mondo.....
Le immagini che produce il capitalismo
sono potentissime, muovono azioni storiche gigantesche. Gli indigeni chiapanechi
non vogliono tornare alle loro forme tradizionali, le indigene dell'EZ
vogliono lavatrici, per non stare tutto il giorno nel fiume a sfregare
la roba. Sono incorporati in una logica di consumo completa.
Non si può capire la loro modernità
se non si tiene conto che attraverso le radio hanno ascoltato tutta l'esperienza
politica del Centro America. Hanno vissuto nella regione dove arrivavano
tutte le radio guerrigliere, la radio cubana e tutte le radio locali.
Quando arrivano nelle città queste
realtà sono più intense: le merci sono più care e
più potenti, gli oggetti in quanto tali hanno più potere
di generare dipendenza.
Gli indigeni vivono tutta la violenza del
capitalismo come violenza che entra attraverso il controllo del processo
di riproduzione e che si combina con il vecchio controllo del processo
di lavoro, che è una forma di controllo medioevale. Lo stesso succede
a Città del Messico, che è un grande apparato di controllo.
Il contrasto più importante e più inspiegabile è
che è la città più inquinata del mondo. E' arrivata
ad asfissiare la gente, è un inferno orwelliano.
Non c'è nessun gruppo di sinistra
che si ponga il problema. Il discorso sull'inquinamento è il discorso
dello Stato, che ributta la palla ai cittadini, che dice che il 70% dell'inquinamento
è causato dalle auto. Questo, anche se è un dato manipolato,
in sostanza è vero, perché ci sono 7 milioni di auto. Ma
quante di queste auto appartengono al capitale, generando plusvalore?
Quante sono le auto dell'industria, del commercio, della finanza, dello
Stato? Quanto veramente è il trasporto della gente? Ma a parte
questo, è il capitalismo che disegna questi oggetti, è lui
il responsabile.
L'inquinamento produce la perdita dell'ossigeno
nel sangue, produce depressione. Senza ossigeno nel sangue scende la combattività.
E' una manipolazione materiale. La gente si ribella per il Chiapas e non
per l'inquinamento, è una pazzia.
Quelli che si sono ribellati a Città
del Messico per il Chiapas sono le persone che vivono di più la
violenza della città, cioè non solo i lavoratori delle fabbriche.
Quando parlo di città, parlo di
un valore d'uso moderno, che ha a che vedere con la sussunzione reale
del consumo, come gli alimenti, che sono oggetti materiali che stanno
manipolando la produzione di corpi, la riproduzione della forza lavoro.
Quelli che lottano di più sono i più poveri, gli abitanti
dei quartieri periferici, e le loro lotte si danno nello spazio della
riproduzione della forza lavoro. Sono lotte per la casa, per le condizioni
immediate di vita, non sono lotte per il posto di lavoro o per il salario,
ma per avere la luce, contro le imposte, ecc. Il nucleo combattivo sono
le donne perché sono legate alle necessità di mantenere
lo spazio domestico.
Come si spiega questa lotta? Io me la spiego
come la lotta di questa grande parte dell'esercito industriale di riserva
che, a differenza del XIX secolo, ora oltre a vivere l'esclusione dal
lavoro, vive la sussunzione del processo di riproduzione. L'esercito industriale
di riserva oggi non ha il lavoro ma ha la televisione, ascolta la radio,
è nella logica del consumismo. Vive la lacerazione della sussunzione
del consumo. Allora solo così si spiega la combattività
di questa gente.
C'è un'analogia strutturale fra
gli indigeni chiapanechi e gli abitanti delle periferie di Città
del Messico: sono parte delle grandi masse marginali che tendenzialmente
si incorporano nella logica dell'esercito industriale di riserva, ma a
differenza dell'esercito industriale di riserva del secolo XIX vivono
la violenza del processo di sussunzione reale della riproduzione.
Questo genera una analogia peculiare. Siamo
abituati a pensare che questo esercito fermasse le lotte operaie, proletarie.
Era l'esercito dei crumiri. Ma ciò che sta succedendo in Messico
è che proprio loro sono i più combattivi, trascinandosi
dietro l'esercito dei lavoratori attivi che, tra le altre cose, non hanno
voglia di mobilitarsi perché sentono che possono perdere qualcosa.
Nel mondo attuale cosa può perdere
un proletario? Nient'altro che le proprie catene. Ma provate a convincere
un operaio. Non lo si può convincere a causa della sussunzione
reale del consumo, perché crede che può perdere il suo consumo,
la sua macchina, la sua casa, la sua donna, che, in un sistema così
strutturato, è come perdere tutto. E' ciò che Lenin intuisce
e chiama aristocratizzazione della classe operaia. Questa è una
realtà molto più complessa. Non è un'aristocratizzazione:
tutti abbiamo la merda fino al collo.
Gli "aristocratici" nel XIX secolo
erano una minoranza della classe operaia, ma nel XX secolo siamo tutti
dentro a questa logica. La risposta di ribellione si da in quei punti
dove è impossibile questa logica di sussunzione del consumo.
Questa è la mia idea generale. Esistono
legami oggettivi fra la lotta del Chiapas e la lotta generale del movimento
operaio internazionale.
In primo luogo il terzo mondo sta diventando
lo spazio dove si concentra l'esercito industriale di riserva mondiale.
E' un esercito che si sta globalizzando. E' una nuova realtà, nella
quale il fatto che il capitalismo domini tutto il processo di lavoro sta
permettendo di convertire tutta la popolazione che era non capitalista
in una popolazione capitalista, però come esercito industriale
di riserva. Secondo gli annuari dell'ONU il terzo mondo è lo spazio
dove si trovano più di 1.250 milioni di disoccupati e sottoccupati,
cioè lo spazio dell'esercito industriale di riserva mondiale: 1.250
milioni di disoccupati contro i 37 milioni del primo mondo.
Allo stesso tempo nel primo mondo si concentra
l'esercito attivo, anche se non è un'affermazione netta. Anche
in Messico, Brasile, Argentina, Taiwan, esiste un esercito attivo, ma
che non si può comparare a quello europeo. In alcuni posti esistono
entrambe le cose, ma c'è una polarizzazione funzionale.
Il modo di articolare questi due eserciti
si basa sulla circolazione della forza lavoro e sulla circolazione del
capitale. Perché i disoccupati possano fare una pressione sugli
occupati è necessario che siano presenti, in una maniera o nell'altra.
Cioè viaggiando direttamente come emigranti, o indirettamente,
come una possibilità per il trasferimento di capitali se la resistenza
operaia va avanti. Il Messico occupa un ruolo strategico in questa articolazione.
La globalizzazione dell'economia mondiale
di oggi incorpora i lavoratori asiatici e questo pone un problema molto
importante nell'articolazione della concorrenza internazionale. Si è
chiarito che durante gli anni '80 la competitività giapponese non
era tanto nella tecnologia quanto nella subordinazione della forza lavoro
giapponese, nel controllo all'interno della fabbrica. E molto più
sottomessa è la forza lavoro indiana e degli altri paesi dell'area
del Pacifico. E' una forza lavoro supersfruttata che produce prodotti
tessili, elettrodomestici, le merci più economiche.
L'ingresso di queste merci in America Latina
non ha nessun tipo di resistenza. Questa è una difficoltà
per gli USA e l'Europa per mantenere l'egemonia internazionale. L'egemonia
del capitale dipende dai guadagni straordinari nei settori di punta, che
dipendono dalla tecnologia avanzata, ma anche dal supersfruttamento. Gli
USA competono con Europa e Giappone con la tecnologia di punta, ma il
fatto che l'Oriente si stia organizzando come un blocco di lavoro economicissimo
sta obbligando gli USA ad esercitare un controllo sull'America Latina
come un blocco di lavoro a basso prezzo. Sta obbligando l'Europa a far
lo stesso con l'Africa e l'Europa Orientale.
L'egemonia dipende da questo controllo.
Il progetto generale non è lo stesso per il primo e per il terzo
mondo. La privatizzazione delle imprese negli USA non comporta la svendita
del patrimonio nazionale ai capitali stranieri. La privatizzazione in
America Latina implica la consegna totale della sovranità nazionale.
Il neoliberismo sembra che generi la dissoluzione
dello Stato, ma questo non è vero perché gli Stati continuano
a compiere una funzione fondamentale: incarcerare la forza lavoro nei
suoi spazi territoriali, in modo che si mantenga il suo basso prezzo,
che implica il possesso del controllo del processo di lavoro, contro i
flussi migratori.
Gli stati non possono sparire perché
se no la circolazione di forza lavoro sarebbe a livello mondiale e questo
porterebbe alla rivoluzione mondiale. Il Messico è un paese strategico
in questo programma di subordinazione dell'America Latina.
Dalla subordinazione del Messico dipende
tutta la subordinazione dell'America Latina, in primo luogo perché
è il paese crumiro che rompe ogni possibilità di unione
latinoamericana, poi perché è il paese che i media internazionali
prendono come esempio del miracolo economico da seguire. Questo non lo
hanno potuto fare con il Cile perché era il frutto di una dittatura.
Ci vuole una certa discrezione, anche se
quello che sta succedendo in Messico è quello che economicamente
è già successo in Cile: la distruzione degli apparati produttivi,
la conversione di tutti gli impianti industriali in produttori di solo
quattro prodotti, alzare il tasso di sfruttamento e presentare il tutto
come processo di democratizzazione.
Tutta questa merda è già
successa in Cile, ma non può essere il paese strategico per controllare
l'America Latina, mentre il Messico si. In più il Messico ha la
peculiarità di avere una densità demografica molto alta,
ha una radice preispanica, ha una struttura agraria complessa, che aveva
bisogno di cambiamenti molto più modesti nelle relazioni sociali.
Il Cile, in America Latina, è una
delle nazioni più proletarizzate. Il Cile è il primo paese
in America Latina dove si sviluppò un moderno movimento operaio.
Mentre in Messico, come nel Centro America e in parte dell'America del
sud, si concentra la maggior parte della popolazione preispanica, che
si esprime come cultura contadina. La trasformazione del Messico è
la trasformazione del nucleo più importante di questa antica popolazione
locale.
Questo è ciò che sta generando
indici di violenza straordinaria, facendo si che un settore molto grande
di popolazione resti completamente emarginato, che le sue condizioni di
sopravvivenza restino al limite. Questo è quello che sta dietro
alla crisi rivoluzionaria che sta vivendo il Messico.
Per le condizioni specifiche del territorio
e della storia del posto, in Messico questa proposta neoliberale di supersfruttamento
è arrivata al fondo: se i tecnocrati neoliberisti persistono a
non negoziare un nuovo patto sociale, vanno ad alimentare progressivamente
una crisi rivoluzionaria, che dal mio punto di vista si può estendere
in parte all'America Latina e al sud degli USA.
Questa è un'ipotesi che non deriva
da un trionfalismo ma da un'analisi economica. Deriva dal fatto che gli
USA realmente hanno divorato il paese e ci sono milioni di persone di
origine messicana negli USA, di cui cinque milioni sono illegali, mentre
fra Messico e USA c'è il principale flusso migratorio del mondo.
Questo è molto importante, perché stavamo dicendo appunto
che il capitalismo mondiale articola questa relazione fra primo e terzo
mondo come articolazione fra elemento attivo ed esercito industriale di
riserva. La principale articolazione nel mondo è quella fra Messico
e USA.
Dicevamo che il dominio sull'esercito industriale
di riserva si da anche come dominio sul processo di riproduzione. Il Messico
è anche un esempio del dominio sul processo di riproduzione nel
terzo mondo. In Messico abbiamo la principale catena di televisioni in
America Latina. Già trasmette in Europa. Abbiamo questi contrasti:
uno dei principali eserciti industriali di riserva del mondo in una logica
di sussunzione reale molto sviluppata; abbiamo la città più
grande del mondo e anche una crisi rivoluzionaria che ha riflessi in tutto
il mondo. La seconda città messicana più grande del mondo
è Los Angeles, negli USA, dove c'è stata la rivolta tre
anni fa. Questo per capire le possibilità di contagio. (...)
Se i tecnocrati monetaristi continuano
a non voler realizzare un patto sociale, continuano ad alimentare questa
lotta di classe nella regione. Ma se inizia la lotta di classe negli USA
torneremo agli ultimi decenni del secolo scorso, l'unico periodo in cui
si è sviluppata una forte lotta di classe all'interno degli USA.
Con la differenza che ora gli USA sono al centro del capitalismo mondiale.
La lotta dei contadini e degli emarginati
in Messico sta contagiando tutti i settori lavorativi, sta maturando in
lotta di classe generale. Il capitale egemonico della regione è
intrappolato in una contraddizione: se negozia col Chiapas deve negoziare
col Messico, con l'America Latina. Un patto sociale che non gli permette
la concorrenza con l'Oriente. Se non negozia va a svilupparsi una lotta
di classe.
Mi pare che sia interesse di tutti i lavoratori
nord americani il fatto che ci sia un patto sociale in Messico. Riceverebbero
meno pressioni ad abbassare il loro salario. Questa è una tendenza
che è in corso negli stessi USA. E' interesse generale dei lavoratori
del primo mondo collaborare perché nel terzo mondo ci sia un innalzamento
del salario. Bisogna arrivare ad un accordo generale perché vi
sia un patto sociale. Se non c'è questo accordo il capitale continua
ad avanzare sulla linea del supersfruttamento nella periferia e nella
metropoli. (...)
E' necessario articolare le forme di lotta
con reti di comunicazione a livello internazionale, ma credo anche che
sarà molto difficile mobilitare le masse del primo mondo con l'argomento
della solidarietà con la lotta del terzo mondo. Deve esserci qui
una propria lotta specifica. In questo senso non è importante se
è strettamente una lotta contro il controllo del processo di lavoro,
può anche essere contro il dominio del processo di riproduzione.
Solo con l'articolazione della lotta contro
il dominio capitalistico del processo di produzione e di consumo si possono
articolare lotte complesse in alternativa: il pacifismo, l'ecologia, la
critica della vita quotidiana, l'antipsichiatria, le lotte delle comuni.
Tutte le esperienze di lotta europee degli ultimi 20 anni credo che siano
in funzione di una risposta al dominio del processo di riproduzione. Ma
senza dubbio non sono state proposte come tali, sono state proposte nell'articolazione
che hanno con il dominio del processo di lavoro. Se non si articolano
teoricamente queste forme di controllo, non si possono articolare in maniera
pratica le risposte organizzative e non si possono articolare le lotte
del primo e del terzo mondo, perché anche le lotte del terzo mondo
comprendono questa complessità, anche se con un'altra faccia.
Voi lottate contro il dominio sulla riproduzione,
con l'antipsichiatria, con l'ecologia, col femminismo, e nel terzo mondo
si lotta contro la sussunzione della riproduzione con le lotte degli emarginati
dei quartieri poveri. Sono casi differenti, ma strutturalmente esprimono
fenomeni simili.
Cominciamo con le domande, con la discussione
su quello che ho detto.
¥ Non ti sembra che proprio per la
globalizzazione, come linea di tendenza, non si possa pensare ad un superamento
della divisione tra primo e terzo mondo?
¥ Per quanto riguarda il discorso sui
mass media e il sistema di comunicazione, tu hai detto che sarebbero l'architrave
del controllo della riproduzione, ma che esso poggia comunque sulle questioni
materiali. Io mi chiedevo se invece attorno ai mezzi di comunicazione
non si sia sviluppato un vero e proprio settore produttivo, se quindi
il sistema comunicativo non stia diventando a sua volta parte di questa
base materiale. Se il primo mondo non si stia sviluppando più sulla
produzione di comunicazione che sulla produzione di oggetti.
¥ Mentre il dibattito anche attuale
che si conosce tende a dare un'importanza molto ampia, quasi unica, al
processo di finanziarizzazione, invece c'è una base materiale che
è il capitale industriale, produttivo, dal quale dipenderà
il capitale finanziario. Come dire: Attenzione! Non è il capitale
finanziario che dobbiamo guardare per capire i processi di fondo, ma il
capitale produttivo. Anche fra i compagni si parla sempre di finanziarizzazione
dell'economia, mutuando un paradigma interpretativo dell'economia borghese,
non dell'economia marxista, che parte dalla base materiale che è
il capitale produttivo. Mi sembrava di capire che questo capitale produttivo,
che è fondamentalmente legato al centro, ma che ha anche delle
diramazioni in periferia, effettivamente non produrrebbe la quantità
di valori d'uso necessari in prospettiva per il benessere di tutto il
pianeta. Anche qui c'è una grossa differenza rispetto a quello
che si sa abitualmente. Abitualmente pensiamo che il capitalismo così
com'è oggi, come base produttiva mondiale, produce già la
massa di beni di valore d'uso sufficienti per tutto il pianeta, solo che
c'è una distribuzione che è massificata al centro come consumi,
mentre non c'è assolutamente l'idea di poter dare benessere capitalistico,
così come esso è dato oggi al centro, a tutto il pianeta.
Questa base produttiva capitalistica non avrebbe i mezzi sufficienti per
poterlo fare, quindi sarebbe un problema di scarsità e non di cattiva
distribuzione. Mi è sembrato di capire da qualche altro passaggio
che il capitalismo in sé è una forza produttiva molto giovane,
non è una forza produttiva in declino per vecchiaia, come poteva
pensare Lenin ma dovrebbe essere una formazione storica molto giovane,
con ancora davanti molte risorse da spendere.
RISPOSTE
Comincerò dalle domande più
teoriche e poi passo alle più pratiche e immediate. Comincio dall'ultima
che poneva questioni più generali che riguardano lo sviluppo delle
stesse forze produttive nel mondo. La questione comprende due problemi
differenti abbastanza complessi.
In primo luogo il problema è se
è dominante il capitale industriale o quello finanziario. E' un
problema soprattutto metodologico, che si discute generalmente in termini
empirici, ma rimanda ad una affermazione di ordine metodologico. Il secondo
problema è quello della scarsità della ricchezza materiale.
Come possiamo determinare la misura della scarsità?
Il primo problema lo comincia a discutere
Hilferding, che introduce un punto di vista metodologico per discutere
il problema che a me pare sbagliato. Esso consiste nel sottolineare da
un punto di vista empirico l'importanza reale del capitale finanziario.
Il problema è che quando Marx dice che è fondamentale il
capitale industriale, non il capitale commerciale e finanziario, si sta
riferendo al fatto che in termini trans-storici ciò che è
fondamentale è la produzione, non la circolazione o il consumo.
Nella società primitiva, nello schiavismo,
nel feudalesimo, nel capitalismo e nel socialismo, la produzione è
sempre il momento trascendente della riproduzione sociale. Questo argomento
appare nell'introduzione al Grundrisse del 1857, è un problema
teorico di fondo. Non vale dire che nel secolo XIX ciò che è
importante è il capitale produttivo e che nel XX secolo è
il capitale finanziario perché le cose sono cambiate: questa è
una maniera subdola di discutere con Marx. Una maniera sincera di discutere
con Marx l'ha fatta George Bataille, che ha detto che ciò che è
fondamentale è il consumo e ha riunito una serie di argomenti.
L'assunto è che Hilferding discute
con Marx, critica i fondamenti della teoria marxista, ma senza esplicitarlo.
Pare che discuta solo di analisi congiunturale, non dei fondamenti. Su
questo imbroglio metodologico si sono costruite tutte le teorie dell'imperialismo.
Questo è il primo problema. Quando diciamo che il capitale industriale
è determinante diciamo una cosa che non si dimostra con i dati.
Non si dimostra argomentando che su 10.000 unità di capitale 8.000
sono di capitale finanziario, perché in ultima analisi il capitale
finanziario non produce plusvalore.
A volte il capitale finanziario è
anche capitale produttivo, quando il capitale finanziario è la
mescolanza fra capitale bancario e industriale. Quando in questi casi
il capitale finanziario funziona anche come controllo del processo di
lavoro è capitale industriale, non è capitale circolatorio.
Questo è il punto per cui è molto difficile discutere. In
ogni caso si può discutere con Marx, ma come ha discusso Bataille:
dovremmo dimostrare perché la circolazione è fondamentale
in ultima istanza, sempre, o perché non c'è niente che sia
determinante in ultima istanza, mai. Però la discussione deve condursi
in quesiti teorici puri, non usando il manganello delle statistiche. Questo
è il primo punto che può generare confusione.
Il secondo problema è quello della
scarsità. Voglio riferirmi alla problematica generale dell'economia
politica, che è collegata con questo problema. In primo luogo,
il problema della scarsità è il problema dal quale dipende
in termini strategici la lotta di classe ed è stato molto poco
trattato. L'unico marxista che ha posto al centro della discussione il
problema della scarsità fu Sartre, non a livello dell'economia
politica ma a livello del materialismo storico. Il punto consiste nel
fatto che il capitalismo ha un posto nella storia perché è
la risposta finale di tutte le società di classe alla scarsità,
quella che porta lo sfruttamento del lavoro alle sue ultime conseguenze.
Ricreando le forme varie di sfruttamento umano che sono esistite fin ora
accumula le energie rivoluzionarie e le condizioni materiali che finalmente
permettono di liquidare la lotta di classe.
Questo è il problema politico che
si pone di fronte alla tematica della scarsità. Mi pare che nella
critica dell'economia politica di Marx il problema si concentri nella
teoria del plusvalore relativo, cioè nella teoria che spiega lo
sfruttamento del lavoro secondo il metodo del valore relativo. E' l'unico
metodo che permette di aumentare permanentemente il tasso di sfruttamento
ma al prezzo di automatizzare progressivamente il processo di lavoro.
Questa automatizzazione tende a portare al limite oggettivo del capitalismo.
Questo è chiarissimamente esposto
da Marx nei Grundrisse, è una delle grandi previsioni di Marx che
stiamo vedendo ora come si compie.
Il problema è però un po'
più complesso. In primo luogo è necessario pensare sempre
lo sviluppo delle forze produttive in un contesto territoriale. I rapporti
produttivi non sono sospesi nell'aria, hanno radici territoriali. Il cavallo,
come forza produttiva, non è lo stesso nel XVI secolo in Europa
e in America. L'Europa è piana, piena di strade, l'America è
piena di selve tropicali. Vale a dire: non era la stessa forza produttiva.
Un computer portatile non è la stessa cosa a New York o nel centro
dell'Africa. Dipende dal contesto territoriale in cui si colloca. Non
perché qualcuno va in Africa con un PC portatile si sviluppano
le forze produttive. Questi studi di come si concretizza la tecnologia
non esistono, o appena cominciano a svilupparli i geografi marxisti. Ma
il problema è che nessuno li conosce.
Voi non sapete che il migliore è
un italiano, si chiama Massimo Quarini, e ha scritto "Marxismo e
geografia". Negli USA c'è un gruppo molto importante. Questi
problemi sono legati al problema di ricercare fino a che punto lo sviluppo
delle forze produttive possa garantire una ricchezza abbondante. Di fronte
a questo problema non ho una risposta. Sto ricercando.
Io ho il dubbio che questo sviluppo delle
forze produttive non possa garantire una ricchezza abbondante a tutto
il pianeta. Ma l'unica cosa che posso proporre sono i miei dubbi. In primo
luogo il problema della scarsità non è un problema lineare,
come dire: dove il capitalismo sviluppa le forze produttive deve andare
da 1 a 100, ed è arrivato a 40, così gli mancano 60 punti.
Cioè il capitalismo percepisce che in questa tendenza all'automatizzazione
progressiva del processo di produzione si avvicina alla sua fine storica.
Questo lo ha scoperto con orrore la prima
volta con l'opera di Ricardo. Ricardo si spaventa di questa contraddizione.
In qualche modo le crisi cicliche del capitalismo sono collegate con questo
fatto essenziale. Ogni volta che nella crisi si distrugge la ricchezza
il capitalismo torna a prendere forza. Entrambe le guerre mondiali sono
servite principalmente a rilanciare la forza del capitalismo. Il capitalismo
non si è sviluppato mai tanto come dopo la seconda guerra mondiale.
In termini globali il capitale del secolo XX, come parte di questa logica
di sussunzione del consumo (del consumo non solo individuale, ma anche
produttivo, del consumo che fanno le industrie dei prodotti di altre industrie),
ha scoperto il meccanismo di distruzione della sua stessa ricchezza, che
gli dà una grande agilità. Come dire, ha scoperto che si
può produrre artificialmente scarsità, cosa che dà
longevità al sistema. Questo inizialmente comporta un problema
per la misurazione, perché da un lato abbiamo una tecnologia, che
a volte non è sufficientemente abbondante per garantire la ricchezza
di tutti, ma che dà un carattere progressivo al capitalismo, gli
dà una missione storica, ma d'altra parte abbiamo una meccanica
già decadente, dove il capitalismo compie una funzione solo distruttiva.
Viviamo in un momento in cui si compiono
queste due realtà e dove nel primo mondo si concentrano le forze
distruttive, e nel terzo mondo hanno luogo le forze produttive.
Ma è ovvio che anche nel terzo mondo,
per il caos e la barbarie, le forze distruttive sono molto grandi. E'
ovvio che nel primo mondo si concentrano le forze distruttive perché
qui l'automatizzazione è maggiore. Il problema della misurazione
di queste realtà richiede la chiarificazione di questi problemi.
C'è inoltre un'altra serie di problemi che hanno a che vedere con
lo schema tecnologico, con il fatto che lo sviluppo delle forze produttive
esistenti è pensato per una certa misura. Per esempio l'automatizzazione
delle forze produttive in base allo schema ferro - petrolio, funzionava
senza problemi per una certa misura, ma nel momento in cui globalizziamo
la misura, cioè un momento in cui riempiamo il mondo di automobili,
abbiamo la distruzione della fascia d'ozono e l'effetto serra che mostra
che lo sviluppo delle forze produttive non era tale.
Per inventare un esempio assurdo, è
come se i primitivi volessero costruire una grande diga ponendo pietra
su pietra, e improvvisamente scoprissero che la diga crolla. Per noi sarebbe
ben facile dire: queste forze produttive sono molto primitive. Ma possiamo
dirlo lo stesso dell'energia atomica, perché è una forza
produttiva molto primitiva, perché la diga scoppia. Anche il motore
a scoppio è una tecnologia primitiva, perché non garantisce
la produzione di ricchezza su scala mondiale.
Oggi assistiamo ad un ricambio intenso
dello schema tecnologico. Nel cambiamento degli ultimi 20 anni il capitale
mondiale ha riconosciuto che il suo riferimento tecnologico non serviva
alla globalizzazione del processo di lavoro mondiale. E si trova a riformulare
con nuovi materiali, nel quale l'anima non è più il vecchio
acciaio, sostituito dai materiali compositi, dalla plastica, dai polimeri,
e si trova in un processo di cambiamento delle forme di energia.
Un altro esempio per vedere come si complicano
le cose è che non gli conviene dare una via d'uscita energetica
allo sviluppo del capitalismo mondiale basata sull'energia solare perché
è molto difficile la rendita dell'energia solare. E' molto difficile
concentrare tecnologicamente la rendita dell'energia solare. Lavorano
intensamente in questo senso, come per esempio con le stazioni spaziali
che condensano energia solare e la inviano intensamente alla superficie
della terra. Ma prima di raggiungere questa soluzione tecnica preferiranno
consumare tutte le riserve di petrolio. Allora, per considerare quanto
sono scarse le forze produttive oggi, bisogna considerare il loro carattere
ecologico, che è un'altra sfumatura.
Quale marxista ha introdotto questo carattere
di riflessione? Questo semplicemente per avere un'idea di quello che non
facciamo come marxisti. Nonostante ciò affermiamo che il problema
è semplicemente la redistribuzione della ricchezza, senza sapere
se i nostri nemici giocano già una carta nella storia o si trovano
in un punto di decadenza. C'è bisogno di più modestia da
parte nostra, riconoscendo le nostre debolezze, perché solo riconoscendole
cominceremo ad agire con forza reale.
Bene, questo era il primo punto. Ora affrontiamo
la questione della globalizzazione, cioè se la globalizzazione
sta rendendo necessaria la differenziazione fra primo e terzo mondo. Questa
è una domanda che mi faccio tutti i giorni, e non ho ancora una
risposta...
Con questo problema comincia il primo capitolo
del capitale, quando spiega che la contraddizione fra valore e valore
d'uso della merce si neutralizza sempre risolvendosi nella contraddizione
merce/denaro.
Un'altra contraddizione è quella
fra tecnica e riproduzione. Da un lato il capitalismo ha bisogno di accumulare
capitale, produrre plusvalore, e per questo deve sviluppare le forze produttive
tecniche, ma d'altra parte deve riprodurre la popolazione, sfruttata e
subordinata, e deve sottomettere il processo di riproduzione della popolazione
ai tempi di sviluppo della tecnologia.
Lo sviluppo capitalistico non è
lineare, ma sempre oscillante fra progresso, stasi e crisi. Questo implica
che la tecnica chieda alla riproduzione cose contraddittorie. Nei momenti
di sviluppo il capitale chiede alla popolazione di crescere, essere felice,
che facciano figli, si sposino, si amino. Impone un certo modello di sessualità,
di psicologia, di stato d'animo. Quando il capitalismo è in stasi
o in crisi, la tecnologia manda il messaggio opposto, perché quando
non c'è lavoro i bambini sono di troppo. Quando il capitale è
in stasi o in crisi la gente è in eccedenza, il capitale manda
il messaggio di non fare figli, che si controlli il tasso di natalità,
che si riproducano meno, e, nei settori più marginali del proletariato,
che si suicidino, che consumino droghe, che si autodistruggano.
Ma questo non succede perché l'occidente
ha scoperto la fine delle utopie, ma perché il capitalismo entra
in un ciclo. E' la seconda volta che succede nel XX secolo. Negli anni
'20 e '30 è sorto un movimento di massa nichilista, quando Bataille
ha scritto il suo primo libro. Ma egualmente in questa epoca i militanti
si suicidavano, si svilupparono il fascismo e tutte le tendenze nere del
capitalismo. Perché questa contraddizione non esplode? Perché
c'è una maniera in cui si neutralizza: si distribuisce spazialmente.
Ci sono persone necessarie e persone non
necessarie, paesi necessari e paesi non necessari. Credo che tutto l'insieme
delle contraddizioni capitaliste, che ora non ho tempo di descrivere,
si esprima alla fine con la necessità di organizzare il mondo come
un mondo metropolitano e uno periferico.
Ma risolvere questo implica ancora sviluppare
collettivamente una teoria nuova dello sviluppo capitalista. In questo
senso il lavoro di Lenin e della teoria dell'imperialismo è importante,
riconosco che la polarità è molto importante, ma non credo
sia stata sufficientemente spiegata, e nemmeno si è collegata la
teoria di Marx con la teoria della polarizzazione. Bisogna ricordare che
Marx aveva un progetto di lavoro molto grande, per la descrizione dell'economia
capitalistica. Era un progetto di sei libri. Il primo era l'analisi del
capitale, il secondo della proprietà della terra, il terzo del
lavoro salariato, il quarto dello Stato, il quinto del commercio internazionale,
il sesto del mercato mondiale. Era un progetto gigantesco, e di questi
sei ne ha scritto solo uno, "Il Capitale", che è il punto
di partenza per ricostruire la logica globale.
Ma i marxisti che cominciarono a lavorare
dopo la morte di Marx si affrettarono di più a dire che le cose
erano cambiate, che bisognava riprendere alcune cose, ma nessuno riprese
il progetto di critica globale di Marx. Le conseguenze le vediamo ora:
120 anni dopo la sua morte non abbiamo una teoria su come il capitalismo
si sviluppa polarmente nel mondo, non abbiamo una teoria critica di sinistra
che spieghi questa cosa. L'unica teoria che abbiamo è la teoria
dell'imperialismo, ma essa non ha recuperato il problema dello sviluppo
delle forze produttive.
Così, disgraziatamente, non ho una
risposta, ho solo intuizioni.
In riferimento all'ultima domanda, il problema
è questo paradosso molto importante che avete segnalato, cioè
intendere il capitale dedicato ai mezzi di comunicazione come un capitale
industriale. E' un discorso un po' più complesso, perché
è un capitale che si comporta a volte come un proprietario terriero,
cioè non è semplicemente capitale industriale, anche se
usa molta tecnologia, apparati, elettronica, satelliti. Perché
ciò che usa è lo spazio e tutti quelli che usano lo spazio
hanno a che fare con la rendita.
Non solo chi produce alimenti ottiene rendita
dalla terra, c'è rendita anche per estrarne petrolio, minerali
e anche per l'uso dello spazio delle comunicazioni. E' talmente un problema
spaziale che chi legifera sull'uso dello spazio della comunicazione è
precisamente chi regola il problema di tutto lo spazio: lo Stato. E' lui
che assegna le concessioni affinché le imprese private usino lo
spazio della comunicazione. Ciò che succede è che questo
capitale dei mezzi di comunicazione non paga nessuna rendita allo Stato,
per questo i suoi profitti sono così alti.
Il capitale in campagna ha una struttura
particolare. Da un lato c'è il padrone della terra, il proprietario
terriero, dall'altra parte c'è l'affittuario: in genere l'imprenditore
che arriva in questo posto con la tecnologia e che assume i lavoratori
agricoli. Lui produce e genera la ricchezza, ma la deve dividere. Si tiene
una parte dell'eccedente e un'altra parte la consegna al padrone della
terra. Il proprietario, anche se non sviluppa le forze produttive, deve
essere rispettato perché è il simbolo storico della proprietà
privata. Il capitalismo per sviluppare le forze produttive in campagna
tende ad annullare la presenza dei proprietari terrieri, a socializzare
la produzione, come fa nell'industria. Ma se questo viene realizzato,
cioè si eliminao i proprietari terrieri, il capitale annulla il
proprio punto di partenza, cioè la proprietà privata. Per
questo l'affittuario, anche se odia il proprietario terriero, lo deve
rispettare. E' una contraddizione molto forte, che tende a risolversi
solo con la conversione degli affittuari in proprietari.
Questo è un problema generale, che
riguarda anche i mezzi di comunicazione. Nei mezzi di comunicazione l'affittuario
si è convertito già nel proprietario terriero, come Berlusconi
che non paga rendita a nessuno e per questo ottiene guadagni giganteschi.
Per questo è uno dei business più importanti oggi. In primo
luogo, effettivamente, i mezzi di comunicazione sono legati al controllo
del processo di lavoro. E' un processo di produzione sempre più
collegato a tutti gli altri mezzi di produzione. L'automatizzazione moderna
di questo processo di lavoro si introduce con la robotica, la microelettronica,
l'informatica, e genera un processo di lavoro integrato su scala planetaria.
Marx chiama i mezzi di comunicazione e
di trasporto "la forza produttiva generale". Come dire che per
Marx i mezzi di comunicazione e di trasporto sono la "spuma"
dello sviluppo delle forze produttive, perché ai mezzi di comunicazione
e di trasporto restano legati tutti gli oggetti.
Il capitale sta passando dall'automatizzazione
all'interno all'automatizzazione del pianeta. Cioè sta passando
alla connessione automatica di punti territoriali lontani l'uno dall'altro.
Stiamo entrando in qualcosa che ha descritto Asimov nella "Prima
fondazione". Il capitale sta creando una sfera automatizzata attraverso
i satelliti e i mezzi di comunicazione. Questo fa che la parte strategica
in questa correlazione fra i mezzi di lavoro siano proprio i mezzi di
comunicazione.
Il problema è che i mezzi di comunicazione
sono molto importanti perché non sono solo ciò che correlaziona
tutto il processo di lavoro, ma collegano il processo di lavoro con quello
di riproduzione. E' il vertice della forza produttiva, è la forza
produttiva che sintetizza tutto. Questo processo di sviluppo tecnologico
sta creando masse gigantesche di lavoratori, colletti bianchi, che devono
studiare la microelettronica, ecc.
I teorici borghesi li qualificano come
lavoratori dei servizi. E' una gran trappola attraverso la quale si dice
addio al proletariato. Nel momento in cui il processo di lavoro è
così complesso da creare un operaio sociale complesso, e dove effettivamente
il lavoro materiale nell'elaborazione finale del prodotto è minore,
ciò che sta succedendo è che tutti stiamo avendo a che fare
in una maniera o nell'altra con il processo di lavoro.
Evidentemente complicare il processo di
lavoro significa complicare la classe operaia. Questa classe operaia complessa
è precisamente quella che richiede la necessità di una lotta
operaia che abbia come fondamento la diversità. Ma se seguiamo
l'idea dogmatica che gli operai stanno solamente nell'industria, non riusciamo
a cogliere la totalità dei problemi che si presentano ad un operaio
sociale così complesso.
Allora effettivamente il controllo dei
mezzi di comunicazione è una pietra miliare del controllo dei processi
di lavoro, ma quando dicevo che sono una pietra miliare della sussunzione
del consumo io non mi riferivo al ruolo occupato nella produzione, ma
all'interno del processo di consumo.
I mezzi di comunicazione lavorano con il
discorso, con i segni, con il linguaggio, le immagini, con una realtà
discorsiva. Volevo sottolineare che il discorso è sempre qualcosa
che si trova in funzione dei problemi materiali. Oggi è di moda
dire che la circolazione domina la produzione, o che il consumo domina
la produzione, o che il capitale finanziario domina il capitale industriale,
o che la politica domina l'economia, o che la cultura domina la politica
e l'economia. Oggi è di moda porre tutti i problemi in chiave non
materialista e questa moda è presentata come una maniera non dogmatica
di vedere le cose, perché effettivamente il nostro marxismo è
stato molto dogmatico durante il XX secolo.
Questa è una realtà. Però
non perché rifiutiamo di essere dogmatici dobbiamo dimenticare
dei problemi fondamentali. Il mondo non si potrà risolvere parlando.
Bisogna risolvere i problemi materialmente. Nessuno mangia le parole,
per quanto possano essere importanti. Il discorso sta dappertutto, non
c'è nulla dove non ci sia la cultura, non c'è nulla che
non sia "segno". Questo è completamente vero, ma mi sembra
che sia molto più importante, perché una persona diventi
narcodipendente, che prima si faccia una pera, manipoli il suo sangue
e il suo corpo, perché poi torni a consumare droga, piuttosto che
qualsiasi discorso che promuova l'uso di droghe. Mentre il discorso lo
propone tu hai la possibilità di consumare o non consumare droga.
Quando te la inietti sei fottuto, perché sei obbligato a continuare
a consumarla.
La forza della necessità del corpo
è qualcosa di fondamentale. E' quello che cerco di dire, cioè
che tutti i discorsi manipolati dai mezzi di comunicazione sono molto
forti, perché c'è un'altra serie di manipolazioni materiali
che si incontrano prima di questa manipolazione discorsiva. La manipolazione
del consumo non cominciò con la TV, ma alla fine del secolo scorso,
ed è andata avanti in modo gigantesco, mentre la TV si è
cominciata a vedere solo negli anni '50. Ovviamente nel momento in cui
è subentrata la mediazione della TV, la sussunzione del consumo
ha avuto un salto gigantesco. Non voglio sminuire la sua funzione, al
contrario dico che è una pietra miliare.
Prima della TV questa funzione l'occupava
la radio, e prima la stampa. Ci sono sempre stati mezzi di comunicazione
che hanno aiutato il consumo. Sono problemi che devono essere determinati,
hanno molte sfumature, ma quando dicevo che stanno occupando una funzione
di pietra miliare non parlavo della metafora della sovrastruttura, dell'interpretazione
stalinista o dei manuali russi del materialismo storico.
Sul problema del debito estero, credo che
il debito dei paesi si basi su rapporti di forza, relazioni materiali,
come dire: il Messico deve del denaro, è il paese più indebitato
dell'America Latina, e uno dei più indebitati del mondo, perché
a chiesto crediti molto grandi per sviluppare l'industria petrolifera.
Dal 1976 al 1982 sono caduti i prezzi del petrolio e il primo mondo ha
alzato il tasso di interesse. Così il debito messicano diventa
uno dei più alti del mondo.
Perché USA ed Europa decisero di
alzare i tassi di interesse? Perché avevano perso durante gli anni
'70 quantità gigantesche di denaro di fronte agli arabi. La strategia
dell'Europa fu prestare il denaro degli arabi (nelle proprie banche) e,
dopo averlo prestato, alzare i tassi di interesse. Così restituirono
il denaro agli arabi ma si rifecero della quantità che avevano
perduto originariamente facendola pagare al resto del terzo mondo. E se
hanno potuto realizzare questo movimento di trasferimento del debito è
perché hanno la bomba atomica, hanno il mondo pieno di eserciti,
e perché chi protesta finisce come Saddam Hussein. E' un problema
di colpi bassi. (...)
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