PEDRO: LO STATO BORGHESE UCCIDE UN MILITANTE COMUNISTA

CONTRIBUTO ALL'ANALISI E ALLA CONTROINCHIESTA SULL'ASSASSINIO DI PEDRO

Break Out - foglio della Commissione Carcere e Repressione - Padova

I FATTI: TRIESTE - 9 MARZO '85 - VIA GIULIA 39 - ORE 11

Pedro esce di casa, si tasta i vestiti, rientra; probabilmente ha dimenticato il portafoglio.
Appostati all'esterno dello stabile ci sono il vice ispettore Giuseppe Guidi, l'agente della Digos Mario Passanisi, l'agente Maurizio Bensa e Maurizio Nunzio Romano, membro del Sisde (servizi segreti).
Il Guidi, il Passanisi e il Romano entrano nello stabile suonando il campanello (dicono loro) e si mettono in agguato nel sottoscala.

Quando Pedro ridiscende le scale il Romano lo affronta e gli spara. Sparano pure il Passanisi e probabilmente, sosteniamo noi, anche il Guidi, mentre Pedro, ferito mortalmente, esce in strada urlando "aiuto, mi vogliono ammazzare".

Anche il Bensa, rimasto fuori dello stabile, quando vede Pedro uscire gli spara alle spalle. Dopo pochi metri Pedro si accascia morente, l'agente Passanisi lo ammanetta.
Trasportato all'ospedale civico muore alle 11,30.

Ad un anno di distanza da questa barbara esecuzione risulta lampante che si è trattato di un omicidio politico predeterminato, di un omicidio di stato.
Questa verità già allora è stata urlata con rabbia e determinazione nelle piazze conquistate dalla mobilitazione di migliaia di compagni.

La ricostruzione tecnico-giuridica, dopo il deposito della requisitoria da parte di Ferruccio Franzot, la controinchiesta di movimento confermano questa verità e smascherano tutti i tentativi di allora e di oggi di occultare responsabilità politiche e materiali, di insabbiare prove, di costruire provocazioni.

E' chiaro fino in fondo il ruolo determinante del Sisde nella figura di Maurizio Nunzio Romano che ha guidato l'operazione, è entrato nello stabile (nessuno ha dimostrato che non aveva le chiavi per entrare, visto che nessun inquilino di via Giulia 39 dice di aver aperto il portone), ha sparato a Pedro per primo a distanza ravvicinata.
E' stato lui (fra l'altro per giorni ha cercato di nascondere la sua appartenenza al Sisde anche davanti ai giudici) che ha preso tutte le decisioni ed ha guidato gli acconsenzienti Guidi, Bensa e Passanisi.

Su questa realtà, dimostrata anche dai comunicati della questura di Trieste che per ore hanno tenuto in piedi la versione del conflitto a fuoco, nessuno vuole indagare nemmeno Ferruccio Franzot che pure ha richiesto il rinvio a giudizio della squadretta che ha eseguito l'operazione.
Tutti danno per scontato che non ci fossero ordini scritti e che di tutte le riunioni fatte in questura, e protrattesi per giorni, non ci sia traccia.

La versione del conflitto a fuoco è stata poi giustificata con l'invenzione dell'ombrello, oggetto scambiato per arma da fuoco.
E' un ombrello che nessun testimone ha mai visto e che compare consegnato da un agente al medico dell'ambulanza, poi scompare per riapparire nuovamente, ma di colore e forma diversi.

Va denunciato il tentativo di nascondere la diretta implicazione di alcuni personaggi: Come mai Bruno D'Agostino, dirigente della Digos, viene sospeso dall'incarico da Scalfaro subito dopo il tragico fatto ed oggi non è neppure incriminato? Forse perché, come risulta dalle testimonianze degli stessi poliziotti, era l'uomo di collegamento con il Sisde?

Come mai si crede alla versione di Giuseppe Guidi, che sostiene di non aver sparato, mentre dalla sua pistola, che è sporca, mancano 4 colpi?

[...] Il tentativo di costruire il "covo" è messo in luce dal processo che si è tenuto contro l'affittuario Renato Davì, processo che si è basato sostanzialmente sulla relazione del vicequestore Sergio Petrosino (datata 15/3).

Questo tentativo è stato avvallato beceramente dalla stampa, in particolare dal "Piccolo" e da "l'Unità". Si parla di appartamento lasciato incustodito nel trambusto seguito all'assassinio di Pedro, di persone che potrebbero essersi allontanate, di letti sfatti, della chiave della porta di casa Davì non trovata in tasca a Pedro, di più telefonate fatte a casa Davì dopo l'omicidio, che chiedono di Pedro. Tutte queste sono gravissime provocazioni e vorremmo poter ascoltare le intercettazioni telefoniche (45 telefonate), comunicazioni che secondo noi sono sicuramente fatte tra casa Davì e questura per concordare il da farsi dopo l'assassinio. Puzzano molto di falso le telefonate che chiedono di Pedro, fatte secondo noi per dimostrare che più persone erano a conoscenza che quell'appartamento era abitato da un latitante.

Tutti questi dati sono emersi nel corso di questo anno da un continuo lavoro di informazione - controinformazione di movimento. Un lavoro caparbio che si è scontrato con intimidazioni continue: comunicazioni giudiziarie, denunce, tentati processi, identificazioni.

Ma a nulla servono queste intimidazioni, niente resterà nascosto, il nostro impegno ad urlare la verità sarà un impegno per mettere a nudo tutte le responsabilità politiche e per opporci a tutti gli omicidi di Stato.

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BISOGNA ORA COLLOCARE LA RICOSTRUZIONE TECNICO-GIURIDICA ALL'INTERNO DEL PERIODO POLITICO IN CUI È AVVENUTO L'OMICIDIO.

COSA STAVA ACCADENDO ALLA FINE DEL '84 E NEI PRIMI MESI DELL'85 A LIVELLO NAZIONALE ED EUROPEO?

- Da mesi era in atto una campagna contro gli esuli ed il diritto d'asilo, campagna caratterizzata in quel periodo da numerosi arresti a Parigi. Ricordiamo ad esempio quelli di Sandrini e di Tornaghi. Dentro a questa campagna si registrano anche fermi di compagni esuli, che vengono interrogati dai servizi segreti belgi, tedeschi, italiani.

- Da mesi c'erano incontri frequenti di ministri degli interni a livello europeo per la definizione di uno spazio di polizia europeo.

- Da mesi si stava svolgendo una campagna stampa sul cosiddetto "euroterrorismo" e le relazioni di Craxi, tratte da quelle dei servizi segreti, parlavano di infiltrati ("terroristi") nei movimenti e preparavano il terreno a grosse operazioni della magistratura e della polizia, come l'operazione Mastelloni.

- Non è certo da scordare il manifesto della loggia dei 36 magistrati, tifosi delle leggi d'emergenza, che alla fine del maggio '84, prevedendo, grazie alle loro capacità chiaroveggenti, una ripresa del "terrorismo", mettono in guardia ed incitano Scalfaro, Craxi e Martinazzoli a proseguire con la politica dell'emergenza.

In questa situazione noi affermiamo che serviva una provocazione: un'infame provocazione per nuovi infami teoremi contro quel movimento antagonista e rivoluzionario di cui Pedro era stato parte per anni; contro quella collettività di esuli a Parigi da cui Pedro era stimato e riconosciuto.
In Italia, nel Veneto, questa provocazione assassina doveva essere usata per la logica prosecuzione delle inchieste e dei teoremi dei magistrati speciali Kalogero e Mastelloni che ininterrottamente da anni sfornano mandati di cattura e comunicazioni giudiziarie senza uno straccio di prova.
A Parigi doveva essere la prova offerta dal governo italiano per dimostrare la pericolosità estrema del diritto d'asilo.

Una provocazione infame studiata e portata a termine da quei gruppo di potere, da quei settori del quadro di comando che hanno fatto della continua riproposizione dello stato dell'emergenza il puntello della loro politica di oppressione.

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APPROFONDIAMO ORA SOLO ALCUNI DEI PUNTI SOPRA ELENCATI, QUELLI CHE CI SEMBRANO PIÙ SIGNIFICATIVI E CHE RIUSCIAMO A DOCUMENTARE.

DIRITTO D'ASILO

All'inizio dell'anno '85 il quadro di comando di tutti i Paesi dell'Europa occidentale è impegnato in un serrato dibattito sulla costituzione di uno "Spazio di polizia europeo", un insieme di trattati e di accordi sia pubblici che segreti che permettano di aggirare le diversità e le particolarità delle specifiche legislazioni dei singoli paesi in materia di reati politici.

Non è una situazione del tutto eccezionale: un accordo bilaterale in questo senso tra Francia e Spagna è già operante ed è contenuto nel Piano Zen (Zona Especial Norte), piano elaborato del Ministro degli interni spagnolo ai primi dell'83 e che contiene, al suo interno, accordi speciali con il governo francese che riguardano l'estradizione dei militanti baschi in Francia, la cancellazione dello status di politici che fino allora questo Paese riconosceva loro e l'intensificazione delle operazioni di polizia nelle zone basche del territorio francese.

Accordi speciali che il governo spagnolo chiedeva come contropartita alla propria adesione alla Cee e ad una serie di concessioni favorevoli alla Francia sul terreno della pesca e dell'esportazione dei prodotti agricoli (cfr. Euskadi Information, ottobre 1984).

Un accordo simile era in via di definizione tra la Francia e la Spagna all'inizio dell'anno '85.

E così anche il governo italiano sarebbe stato molto interessato a stringere accordi operativi che permettessero l'estradizione degli esuli italiani a Parigi.

Ed è questo governo italiano, quello delle leggi speciali, delle leggi segrete e premiali, dei reati associativi, questo governo che sopravvive di emergenza in emergenza, che spinge per la definizione di una emergenza europea.

Non è difficile pensare, considerando le resistenze e le polemiche che queste ambizioni hanno suscitato un po' dappertutto e in particolare a Parigi, l'effetto studiato che doveva avere l'ennesimo successo dei servizi segreti italiani: l'assassinio in un conflitto a fuoco di un "pericoloso terrorista" che teneva i collegamenti tra Italia e Francia!

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SEGNALI DI CRIMINALIZZAZIONI ANNUNCIATE

Da mesi c'erano preparativi. Si possono ricordare le dichiarazioni di Scalfaro del 30/7/84: "La Francia dà ospitalità a persona già condannate dalla nostra magistratura, si sta costituendo una Comunità europea e non siamo ancora d'accordo su cosa è delitto e su cosa non lo è".

In poche parole sono ben sintetizzati tutti i termini della questione. Gli accordi politico - economici non possono essere disgiunti da una progressiva omologazione giuridico-repressiva e, comunque, il Ministro degli interni italiano non è disposto a fare concessioni: la legislazione d'emergenza funziona in Italia, funzionerà anche in Europa.

Ma è il giudice istruttore Mastelloni di Venezia a passare dalle parole ai fatti: 6 mandati di cattura sono stati emessi per "costituzione di banda armata all'estero" contro compagni rifugiati a Parigi e, secondo Mastelloni, in Nicaragua.

Un rozzo tentativo di criminalizzare anche la giunta sandinista che viene ripreso da Scalfaro nel bilancio dell'anno '84: il Mattino di Padova titola "Il territorio internazionale mi preoccupa ancora di più" e, riprendendo il discorso del ministro indica 238 compagni latitanti all'estero "... dove sono? La Francia ospita il maggior numero dei fuggiaschi di sinistra, ben 143. Altri 5 sono segnalati in Nicaragua dove, sostiene il Ministro, esistono veri e propri centri di addestramento..."

Persino dopo la strage sul rapido 904 c'è chi ha la spudoratezza di parlare di allarmi che erano tutti di "segno rosso". E' il senatore Gualtieri del PRI, presidente della commissione parlamentare di controllo dei servizi di sicurezza (Ciss) "... molte preoccupazioni c'erano state per il terrorismo di matrice italiana, dei latitanti che si nascondono nel nostro Paese e dei fuoriusciti... Tutto il materiale trovato nelle settimane precedenti la strage era di matrice rossa".

Ma è all'inizio dell'anno '85 che la campagna si scatena usando strumentalmente il susseguirsi di iniziative combattenti che interessano solo alcuni Paesi del Nord Europa; "terroristi" italiani vengono visti dappertutto, dove questo non è verosimile si vede almeno la "chiara matrice italiana".

La stampa europea si adegua alle tensioni del partito dell'emergenza: è il caso di Le Mond e Le Matin, che, dopo l'attentato al generale Audran sentenziano: "Un attentato di stile italiano" (29/1/85).

Scalfaro conduce il gioco o per lo meno è la stampa italiana che lo indica come possibile coordinatore delle forze di repressione di mezza Europa: i titoli dei giornali tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio riportano: "Terrorismo internazionale, l'Europa si mobilita, Scalfaro a Bruxelles".

Di fatti Scalfaro il 28 gennaio è a Parigi, il giorno dopo è a Bruxelles, poi andrà in Lussemburgo, poi ancora in Spagna e in Jugoslavia, mentre il ministro degli interni inglese lo incontrerà invece a Roma.

Spadolini si accoda al partito dell'emergenza e dopo le denunce d'obbligo verso "la tolleranza eccessiva di Parigi verso i terroristi italiani" e "l'anacronistica, offensiva e autolesionistica concessione del diritto d'asilo che ha favorito in Francia la formazione di una multinazionale del terrorismo", gioca al rialzo: "Occorrono iniziative comuni, per respingere un attacco che si indirizza contro l'intero sistema delle alleanze occidentali, attraverso uno sforzo cui ciascun Paese deve assicurare un pari contributo secondo la linea costantemente raccomandata dall'Italia, cioè dal Paese che ha pagato più alto il prezzo della difesa delle libere istituzioni".

Mentre Andreotti coordina una serie di riunioni del ministri degli esteri, PLI e PSDI si allineano ai loro accoliti di pentapartito: Patuelli (vice segretario PLI): "Mitterand ha il torto di dimenticare che i latitanti italiani protetti in Francia non sono fuoriusciti da un Paese autoritario, ma da una libera democrazia con la quale la Francia stessa è legata nella CEE, Mitterand dovrebbe avere maggior rispetto della democrazia italiana!"; Puletti, della segreteria del PSDI: "Attestarsi nel rifiuto di estradare almeno i latitanti per i quali si è pronunciata la Chambre d'Accusation, significa assumersi pesanti responsabilità per il presente e per l'avvenire".

Ma mentre la proposta di uno "Spazio di polizia europeo" sembra diventare operativa per quanto riguarda Francia e Germania, scoppiano le inevitabile polemiche soprattutto da parte del governo francese.

La stampa italiana plaude comunque al decisionismo dimostrato da Kohl e Fabius e riporta a pieni titoli (7/2/85) la notizia della creazione di un "Comando unificato" creato su decisione del ministro degli interni tedesco Zimmerman e del suo collega francese Joxe, dopo una riunione a Bonn cui partecipavano i massimi esponenti delle polizie francese e tedesca, nonché "una numerosa delegazione di industriali francesi".

Sempre la Repubblica nello stesso articolo dà man forte alle richieste di estradizione del governo italiano puntualizzando che "tutta la stampa tedesca ricorda in questi giorni le difficoltà della fine degli anni '70, i tira e molla sull'estradizione dei terroristi tedeschi nascosti a Parigi, considerati in fondo romantici eroi della rivoluzione, mentre la Repubblica Federale veniva dipinta come uno Stato di polizia".

Per ultimo è Craxi che a Montecitorio ribadisce "Anche a voler chiudere gli occhi si deve riconoscere che la colonia di latitanti italiani a Parigi costituisce un centro di iniziative e di dibattiti, di manifestazioni, in una parola un centro di propaganda politica che ha sicuramente legami con l'eversione" e - riportando le relazioni dei Servizi - continua "quasi tutti i terroristi finiti in Nicaragua e in Costarica avevano in Francia il loro precedente domicilio e sarebbero poi passati per Madrid e per Mosca".

marzo 1986

Da Break Out - foglio della Commissione Carcere e Repressione - Padova

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