PROCESSO AGLI SBIRRI:
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IL PROCESSO |
Il 13 ottobre 1986 presso la Corte d'Assise
di Trieste inizia il processo-farsa contro gli assassini di Pedro.
Questo è un processo che di fatto vuole essere un rito di autoassoluzione
delle istituzioni statali.
Tutto lo conferma. Il modo in cui sono state condotte le indagini; l'opera della Questura e della DIGOS di Trieste che prima hanno gestito l'omicidio di Pedro come uno "scontro a fuoco" e si sono inventati l'ombrello scambiato per un'arma, poi hanno continuato le intimidazioni contro i compagni di Pedro: Claudio Latino viene interrogato in carcere dalla DIGOS di Trieste, rifiuta di rispondere a degli assassini.
La stampa ha diffuso a grandi titoli la notizia che in via Giulia 39 il 9 marzo c'erano altre persone tra cui Claudio. Claudio era in carcere da 6 mesi.
Per denunciare la farsa molti compagni
giungono a Trieste.
Lo schieramento poliziesco è imponente e scattano numerose provocazioni.
Il 24 ottobre viene emanata la sentenza che conferma la licenza di uccidere
dei corpi di polizia di stato: Guidi e Passanisi vengono assolti, Romano
e Bensa "condannati" a 8 mesi che non sconteranno mai.
A Padova il giorno dopo la sentenza la polizia carica brutalmente centinaia di compagni che con rabbia urlavano: "L'unica giustizia è quella proletaria".
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AL COMITATO DI CONTROINCHIESTA SULL'OMICIDIO DI PEDRO |
Anche qui, nello spazio ultra-segregato
di questa sezione speciale, mi hanno raggiunto gli echi dello sviluppo
delle provocazioni imbastire dalla magistratura triestina.
Un ritaglio di giornale dai toni forcaioli e dal sapore schifosamente
velinare mi ha dato la netta impressione di un'operazione decisamente
orchestrata ad alto livello.
L'articolo del "Mattino di Padova"
non esprime solo asservimento nei confronti dell'operato della magistratura
triestina, ma anche un preciso impegno della direzione del giornale ad
organizzare la cortina di provocazioni che dovrebbe coprire il feroce
omicidio del compagno Pedro.
Sappiamo per esperienza che un impegno così chiaro della stampa
deriva da una volontà politica a livello governativo.
Hanno deciso che l'omicidio di Pedro deve
diventare nella gestione mass-mediata un episodio di un più ampio
ed oscuro "intrico terroristico". E così dipanano una
trama: quella infarcita di "mister X", di "chiavi scomparse",
di "sicuri" riconoscimenti.
Tutto questo fumo accoppiato alla proposta governativa di "risarcire"
le parti lese dovrebbe avviare il "caso Greco" verso la definitiva
sepoltura.
Da sempre la borghesia ed il suo Stato sono abituati a comprare la vita dei proletari e spudoratamente vogliono monetizzare anche la feroce deliberata soppressione del comunista Pietro Greco.
Col passare del tempo è evidente
che la mobilitazione del movimento ed in particolare le manifestazioni,
hanno trasformato questo evento mostruoso in una patata bollente nelle
mani dei magistrati delegati alla gestione del caso.
A fronte di questa forte mobilitazione il gioco delle provocazioni, teso
a sviare l'attenzione dal come e dal perché è maturata la
volontà omicida, mostra tutta la sua inconsistenza sul piano concreto
degli elementi.
Si tratta in realtà del tentativo di impostare sul piano delle
congetture una implicita giustificazione all'azione premeditata e deliberata
di annientamento praticata da agenti segreti e da poliziotti assassini.
L'assenza di chiavi di casa indosso a Pedro
indicherebbe l'esistenza del famoso "mister X" che avrebbe dovuto
aprirgli la porta.
L'esistenza di "mister X" funzionerebbe da supporto all'assurda
ipotesi della collutazione e del tentativo di fuga di Pedro!
E' una impalcatura molto fragile, per non dire senza senso.
Le chiavi sicuramente sono state sottratte dagli stessi sbirri che lo
avevano ferito a morte.
Sinceramente stupisce che in tutto questo tempo non siano riusciti a partorire
che una gestione così pietosa.
La storia del mio coinvolgimento nel piano
di congetture e provocazioni probabilmente si spiega con l'inconsistenza
di queste farneticazioni.
La stessa magistratura triestina è consapevole della debolezza
e della fragilità del proprio impianto gestionale e cerca nuove
strade.
Questa storia inizia nel carcere Due Palazzi
una mattina del luglio 1985.
Vengo chiamato in matricola e dirottato in una stanzetta in cui mi attendono
tre agenti della Digos di Trieste. Si qualificano e iniziano chiedendomi
se conoscevo Pietro Greco. Io tronco subito chiamandoli assassini e dichiarando
che non ho niente da dire loro. Mentre me ne vado minacciano di farmi
emettere un mandato di cattura e di farmi trasferire da Padova.
Il secondo capitolo della storia si svolge
qualche mese dopo a Trieste, dove sono stato condotto in traduzione obbligatoria
per essere interrogato dal giudice istruttore Patriarchi.
Patriarchi inizia dicendo che è il titolare dell'inchiesta contro
i poliziotti accusati dell'omicidio volontario e precisa che non ha nessun
reato da contestarmi e che di conseguenza io sono interrogato in veste
di testimone.
Infine con falso candore, proprio lui che in seguito si rifiuterà di emettere mandato di cattura contro i poliziotti assassini, mi invita a fornire il mio contributo per aiutarlo ad inquisire i colpevoli dell'omicidio. Io faccio mettere a verbale che non intendo contribuire ad un'inchiesta che ha come unico scopo quello di coprire i responsabili di un omicidio di Stato. Lui mi informa, velatamente minaccioso, che a quel punto potrei essere accusato di villipendio allo Stato e alla magistratura. Io chiudo dicendo che sarei stato contento di arrivare ad un processo relativo all'omicidio di Pedro per avere così modo di dire la mia.
Mentre me ne stavo andando mi comunica sbrigativamente che ero stato riconosciuto in fotografia da alcuni vicini di casa come frequentatore di via Giulia 39.
Il terzo capitolo di questa storia è
scritto nell'articolo del "Mattino di Padova".
In pratica è quasi un anno che perseguono il mio coinvolgimento.
I dati di partenza sono che io e Pedro eravamo entrambi latitanti della
stessa inchiesta ed entrambi in Italia. E il resto è una catena
di ricatti imbastita nel forsennato tentativo di rafforzare in qualche
modo la maldestra copertura di un delitto mostruoso.
Nessuno si è assunto la responsabilità di contestarmi qualche
imputazione in relazione a questa faccenda.
Patriarchi, ligio servo dello Stato, responsabile diretto dell'operazione
di copertura, si è guardato bene dall'imputarmi qualcosa e addirittura
non ha disposto nessun confronto personale con chi mi avrebbe riconosciuto.
Nemmeno Mastelloni, giudice intrepido e spregiudicato, si è sognato,
nella sua ultima e infelice uscita, di contestarmi qualche imputazione
specifica.
A questo punto a loro bastano le congetture
strumentali che, riprese dalla comunicazione mass-mediata di Stato, diventano
simulacro di realtà.
Con questo fumo sperano di chiudere in maniera veloce, e per loro "indolore",
il "caso".
Il movimento al contrario ha dimostrato
la sua capacità di tenere aperta questa sanguinosa contraddizione.
Nella sua memoria collettiva Pedro vive e questo si è tradotto
in una grande determinazione di massa a far pagare il costo politico più
alto possibile per questo assassinio.
Su questa strada si possono smascherare tutte le provocazioni se si ha
la capacità di continuare a far vivere la mobilitazione su Pedro
a fianco alle iniziative di lotta e di ricomposizione di classe che si
sviluppano nel sociale.
Pedro vive nelle lotte
Carcere speciale di Novara , 1 luglio 1986
Claudio Latino
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PEDRO E' VIVO |
Oggi, 13/10/86 si è aperto qui a Trieste il processo ai 4 agenti (3 della Digos e uno del Sisde) che il 9/3/85 in via Giulia assassinarono a sangue freddo il compagno Pietro Maria Walter Greco "Pedro".
La nostra partecipazione all'inizio del processo non ha certo il significato di un gesto di fiducia nei confronti della "giustizia" e dei suoi meccanismi.
Arrivare a questo processo è stato un risultato importante non certo attribuibile però allo sforzo di magistratura e poliziotti, che tutto hanno fatto per non andare a fondo della questione.
Se diamo uno sguardo alla successione delle veline della questura completamente false, di istruttorie incomplete, di rinvii a giudizio incredibili, di gestioni stampa a dir poco forcaiole, di provocazioni poliziesche pesantissime, comprendiamo come in realtà solo il lavoro delle strutture di controinchiesta ha permesso che quest'omicidio rimanesse una contraddizione non richiudibile nel dimenticatoio.
E allora la nostra presenza qui ha proprio il significato di far capire ai "signori della giustizia" che siamo consapevoli che questo processo sarà una farsa, e che il nostro dolore e la nostra rabbia ci daranno la forza per continuare ad urlare a tutti l'unica verità che non verrà mai fuori da nessun processo; l'omicidio di Pedro è un omicidio di stato!
Ed è su questa verità che continueremo a chiedere la solidarietà di tutti i compagni, i proletari, gli sfruttati che non si riconoscono in uno Stato di assassini, in uno Stato che non processerà mai sé stesso!!!
Compagno Pedro sei vivo e lotti insieme a noi, al nostro fianco, in ogni momento!!!
Bologna 12 ottobre 1986
Gruppo carcere e repressione - Kamo
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9 MARZO '85: PEDRO ASSASSINATO DALLA GIUSTIZIA DI STATO - UNA COLPA CHE IL TEMPO NON CANCELLA |
La mattina del 9 marzo a Trieste un nucleo misto di agenti della Digos e dei servizi segreti (Sisde) assassinarono in un agguato Pietro Maria Walter Greco Pedro.
In migliaia siamo scesi in piazza nei giorni successivi a Padova come in Calabria, a Milano come a Parigi, ricordando Pedro, proletario del Sud, Pedro compagno stimato e riconosciuto da tutti, Pedro che ha lottato per tutta la vita e che per questo è stato assassinato da questo Stato di sfruttamento e di disoccupazione, da questo stato che sostiene la Nato ed è sostenuto da magistrati criminali e da poliziotti torturatori.
In migliaia siamo tornati in piazza un anno dopo a Padova ricordando Pedro che già colpito ripetutamente ha trovato la forza di correre fuori in strada a gridare tra la gente quello che gli stavano facendo, ad impedire, negli ultimi attimi della sua vita, che sulla sua morte questo stato potesse speculare, potesse mistificare.
E per il suo e nostro sforzo le speculazioni e mistificazioni sono cadute tutte, ad una ad una, ritorcendosi contro chi le aveva costruite: dalla prima velina della Questura che parlava di scontro a fuoco con un pericoloso terrorista armato, al tentativo di dipingere la casa di via Giulia come un "covo"; al tentativo di chiudere l'attività di controinformazione del movimento con l'arresto dei compagni del Comitato di Controinchiesta il 15 aprile '86.
Per questo sono stati costretti a rinviare a giudizio 3 agenti della Digos e uno del Sisde per l'omicidio di Pedro.
Ma il processo, fin dalle prime battute, si è rivelato per quel che era realmente: una sceneggiata già scritta per la maggior parte, dove tutti i personaggi principali, il giudice Benci, il PM Coassin, gli avvocati della difesa, collaboravano nel tentativo di coprire ogni responsabilità materiale, politica e morale di questo omicidio di Stato.
Tutto lo sforzo di ricostruire quello che realmente era accaduto in via Giulia e di scoprirne i perché è stato solo degli avvocati di parte civile.
Ma le provocazioni continue dei poliziotti nei confronti dei compagni presenti in aula, il rifiuto di accettare come parte civile la compagna di Pedro, il tentativo del giudice Brenci di occultare le contraddizioni tra imputati e testimoni, non hanno potuto impedire che anche da questo processo emergesse chiara e definita una verità di fondo:
Torniamo in piazza Sabato 25 ottobre ore 10, Piazza dei Signori - Padova
Comitato di Controinchiesta sull'omicidio di Pedro
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BASTA CON I DIVIETI - PER IL DIRITTO A MANIFESTARE |
Venerdì 24 ottobre la Corte d'Assise di Trieste, al termine del processo degli assassini di Pedro, l'agente del Sisde Maurizio Nunzio Romano, gli agenti della Digos Bensa e Passanisi e il vice-ispettore della PS Guidi, ha sentenziato che la vita di un compagno ucciso a freddo dalla polizia senz'altro motivo che la determinazione omicida dei suoi assassini, vale una condanna ad 8 mesi che non saranno mai scontati.
Una sentenza ignobile che è senza
dubbio la scontata conclusione di un processo farsa in cui il presidente
Brenci, il P.M. Coassin e gli avvocati della difesa non facevano mistero
della loro collusione.
E' una sentenza che si pone il duplice obiettivo di sancire ancora una
volta l'impunità di cui godono i killer di Stato e di tentare di
mettere la parola fine ad un anno e mezzo di mobilitazione di movimento.
Un lavoro di controinchiesta, di controinformazione diffusa, di iniziative di lotta, di manifestazioni pubbliche contro le leggi liberticide, speciali, contro la legge Reale, che hanno armato la mano assassina della polizia lasciando una lista di oltre 250 morti dal 75 ad oggi.
Alla mobilitazione e alla lotta del movimento lo Stato ha risposto con un lavoro concertato di tutti gli organi repressivi: le intimidazioni della Questura di Padova e di Trieste contro chi si occupava dell'omicidio di Pedro, la provocazione giudiziaria del G.I. Mastelloni di Venezia, che si era illuso di bloccare il lavoro di controinchiesta incarcerando numerosi compagni che vi avevano preso parte.
Dentro questo clima di provocazione si inserisce la persecuzione personale contro la compagna di Pedro, che anche sabato è stata picchiata pesantemente dalla PS.
La sentenza di Trieste ha trovato come primo interprete la giunta militare che governa la città di Padova: Sindaco, Questore e Prefetto hanno provveduto immediatamente a vietare la piazza al movimento che l'aveva richiesta per il 25 ottobre.
Ma né il divieto di manifestare, né la militarizzazione del centro città, né le cariche della PS, hanno impedito ai compagni di attraversare in corteo il centro di Padova contro questo processo farsa, contro queste ignobili sentenze.
Sabato 25 la presenza oppressiva della Digos e dei celerini non ha fatto altro che aumentare la nostra rabbia per l'assassinio del compagno Pedro, un compagno che come noi lottava per una vita migliore, per uno società senza sfruttamento e senza galere.
Pedro vive nelle nostre lotte!
Dal 9 marzo '85 ad oggi la mobilitazione prodotta contro l'omicidio di Pedro ha permesso di riappropriarsi della piazza tanto a Padova con le imponenti manifestazioni del marzo '85 e del marzo '86, quanto nella stessa Trieste durante il processo agli assassini di Pedro.
Sabato mattina a Padova dunque non eravamo né pochi né isolati e la capacità avuta di scendere in piazza ugualmente nonostante il divieto ha determinato ulteriori schieramenti a favore del diritto a manifestare.
Oggi quindi la giunta comunale non ha potuto evitare di concedere il corteo per sabato 1 novembre.
Pedro vive nelle nostre lotte!!!
Padova, 30 ottobre 1986
Tutti i compagni del movimento