PEDRO: LO STATO BORGHESE UCCIDE UN MILITANTE COMUNISTA

9 MARZO 1985: OMICIDIO DI STATO

Nei primi giorni di marzo la Digos di Trieste riceve una segnalazione dal Sisde (il Servizio Segreto del Ministero degli Interni) della presenza di Pedro a Trieste in via Giulia 39. Il questore di Trieste è Antonino Allegra, capo della squadra politica di Milano quando fu "suicidato" l'anarchico Pinelli.

Sabato 9 marzo ore 11.

Pedro esce di casa, dall'appartamento al terzo piano; una volta giù decide di rientrare.

Appostati all'esterno ci sono 4 sicari dello Stato italiano. Sono Nunzio Maurizio Romano, agente del Sisde (che ha il compito di riconoscerlo); Giuseppe Guidi, viceispettore della Digos; Maurizio Bensa e Mario Passanisi, agenti della Digos di Trieste.

Il Romano, il Guidi e il Passanisi entrano nello stabile e si mettono in agguato nel sottoscala. Quando Pedro discende le scale il Romano gli si para davanti e spara due colpi calibro 38 a meno di mezzo metro di distanza che lo colpiscono ai polmoni. Immediato il fuoco incrociato degli altri due poliziotti killer che colpiscono Pedro con pallottole calibro 9 alla spalla e alla gamba.
Nel piccolo atrio si conteranno successivamente i segni di almeno una dozzina di colpi.

Pedro fa appello per l'ultima volta alla sua straordinaria forza di volontà, uscendo in strada e impedendo così che tutto si svolga senza testimoni. Esce, ferito mortalmente, parecchi passanti lo sentono gridare "mi vogliono ammazzare mi vogliono ammazzare". Il Bensa, rimasto all'esterno dello stabile, appena vede Pedro gli spara, alle spalle. Pedro si accascia sanguinante dopo pochi metri. Il Passanisi lo ammanetta.
Trasportato in ospedale con notevole ritardo, muore verso le 11.50.

Non ci sono dubbi sulla premeditazione dell'omicidio.
L'agente del Sisde che non avrebbe dovuto nemmeno partecipare ad operazioni di polizia, ha invece determinato l'agguato di via Giulia. E' stato lui a decidere di entrare nello stabile e a sparare per primo.

Alla notizia della morte di Pedro migliaia di comunisti e proletari scendono con rabbia e con dolore nelle piazze, da Trieste a Padova, dalla Calabria a Parigi per denunciare lo stato assassino e rivendicare l'internità di Pedro al movimento di classe e la sua identità rivoluzionaria ed internazionalista. Giungono comunicati di solidarietà dai compagni prigionieri d'Italia, Spagna, Francia.

Chi era Pedro

Pietro Maria Walter Greco, conosciuto da tutti come "Pedro", figlio di proletari calabresi di Melito Porto Salvo arriva a Padova alla fine degli anni sessanta per studiare. Si iscrive a Statistica, conseguirà più tardi la laurea che gli permetterà di lavorare come insegnante di matematica e con il suo lavoro sostenere la famiglia al Sud.

Dal suo arrivo a Padova la sua presenza all'interno del movimento di lotta è instancabile. Centinaia e centinaia di proletari lo ricordano al proprio fianco nelle iniziative nei quartieri, dove si sviluppava come in tutta Italia, un forte movimento per il diritto alla casa; occupazioni, autoriduzioni contro il caro affitto unite alla lotta per i servizi nel territorio. Significative nel '72 le occupazioni di case in via Tirana nel quartiere Savonarola.

E ancora lo ricordano, sempre in prima fila, nelle mobilitazioni di massa e nell'antifascismo militante che hanno caratterizzato quegli anni contro le trame nere, le stragi fasciste fino alla grande manifestazione del 3 giugno 1975 a Padova che contestava il comizio di Almirante.
Poi la lotta per le mense, gli spazi sociali, la lotta sul posto di lavoro.

La sua presenza piena di forza e determinazione, la sua spontanea e grande capacità di coinvolgimento era troppo scomoda.

Scatta il primo tentativo di eliminarlo.

E' l'11/3/80. Il mandato di cattura che costringe Pedro alla latitanza è per reato associativo e per partecipazione ad una manifestazione del '77 terminata con scontri con la polizia.
E' firmato da Pietro Calogero, magistrato che si distinse a cavallo degli anni '70 e '80 per il suo zelo antiproletario e anticomunista incarcerando decine e decine di proletari e di comunisti che erano stati interni alle lotte degli anni '70.

La testimonianza contro Pedro è sostenuta da un tossicodipendente Maurizio Lovo.
"...non ricordo la presenza di Pedro alla manifestazione, sono comunque indotto a pensare che ci fosse..." questa la deposizione del Lovo.

Vista l'inconsistenza delle accuse, al processo per direttissima Pedro viene stralciato costringendolo così a prolungare la sua latitanza. Tutto questo gli costa la perdita del posto di lavoro da insegnante. La sentenza del TAR che decreta la sua riassunzione e il riconoscimento degli emolumenti arriva provocatoriamente solo dopo il suo assassinio.

Nel maggio 1981, grazie alla mobilitazione dei compagni Pedro è prosciolto e ritorna a Padova dove continua il suo encomiabile apporto alle lotte proletarie: da quelle dei precari del censimento a quelle dei precari della scuola, si batte per la riconquista del posto di lavoro.

E ancora, è a fianco di chi lotta per la casa nel Ghetto dove abita e agli occupanti del condominio Sereno al Portello.
Occupa il Centro Sociale "Nuvola Rossa" nel quartiere Savonarola. Questa sarà una delle prime e più grosse esperienze di aggregazione giovanile proletaria a Padova. Sono i primi mesi del 1982. Pietro Calogero col blitz denominato di "Quaresima" spicca decine di mandati di cattura. Pedro è di nuovo costretto alla latitanza.

Questa volta il pentito di turno è Mauro Paesotto, l'imputazione sempre la stessa: il reato associativo "costituzione di banda armata non denominata" senza alcun riferimento a fatti specifici e senza alcuna prova.

Per Pedro questa latitanza sarà senza ritorno.

Al famoso processo 7 aprile nel '86 i coimputati di Pedro, quelli che avevano lo stesso identico mandato di cattura, vengono assolti e tornano in libertà.

Queste inchieste che hanno colpito Pedro si collocano all'interno dell'ondata repressiva che Stato, Magistratura e Polizia con l'avallo del sistema dei partiti, compresi la sinistra parlamentare e gli organi di informazione asserviti al potere, hanno messo in atto alla fine degli anni '70 contro l'intero movimento di classe che si è espresso con potenza a livello nazionale in tutto il decennio.
L'obiettivo è quello di fermare i movimenti e di eliminare le avanguardie comuniste.

Lo stato borghese e i padroni che si dibattono in una crisi strutturale senza soluzioni, a fronte di un formidabile ciclo di lotta che ha posto con chiarezza il problema del potere, mettendo il loro in discussione, non vedono altra soluzione che la repressione.
Gli strumenti utilizzati sono il terrore di massa e la criminalizzazione delle lotte.

Pochi giorni prima del blitz di Quaresima nella caserma della Celere di Padova si torturano i militanti delle Brigate Rosse. Il movimento risponde scendendo in piazza. Pedro è presente.
In un clima di terrore e di caccia alle streghe si arresta in massa. In poco tempo si arriverà in Italia alla cifra di 12.000 fra mandati di cattura e comunicazioni giudiziarie. Questa cifra è di per sé significativa della consistenza reale dei movimenti che si sono sviluppati in quegli anni.

Lo scopo ultimo è quello di eliminare le avanguardie comuniste. Per questo col passare del tempo gli strumenti repressivi si affinano e diventano selettivi dai pentiti alla dissociazione, dalle carceri speciali al regime differenziato con l'articolo 90, fino alla tortura e agli assassini.

Il movimento di classe nonostante i grossi attacchi subiti non si arresta.
Contro di esso le forze politiche che hanno fondato il loro potere sull'emergenza preparano l'assassinio di Pedro.
Alla fine del '84, all'interno di una campagna sull'Euroterrorismo basata sugli interventi di Craxi che parlava di "infiltrati" nel grande Movimento per la pace e contro la Nato, 36 Magistrati tifosi delle leggi di emergenza incitano Scalfaro ministro dell'Interno a proseguire con l'emergenza.

In questo contesto viene ucciso Pedro.

Questo assassinio non fu il solo tragico episodio della primavera 1985.
Una strage di zingari a Pordenone, 4 evasi dal carcere di Pescara vengono fucilati nel sonno a Roma, nelle montagne attorno ad Orgosolo si apre una caccia all'uomo contro alcuni ricercati che vengono intercettati, uccisi e i loro cadaveri trasportati come cinghiali sul tetto delle auto della polizia.
Logiche omicide dello Stato dell'emergenza, figlie di una campagna repressiva su scala internazionale.

E' in quel periodo che si sviluppa la cosiddetta cooperazione europea contro la criminalità e il terrorismo.
All'inizio dell'anno l'apparato di comando dei paesi dell'Europa occidentale si impegna nella costruzione di uno Spazio di Polizia Europeo: spazio che permetta con accordi pubblici e segreti di aggirare le diversità giuridiche dei singoli stati soprattutto in materia di reati politici.
E' il governo italiano di Craxi e Scalfaro che sopravvive di emergenza in emergenza che spinge a concludere accordi per ottenere l'estradizione degli esuli politici da Parigi.

E' il Partito delle leggi speciali, dei reati associativi, delle leggi premiali che vuole un'emergenza europea.