MUMIA ABU-JAMAL : MATERIALI DELLA CAMPAGNA INTERNAZIONALE (1995)

DICHIARAZIONI DI MUMIA ABU JAMAL

ALLA CAMPAGNA INTERNAZIONALE DEL PDC (PARTISAN DEFENCE COMMITTEE)

Dopo tanti lunghi anni, sopra montagne di paure, attraverso fiumi di repressione, dalle profondità della valle dell'ombra della morte, Io sopravvivo per portarvi il mio saluto, nello spirito di una ribellione che continua. ONA MOVE!

Le mie parole vi arrivano dal nuovo, splendido, scintillante inferno della Pennsylvania. Questo supercarcere è una costruzione completamente politica, eretta all'unico scopo di alleviare le paure di coloro che per anni si sono ingozzati sopra il sangue e la miseria dei deboli e dei poveri. E' l'ultima, la più moderna follia della moda carceraria; ma io vi chiedo, voi che lavorate nell'illusione della vostra cosiddetta libertà, vi sentite più al sicuro adesso?

Per la classe dominante dell'Amerika che corre all'indietro verso un nuovo Medio Evo, il peso della repressione diviene più facile da tollerare ad ogni ora che passa. Ma se la repressione aumenta, deve aumentare anche la resistenza. Non bastano le veglie di preghiera. Non bastano le passeggiate di mezzanotte a lume di candela. Non bastano gli appelli prestigiosi alla pietà del governo.

E' l'ora dell'azione diretta. Dell'azione di massa. Dell'azione organizzata dei tanti silenziosi il cui silenzio dovuto a timidezza viene percepito come il silenzio dell'acquiescienza. Come i nostri padri, le nostre madri, i nostri amici e parenti, così noi dobbiamo combattere per ogni centimetro di terreno conquistato. L'ondata di repressione che spazza questo paese non si farà fermare dalle belle speranze, ma solo da una ondata contraria di persone dedicate e irremovibili nel loro obiettivo. Spero che voi siate tra quelle persone.

Dal braccio della morte, i miei ringraziamenti e il mio saluto.

ONA MOVE! LUNGA VITA A JOHN AFRICA!

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UNA LEZIONE DA LALALAND

Ora che le onde psichiche della "Guerra" del Golfo rifluiscono dalle spiagge della memoria, altre visioni attirano l'attenzione della nazione.

Dal sudovest del paese sono arrivate le sconvolgenti immagini di una interminabile guerra metropolitana, le immagini riprese da una telecamera del rabbioso pestaggio in mezzo a una strada di un autista afroamericano, mentre egli giace a terra, stordito, completamente indifeso, su un marciapiede di Los Angeles.

I testimoni hanno contato almeno 50 colpi spaccaossa dei manganelli della polizia, più numerose scariche di una pistola elettriche stordente e calci assortiti.

Il crimine dell'autista?

Aver investito (presuntamente) un semaforo, e aver osato sfuggire ad una squadra di miserabili in divisa.

I rapporti iniziali della polizia, prevedibilmente, accusavano Rodney King di resistenza all'arresto, ma l'esistenza della video registrazione dell'arresto hanno ridotto tali accuse all'irrilevanza.

Perché qui, in colori reali, si vedeva l'ovvio - un Nero, sospettato di un reato, viene picchiato pubblicamente in un accesso di insensata rabbia razzista, senza altra ragione eccetto che il fatto doloroso di farlo è stato per lungo tempo una abitudine americana, quando gli esecutori sono armati del potere dello stato.

In quel nudo, accecante momento, la paura di generazioni di neri è balzata alla ribalta, perché da simili abitudini è marchiata la nostra comune realtà.

Perché chi sapeva, tra quei rabbiosi esecutori, chi fosse questo giovane uomo? A chi di loro importava?

Avrebbe potuto essere un professionista in giacca e cravatta, come l'assicuratore Arthur McDuffie, il cui assassinio da parte dei poliziotti a Miami evocò esplosioni di ribellione; avrebbe potuto essere un poliziotto, che guidava in abiti civili; avrebbe potuto essere il figlio del deputato della California, Ron Dellums... In breve, avrebbe potuto essere un qualsiasi uomo nero, di qualsiasi strato sociale, ed il pestaggio sarebbe stato esattamente altrettanto brutale, altrettanto straziante, ed altrettanto non creduto, se una telecamera non avesse catturato questa cacofonia di crudeltà.

Per questi assalitori armati e in uniforme, l'autista era semplicemente un "negro", dunque, una preda consentita.

Avrebbe potuto essere un guerriero di ritorno dalla Tempesta nel Deserto; o un parente di sangue di Martin Luther King, Jr., ma avrebbe fatto differenza? Per niente.

Prepariamoci all'oscuramento ufficiale, cioè, che venga scatenata sul pubblico la vecchia teoria della "mela marcia". "C'è sempre qualche mela marcia in un cesto," diranno i poliziotti, aggiungendo, "non colpevolizzate tutto il cesto!"

Uno si meraviglia - vi prego, ditemi dove sono le "mele sane", che trattano le persone con decenza umana?

McDuffie, Eleanor Bumpers, MOVE, ancora e ancora e ancora e ancora?
Per ora gridare alla "mela marcia" significa insultare l'intelligenza dei neri.
Non si tratta di "mele marce" ma di un sistema marcio che relega la vita dei neri al sottomondo del terrore psichico.
Per quale motivo i giovani neri hanno attraversato i mari delle sabbie saudite?
Per quale motivo i loro padri combatterono la guerra in Vietnam?
Per quale motivo i loro nonni combatterono un certo fascista Hitler?
Per essere pestati nelle strade come cani?
Questa e la oscena realtà di oggi.
Quale realtà affronteranno i nostri figli?

10 marzo 1991

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