IL BOLLETTINO: NOTIZIE EUROPA

Belgio:

UN PO' DI POLITICA

Ai militanti di Internationalen Infoladen (risposta alla lettera aperta dell'estate 1990)

A tutti i compagni *

Come dire la verità sul fascismo,
di cui ci dichiariamo nemici,
se non vogliamo parlare del capitalismo
che produce il fascismo?
Come potrebbe questa essere una verità
di una qualche pratica utilità?

B. Brecht

Nel nostro documento del luglio '89, i punti essenziali della nostra critica all'appello a boicottare Knipselkrant erano due:

nel primo sostenevamo che l'atto d'accusa ci sembrava troppo artificioso,

nel secondo deploravamo l'apoliticità sistematica delle motivazioni a sostegno della denuncia del KK, tanto più che la sostanza della crisi apertasi e la posta in gioco erano eminentemente politiche.

Ora ci dispiace dover constatare che la lettera aperta dei compagni di Infoladen è anch'essa caratterizzata dalle tendenza a soffermarsi su dei punti il cui interesse è piuttosto relativo e a trascurare invece - di proposito o meno - la sostanza e le implicazioni politiche di questo dibattito.

Noi speriamo di trovare interlocutori su un terreno principalmente politico, ma non sarebbe nemmeno giusto considerare i militanti di Infoladen totalmente responsabili della nostra delusione. Come abbiamo già detto, il "dibattito" presentava fin dall' inizio degli aspetti malsani. Nel nostro documento di luglio 1989, anche noi avevamo dovuto esaminare dei punti quasi del tutto privi di reale interese (in particolare nel modo in cui la R.I.A. (Revolutionair Initiatief Amsterdam) li aveva trattati). Cercavamo tuttavia di modificare questo stato di cose, di dare al dibattito un altro orientamento, più corretto e costruttivo, cioè politico nel vero senso del termine. I militanti di Infoladen" non sembrano convidere questa nostra preoccupazione: la loro lettera aperta si disinteressa di problemi oggettivamente vitali per il movimento rivoluzioNario europeo e il suo avvenire e sviluppa invece punti marginali rispetto ai problemi cruciali per il movimento rivoluzionario.

Vogliame tuttavia nuovamente ribadire il carattere relativo di ciò che di personale vi può essere nella nostra critica, in quanto ci sembra che l'attegiamento e le concezioni manifestate in questa lettera sono molto diffuse all'inerno del movimento rivoluzionario in Germania o nei Paesi Bassi. A questo proposito l'esperienza ha già messo in luce questa tendenza ad evitare scrupolosamente i problemi di fondo, cioè attinenti alla teoria storica, la cui corretta rivoluzione apre la giusta via alla rivoluzione socialista.

La troppo frequente mancanza di riflessione sul bilancio e le prospettive dell'attività rivoluzionaria all'interno d'un movimento che tuttavia si proclama rivoluzionario può dispiacerci, ma non certo sorprenderci.

Perché questa riflessione s'imponga come compito centrale e immediato è necessario considerare come vitale l'interesseoggettivo del processo rivoluzionario. Tale preoccupazione può sembrare naturale per un militante rivoluzionario ma, nei fatti, questa coerenza è meno diffusa di quanto si potrebbe credere.

Questo grave limite deriva dall' influenza nefasta del soggettivismo, che, infatti, fa discendere le scelte politiche, ideologiche, strategiche e tattiche della causa rivoluzionaria, non già dall' analisi scientifica della realtà ma dallo stato d'animo dei militanti. Cioè fa dipendere queste scelte non dalla riflessione globale, ma da cioè che appare in una situazione o in una esperienza specifiche.

Tesi quali "l'autodeterminazione dei poli di lotta" o scelte come "il fronte anti-imperialista" non sono che la consacrazione, la trasposizione a livello gruppuscolare - formale e rivendicato - delle caratteristiche specifiche del soggettivismo strettamente legato all' individualismo piccolo-borghese. E quando ognuno si determina in base a propri punti di riferimento determinati dalle sue esperienze personali, quando ognuno non s'accorda che con quella parte dell'esperienza altrui che coincide con la propria, ogni reale processo di sintesi - e dunque d'unificazione e di centralismo - diventa impossibile.

E' per questa via che il movimento rivoluzionario può assumere la forma confusa d'un grande amalgama di "poli", molto differenziati tra di loro, determinati da una grande variétà di categorie sociali che vanno per le loro rispettive strade (anche se possono occasionalmente incrociarsi), ognuno immerso nei suoi problemi particolari, stabilendo così un numero infinito di diversi ordini di priorità. Chi si polarizzerà attorno al problema del sessismo, chi invece attorno a quello della solidarietà verso questo o quel popolo in lotta; chi invece attorno all'antirazzismo o all'antimilitarismo, chi sul problema dell'alloggio, chi sull'occupazione di case, chi sulla lotta antifascista, chi sul sostegno ai prigionieri politici e via di questo passo.

Anche se potranno essere lanciati dei ponti, stabiliti dei legami di cooperazione, tuttavia ciò non impedirà che l'eterogeneità e la dispersione restino caratteristiche strutturali di un tale mosaico.

Ora, l'incapacità di unirsi, di andare oltre il fatto immediato e specifico arrivando a un progetto globale, unitario e coerente, di organizzarsi in una forza centrale unificata condanna il movimento militante rivoluzionario a non avere di rivoluzionario che il sogno, la pretesa o, peggio ancora, il nome usurpato.

IL SOGGETTIVISMO GIOCA UN RUOLO DI PRIMO PIANO NELLA DEGENERAZIONE DELLE FORZE POTENZIALMENTE RIVOLUZIONARIE O GIA' TALI IN FORZE ALTERNATIVE CONDANNATE A VEGETARE ETERNAMENTE AI MARGINI DEL SISTEMA CHE ESSE PRETENDONO COMBATTERE.

Che il problema del sessismo preoccupi delle compagne che, in quanto donne, vi sono direttamente e necessariamente interessate, è cosa normale, così come è normale che un compagno immigrato sia particolarmente sensibile al problema del razzismo. O ancora che dei compagni che si trovano in una situazione di drammatica precarietà economica si ribellino contro le ineguaglianze, gli sprechi o la speculazione. Potremmo citare ancora centinaia di casi altrettanto evidenti poiché non intendiamo affatto contestare la legittimità della lotta contro il sessismo, il razzismo, il degrado delle condizioni di vita, ecc. Ma è altrettanto vero che non si tratta neppure di stabilire una gerarchia tra fenomeni più o meno odiosi e di combatterli gradualmente.

Il problema è invece, almeno secondo un' ottica rivoluzionaria, di riunire tutte le nostre forze per costruire una potente macchina di guerra, unitaria e coerente, contro il sistema capitalista (e tutte le sue manifestazioni sociali come il razzismo, il sessismo, ecc.). Una macchina di guerra che concentri i suoi sforzi laddove il sistema capitalista è vulnerabile, laddove la leva dell' azione rivoluzionaria può rovesciarlo con più facilità e rapidità (e non dove questo sistema si dimostra più infame agli occhi di questo o quel compagno).

Nella lettera aperta dei compagni di Infoladen, leggiamo che in riposta a quanto avrebbero detto alcuni militanti della P.V.K., - Prima la rivoluzione, poi le donne - l'appello a boicottare Knipselkrant arrivato dalla Germania conteneva il seguente passaggio: "Una lotta rivoluzionaria è tale soltanto se è antiimperialista e antipatriarcale. E' necessario lottare ovunque per l'autodeterminazione e per la collettività contro l'oppressione e contro lo sfruttamento e modificarsi come soggetti Non si può rimandare nulla a dopo. O cominciamo a lottare contro lo sfrutamento e contro l'oppressione o altrimenti rimaniamo noi stessi degli oppressori, degli sfruttatori. Per far cessare il dominio dell' uomo sull' uomo è necessario lottare contro il patriarcalismo: una lotta che non è antipatriarcale non è rivoluzionaria".

Certo, una lotta che non è antipatriarcale non è rivoluzionaria. Una lotta che non è antirazzista non è rivoluzionaria. Lo stesso vale per l'antifascismo, l'ecologia, la solidarietà con i popoli in lotta, ecc., ecc.

La formula con cui si conclude il passaggio citato è bella e legitima ma non fornisce il più piccolo elemento pratico in risposta al problema della lotta rivoluzionaria oggi in Europa. Che fare? Questo è il vero problema. E la concezione soggettivista del mondo è assolutamente incapace di dare il ben che minimo contribuito alla sua soluzione: tutt' al più genera un' illusoria e sterile unanimità (siamo tutti contro il razzismo, il sessismo, il militarismo, ecc.) e in ogni caso non permette assolutamente d'orientare praticamente, in modo reale, l'attivita rivoluzionaria.

I marxisti-leninisti ritengono che bisogna esaminare il problema a due livelli. Da una parte vi è il problema interno al movimento rivoluzionario e dall'altra vi è il problema dei rapporti tra movimento rivoluzionario e il resto della società.

Ci sembra giusto e necessario che all' interno del movimento rivoluzionario regni il massimo rigore ideologico e che non vengano tollerati atteggiamenti sessisti, razzisti, individualisti, ecc. **

In effetti il comportamento dei militanti deve anticipare per quanto possibile i rapporti sociali della società che intendono costruire senza però perdere di vista il fatto che il compito, la ragione stessa del movimento rivoluzionario è di fare la rivoluzione, che la rivoluzione riguarda la classe proletaria nel suo insieme e che nel rapporto tra movimento rivoluzionario e il proletariato è il successo della rivoluzione che deve mobilitare ogni forza, ogni attenzione.

Esiste dunque un ordine tra i due livelli che però è il fondamento più forte e completo della loro unità.

L'obiettivo dell' attività rivoluzionaria, e dunque del movimento che pretende assumersi questa responsabilità, è la trasformazione rivoluzionaria della società, di tutta quanta la società e non la conquista di spazi per nuovi rapporti all' interno della vecchia società.

Ricordando che la sostituzione d'un sistema sociale con un altro è un fenomeno oggettivo e storico che risponde a leggi ben precise, leggi che sono messe in luce dall' analisi storico - materialista e relative allo sviluppo delle forze produttive, al ruolo delle classi sociali, ecc., il movimento rivoluzionario ha come compito prioritario conoscere e comprendere tali leggi tenendone conto in agni decisione, in ogni azione perchè altrimenti sarà destinato alla sconfitta o alla degenerazione impantanandosi nella melma alternativa, (poco importa se armata).

Bisogna sbarazzarsi della miopia egocentrica e tipicamente soggetivista che attribuisce al movimento rivoluzionario innanzittutto la responsabilità di conquistare spazi per la realizzazione personale e collettiva dei militanti! I rivoluzionari si realizzano contribuendo realmente alla trasformazione della società (e quindi alla loro trasformazione, diretta e indiretta) e non perdendosi in una ricerca introspettiva e narcisista tanto più sterile e sospetta dal momento che è utopistico - falso -, credere che sia possibile sbarazzarsi realmente delle categorie ideologiche borghesi al di fuori del contesto oggettivo della società socialista e delle sue rivoluzioni culturali. La lotta rivoluzionaria è certo un fattore di liberazione per coloro che vi prendono parte ma lo è solo se non si perde di vista la ragione stessa di questa lotta: la rivoluzione, la dittatura del proletario e l'edificazione del socialismo sulla via verso il comunismo.

Proclamare "Prima la rivoluzione, poi le donne", al di là di una formulazione infelice, è soprattuto una sciocchezza in quanto parlare di rivoluzione ha senso soltanto se intesa come liberazionedelle donne, degli uomini, dei popoli oppressi e di tutta l'umanità lavoratrice. Una sciocchezza in quanto lascia supporre un rapporto meccanico quando invece il rapporto è dialettico. Il progetto rivoluzionario non può che essere globale, poiché deve sintetizzare la totalità delle aspirazioni del popolo nella sua diversità aprendo praticamente la strada alla realizzazione di queste aspirazioni (come l'eguaglianza tra i sessi, tra razze, ecc.,).

Ma proclamare "Prima la rivoluzione!" è importante in quanto il movimento rivoluzionario non deve inseguire interessi particolari (anche se legittimi e vitali) ma l'avanzamento della loro globalità, cioè degli interessi generali, di classe, che solo permetterà, con il rovesciamento del capitalismo, la loro concretizzazione e il loro armonico accordo. (Ma non è forse questo ciò che intendevano dire i compagni della P.V.K.?).

Il principio "Prima la rivoluzione!" è essenziale; quindi deve essere ben capito e assimilato. In quanto marxisti - leninisti, siamo sempre vigilanti individualmente e collettivamente rispetto al nostro comportamento e alle nostre relazioni affinché non si manifestino mai nè sessismo, nè razzismo, nè individualismo, ecc. Ma ciò deriva dal nostro essere rivoluzionario, cioè partendo da una posizione oggettiva di rivoluzionari e in vista d'un obiettivo rivoluzionario. La vigilanza e il controllo collettivi, la disciplina rivoluzionaria, il rispetto della morale comunista sono possibili soltanto all' interno d'un processo globale e centralizzatore, attorno ad una linea unica, in una forza organizzativa unica, in vista d'un unico obiettivo, cioè il rovesciamento della borghesia e del suo stato e l'edificazione del socialismo. Soltanto in questo modo si può influenzare la società e la sua evoluzione.

Siamo pertanto contrari all'autodeterminazione del polo di lotta antipatriarcale, così come a quella di qualsiasi altro polo di lotta; (che questi esistano inevitabilmente come espressione spontanea delle contraddizioni è un' altra cosa).

Noi tendiamo sempre all' unità teorica, politica ed organizzativa del movimento rivoluzionario attraverso il dibattito contradditorio in cui le idee guiste s'impongono rispetto a quelle sbagliate e attraverso la costruzione del Partito.

Bisogna andare dal particolare al generale! Che l'esperienza di ognuno si integri nell'esperienza collettiva affinchè una linea collettiva si esprima in tutti i fronti di lotta particolare (e li organizza secondo un ordine di priorità messo in evidenza dall' analisi scientifica della società e delle sue contraddizioni), affinchè questa linea sia sempre più forte grazie alla ricchezza delle diverse esperienze e alla verifica dell' analisi. Solo così sarà possibile progredire.

Così quando leggiamo nella lettera aperta passaggi quali "Vogliamo innanzitutto che esista già un'organizzazione della nostra lotta contro il sistema patriarcale - capitalista nei momenti essenziali della vita sociale così come ce l'immaginiamo nella società che vogliamo conquistare", ci sembra di trovarci di fronte ad una concezione assolutamente idealista (cioè non materialista), alla deviazione soggestivista che pretende rapporti sociali radicalmente nuovi "nei momenti essenziali della vita sociale" prima e/o indipendentemente dalla trasformazione rivoluzionaria della società.

Questo è il tipico ragionamento che porta ad abbandonare una posizione "rivoluzionaria" per una posizione alternativa poiché, se è davvero possibile instaurare, "nei momenti essenziali della vità sociale", rapporti sociali che appartengono già alla "società da conquistare", perché voler ancora conquistare detta società? Ciò lascia capire comme il soggettivismo porti in sè nello stesso tempo i germi dell'estremismo con le sue irragionevoli esigenze e quelli del riformismo (anche radicale o armato) con la sua volontà di migliorare il sistema, cioè di scavare delle nicchie al suo interno. La lotta rivoluzionaria è indiscutibilmente liberatoria per chi la conduce ma soltanto nella misura in cui è realmente rivoluzionaria, cioè funzione oggettiva degli interessi superiori della rivoluzione socialista; ed è nel quadro di questa funzione che devono iscriversi le lotte ideologiche interne al movimento rivoluzionario se non si vuole cadere o in una logica conviviale alternativa o in una logica settaria.

Lenin insisteva sul fatto che la lotta di classe, stritto sensu, inizia soltanto quando i proletari si pongono obiettivi (anche solo economici) concernenti la loro classe nel suo insieme (contrapponendesi quindi alla classe dei capitalisti nel suo insieme). Le lotte parziali (come gli scioperi in questa o quella fabbrica) che inevitabilmente nascono prima che appaia un progetto globalizzante, non sono che, risprendendo l'espressione utilizzata da Lenin, un "debole embrione" della lotta di classe. Ebbene, noi vogliamo qui insistere sul fatto che si può, nello stesso modo, parlare di lotta rivoluzionaria solo se si tratta di lotta globale e centralizzatrice per la distruzione del capitalismo e l'edificazione del socialismo. Le lotte parziali che esistono prima del manifestarsi di questo progetto globale non possono che essere definite, tutt' al più (cioè quando esprimono rivendicazioni autenticamente proletarie), che come "debole embrione" della lotta rivoluzionaria.

Un progetto rivoluzionario, globale, implica un'unificazione teorica (poichè un processo di sintesi necessita d'una concezione del mondo comune a tutto il movimento rivoluzionario, una concezione del mondo che secondo noi deve essere il marxismo-leninismo); implica un'unificazione politica, strategica e programmatica (di modo che le forze siano sensatamente concentrate e distribuite secondo le necessità oggettive e che la coerenza e la pertinenza delle loro manifestazioni conquistino la fiducia delle masse); implica infine un'unificazione organizzativa (che corona le altre esigenze d'unità e da cui il concetto di Partito trae la sua leggittimità storica).

Non siamo degli ingenui: sappiamo infatti che molti militanti di quello che viene comunemente definito "movimento rivoluzionario europeo" resteranno estranei ad un processo rivoluzionario storico di classe. Molti continueranno a difendere "l'autodeterminazione dei poli di lotta" rifiutando l'unificazione teorica, politica, strategica, programmatica ed organizzativa e la subordinazione della parte al tutto, del secondario al prioritario, degli interessi particolari (o parziali) a quelli collettivi (o partitici).

Sappiamo che il veleno soggettivista piccolo-borghese è così diffuso nel movimento militante europeo che ancora per molto tempo molti compagni persisteranno a prendere posizione e ad impegnarsi prima di tutto in funzione di poli d'interesse e non in funzione degli interessi superiori della lotta rivoluzionaria messi in luce dal materialismo dialettico e storico e dall'esperienza del movimento comunista internazionale. Così, molti saranno i compagni che resteranno ciechi non riconoscendo il ruolo storicamente centrale della lotta di classe (classi che, ricordiamolo, sono definite oggettivamente a partire dall'economia politica e in nessun altro modo), della contraddizione tra il proletariato - in particolare la classe operaia - e la borghesia e il valore scientifico degli insegnamenti marxisti - leninisti.

Il nostro dovere di comunisti è di convincere questi compagni a liberarsi dall'influenza nefasta del soggettivismo che li furvia! Dobbiamo farlo senza sosta, senza risparmiare i nostri sforzi anche se non ignoriamo che molti non lo potranno o vorranno fare poichè l'origine culturale e sociale di molti militanti rivoluzionari è un serio ostacolo oggettivo di un certo peso al superamento di deviazioni così tipicamente piccolo - borghesi quali il soggettivismo (e soprattuto il suo corollario frontista) e allo schierarsi su posizioni autenticamente proletarie.

La liberazione dal soggettivismo può richiedere uno sforzo e una lotta ideologica ancora più duri e continui di quelli necessari ad estirpare comportamenti sessisti, razzisti, sciovinisti, ecc., dal movimento rivoluzionario. L'antisessismo, l'antirazzismo, ecc. possono, infatti, in quanto tali, al di fuori d'un contesto prioritario di classe, conciliarsi con una poszione (piccolo) borghese; basti pensare ai fondamenti umanisti della socialdemocrazia in cui si riconosce la piccola borghesia intellettuale e "progressista" europea... e con cui essa puntella il suo anticomunismo più fanatico. Mentre invece sostenere posizioni autenticamente proletarie, con tutto ciò che ne deriva in termini d'impegno, di morale, di disciplina, di spirito di partito, di sottomissione della parte al tutto, di sacrifici agli interessi superiori di classe, ecc., comporta una rottura basilare e permanente - definitiva - con gli interessi e il bagaglio individualista della piccola - borghesia.

Sconfiggere l'individualismo e il soggettivismo è d'importanza capitale: è una dura lotta che debbiamo condurre all' interno dei nostri ranghi, nelle nostre teste, nelle nostre scelte, ovunque, senza sosta ed esitazione. La capacità del movimento rivoluzionario europeo di sviluppare un' autentica lotta rivoluzionaria dipende da questo.

note del traduttore

* Nell'originale sostantivi, aggettivi, articoli, ecc. sono sempre ripetuti al maschile e al femminile: per semplicità si è omesso quest'uso introdotto per combattere il sessismo nel campo della lingua

** Certo, e allo stesso titolo per cui non devono essere tollerati atteggiamenti soggettivisti, militaristi, opportunisti, ecc. E' necessario mettere in chiaro ciò, affinché la giusta indicazione della lotta contro atteggiamenti sessisti, razzisti, ecc. non sfoci nella tesi soggettivista del movimento rivoluzionario come comunità che anticipa nei suoi comportamenti idee più o meno fondate che noi abbiamo sulla società socialista, anziché come movimento per la trasformazione dell'ordinamento politico ed economico e quindi culturale presente. (ndt)

RISPOSTA A DUE DOMANDE PRECISE

Come concepite la lotta contro il patriarcato?

Che importanza riveste ai vostri occhi?

"Ovunque la borghesia ha conquistato il potere, essa ha calpestato le relazioni feudali, patriarcali..."

Karl Marx e Friedrich Engels: Manifesto del partito comunista

Prima d'esprimere la nostra posizione, ci sembre necssario fare qualche considerazione sull' uso del termine patriarcato per designare l'ineguaglianza tra i sessi, propria della formazione sociale dei nostri paesi aggigiorno. Noi pensiamo che se è ancora possibile parlare (a diversi livelli) di patriarcato per alcuni paesi in via di sviluppo o periferici, ciò è invece sbagliato per quanto riguarda i paesi sviluppati dei centri imperialisti semplicemente perchè, nonostante il permanere di forme particolari di sfruttamento economico, d'oppressione sociale, ideologica e culturale, la parità di diritti tra uomini e donne è ormai acquisita.

Il patriarcato si fonda sulla famiglia in cui l'uomo è proprietario dei beni e la trasmissione di questi ultimi segue la filiazione per linea paterna. Gli altri aspetti del patriarcato, e soprattutto i suoi corollari ideologici che servone a guistificare in un modo o nell' altro l'oppressione della donna, derivano dal problema della proprietà dei beni familiari, della loro estensione e trasmissione. Ecco perchè, secondo noi, la parità di diritti tra nomini e donne nella famiglia contemporanea e in particolar modo la parità giuridica in materia di proprietà ed eredità, non permette più di definire come patriarcale la società capitalista moderna e ciò, lo ripetiamo esplicitamente, nonostante l'innegabile permanere di manifestazioni particolari di sfruttamento economico, d'oppressione sociale, ideologica, culturale, ecc., nei confronti delle donne. Pensiamo quindi che sia più corretto designare le nostre attuali società a capitalismo avanzato e di democrazia borghese come sessiste.

Ma ci sembra ancora più necessario ricollocare il concetto di patriarcato nel suo contesto storico esatto, poichè è assurdo e sbagliato pretendere che il patriarcato sia la matrice del capitalismo o, come scrivono i compagni di Infoladen, "una forma d'oppressione che genera il capitalismo".

Una simile concezione deriva dall'idealismo filosofico in quanto fa derivare la struttura dalla sovrastruttura, afferma in ultima analisi che è l'uomo a creare la società e nega la tesi che l'uomo è un prodotto storico e sociale. Essa contrasta assolutamente con il materialismo dialettico e storico; essa è sbagliata.

Più esattamente, il patriarcato è stato un prodotto dello sviluppo delle forze produttive che, superando le stadio inferiore della barbarie, ruppe con il comunismo primitivo (tribale, di clan) in cui dominava la filiazione per linea materna. L'aumento della produttività del lavoro (grazie all' allevamento, all' agricoltura, alla fabbricazione d'utensili) fece nascere nuove ricchezze, permise l'accumulazione, diede una nuova dimensione alla proprietà privata facendone la chiave del rovesciamento dei rapporti tradizionali nati dall' economia domestica del comunismo primitivo.

Engels: "Dunque, man mano che la ricchezza aumentava, essa dava da un lato una posizione più importante, all' interno della famiglia, all' uomo rispetto alla donna e dall' altro generava la tendenza ad utilizzare questa situazione consolidata per rinforzare a profitto dei figli, l'ordine di successione tradizionale. Ma ciò non era possibile finchè restava in vigore la filiazione per diritto materno. Bisognava dunque anzitutto cancellarla e così fu! (...). La filiazione per linea feminile e il diritto d' eredità materno furono così abolite e sostituite dalla filiazione per linea maschile e dal diritto d'eredità paterno (...). Una volta stabilito il potere esclusivo degli uomini, il suo primo effetto si fece sentire sotto la forma intermediaria delle famiglia patriarcale che allora fece la sua comparsa" (Origine delle famiglia, della prorietà privata e delle stato).

Il capitalismo nasce anche lui dallo sviluppo delle forze produttive, ma vari millenni dopo. E se il contesto economico - sociale in cui (e da cui) emerge, cioè il modo di produzione feudale, è indiscutibilmente patriarcale, non si può tuttavia applicare il sillogismo per cui il patriarcato diventa l'origine del capitalismo. L'importante è la proprietà privata dei mezzi di produzione e poco importa - dal punto di vista storico della nascita dei rapporti di produzione capitalisti - se essa è monopolio, all'interno della famiglia, di questo o quel sesso, se è trasmessa per filiazione feminile o maschile. Ciò è comprovato dal semplice fatto che oggi i rapporti di produzione capitalisti si perpetuano nonostante che l'eguaglianza di diritti tra i sessi, per quanto riguarda la proprietà, la sua valorizzazione e la sua trasmissione, sia ormai consacrata.

Meglio ancora, andrebbe sottilineato il fatto che la base sociale che ha permesso al movimento di liberazione delle donne di nascere e di svilupparsi viene dal capitalismo stesso (in particolare grazie alla rivoluzione industriale che ha permesso alle donne d'uscire dall' ambito domestico immettendole nella produzione salariata).

Il superamento del patriarcato è uno dei meriti storici rivoluzionari del capitalismo.

Noi non neghiamo affatto l'oppressione specifica della donna nella società imperialista (il suo sfruttamento nella famiglia monogamica in tanto che unità economica, la sua maggiore precarietà sociale di fatto, la sua reificazione, ecc.) e ancor meno l'oppressione più brutale e dolorosa a cui la donna è sottoposta in molti paesi periferici o del Terzo Mondo così come non intendiamo minimizzare tale problema. Ma rifiutiamo di accordargli un posto che non ha nell' evoluzione storica dell'umanità. La lotta per l'eguaglianza dei sessi fa parte della lotta per la liberazione di tutti gli oppressi e sfruttati della terra ma non ne costituisce la leva essenziale. La leva principale è infatti, come abbiamo affermato nel nostro testo "Un po' di politica", la contraddizione universale e antagonista tra proletariato internazionale e borghesia imperialista e soltanto la sua risoluzione in termini rivoluzionari permetterà un reale progresso sociale, economico, politico e ideologico per l'umanità: la marcia verso la società comunista.

Vorremmo ora parlare d'una differenza fondamentale tra i punti di vista da un lato, della grande maggioranza dei movimenti per la liberazione della donna e, dall'altro, dei comunisti rivoluzionari, di cui noi facciamo parte.

Questa differenza sta nella posazione di classe e si basa sull'analisi di classe. Secondo noi, in una società divisa in classi sociali antagoniste, non esistono diritti o libertà che trascendano la lotta di classe.

E vero che, in passato, borghesia e proletariato hanno talvolta unito (in modo contradditorio, in quanto prodotti essi stessi del modo di produzione dominante) le loro forze per liquidare definitivamente il feudalesimo e che, in questo contesto molto generale, la lotta contro il patriarcato per l'eguaglianza guiridica dei sessi ha potuto unire (fino ad un passato più recente) i movimenti femministi borghesi, piccolo-borghesi e proletari, ma si tratta di capire che quei tempi sono ormai superati nelle democrazie borghesi dei centri imperialisti. Esistono ora molto più interessi contradditori che interessi comuni tra una borghese e una proletaria e l'intensità dei primi annulla i secondi.

In effetti, tutto dipende dagli obiettivi reali che si vogliono raggiungere. O un cambiamento radicale dei rapporti sociali in vista d'una società egualitaria, dell'abolizione dello sfruttamento e dell' oppressione dell'uomo da parte dell'uomo, l'eliminazione del sessismo, della fallocrazia, ecc.; o delle riforme anti-sessiste, anti-fallocratiche, necessariamente insoddisfacenti, nel quadro di rapporti sociali globalmente immutati, in cui permangono la divisione in classi e l'oppressione dell' uomo da parte dell'uomo. Il primo obiettivo è quello dei comunisti rivoluzionari, il secondo quello delle feministe riformiste, borghesi e piccolo - borghesi.

Quale deve essere l'atteggiamento dell'avanguardia comunista nei confronti dei movimenti femministi proletari (che lottano contro il supersfruttamento, il sessismo, ecc.)? Certamento di sostegno, ma inscritto in un lavoro politico che tenda a far prendere coscienza a questi movimenti del loro contesto naturale - la lotta di classe - spingendoli dunque verso la lotta rivoluzionaria. Quale deve essere invece l'attegiamento dell'avanguardia comunista nei confronti del femminismo borghese e piccolo-borghese? Di critica, senza concessioni, per il suo carattere riformista e antiproletario.

Concludendo, noi pensiamo che se è giusto combattere il sessismo e la fallocrazia dove e come si manifestano (anche nel proletariato e specialmente tra i comunisti che devono avere un comportamento esemplare mentre non sono che la difficile "brutta copia" di una nuova umanità e della sua armonia sociale), soltanto la Rivoluzione permetterà di risolvere ogni problema sociale, economico, politico e ideologico inerente al capitalismo o mantenuto in vita dal capitalismo e di finirla per sempre con le sfruttamento e l'oppressione dell'uomo sull'uomo. E per le donne proletarie, la posta in gioco vale doppiamente la pena.

Ottobre 1991

Pascale Vandegeerde, Didier Chevolet, Bertrand Sassoye & Pierre Carette
militanti delle Cellule Comuniste Combattenti

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