Cuneo: IL CONFRONTO DEVE PARTIRE DALLA REALTA'Gli undici interventi sulla «battaglia di libertà» pubblicati sul Bollettino 28 rappresentano un primo giro d'interventi che avranno ripercussioni sul futuro del movimento rivoluzionario. Sgombriamo però il campo dai falsi problemi. Se i partiti decidessero un'amnistia riguardante i fatti di lotta armata degli anni '7O-'8O senza chiedere contropartite, non ci opporremmo in alcun modo alla decisione. Ci spiegheremmo la decisione anche guardando ai precedenti: amnistia del 1932 (1) e quella concessa a Castro (2). E come i comunisti italiani nel '32 e come Fidel Castro ci attiveremmo nel ridare forza al processo rivoluzionario tenendo conto naturalmente delle contraddizioni oggi presenti e delle difficoltà in cui versa il movimento rivoluzionario. Ma tra il «non rifiutare» l'amnistia e sostenere la «battaglia di libertà» ci sembra passi una notevole differenza. L'operazione di Curcio chiamata «battaglia di libertà» va attaccata e ne spiegheremo i motivi. Prima di tutto le tesi politiche. E' dall'83 che Curcio attacca non solo il patrimonio politico di questi anni ma l'intero patrimonio politico dei comunisti. Con i documenti dell'83 Curcio si è guadagnato l'attenzione e l'apprezzamento dell'Avanti ma anche la dura critica dei comunisti (3). Curcio è la classica figura di rivoluzionario che giunge a posizioni compatibili con l'organizzazione borghese e aggiunge il suo nome al lungo elenco di rivoluzionari assorbiti dalla classe dirigente, rinnovando quel fenomeno che va sotto il nome di trasformismo (4). La «battaglia di libertà» Con la prima lettera di aprile si è aperta in parte del movimento la discussione sulla liberazione dei prigionieri politici. Questa è stata anche l'occasione per riparlare pubblicamente degli anni '7O-'8O e del ruolo svolto dalla lotta armata. E' una discussione interessante che non a caso ha fatto emergere precise critiche a Curcio. Va anche detto però che questa area non ha la forza per far decollare una battaglia politica per la liberazione dei prigionieri. Non abbiamo nemmeno visto alcun movimento di massa muoversi a sostegno della «battaglia di libertà». Tantomeno abbiamo visto scendere in campo intelletuali pronti a sostenere le ragioni di uno scontro che potrebbero ritenere esaurito...niente di tutto questo. Eppure la questione è montata rimbalzando da un mass media all'altro e sull'onestà intellettuale e sull'indipendenza dei mass media non c'è nessuno disposto a scommettere una lira. Su quali forze conta allora la «battaglia di libertà»? E' ovvio che queste forze vengono direttamente dai partiti interessati ad una soluzione del problema dei prigionieri politici. Non abbiamo quindi nessuna intenzione di essere parte attiva in questa falsificazione. Preferiamo chiamare le cose con il loro vero nome e questa «battaglia di libertà» non è altro che una contropartita alla liberazione. Contropartita data con le teorie anticomuniste di Curcio e con l'offerta di delegittimare le iniziative rivoluzionarie che dovessero verificarsi dopo la liberazione dei prigionieri. C'è molta presunzione nelle dichiarazioni dei liquidazionisti, non tanto nel pensare che lo stato possa concedere la libertà quanto nel ritenere delegittimabile un'iniziativa rivoluzionaria che si muove su contraddizioni reali. In realtà i liquidazionisti sono pronti a tracciare un solco tra il passato e il futuro del movimento rivoluzionario. Questa frattura rischia oggi di essere avvertibile da alcuni per le difficoltà in cui versa il movimento rivoluzionario, ma diventerà inesistente una volta che il processo rivoluzionario riprenderà vigore. Data la demagogia che vela il reale rapporto tra la «battaglia di libertà» e gli interessi borghesi, è facile che Curcio esca conservando agli occhi delle masse le sembianze del rivoluzionario capace di ingaggiare una «battaglia» usando le sole forze della ragione. Questa «battaglia» si pone quindi anche come ricostruzione di una «figura rivoluzionaria» prodotta e distribuita dai mass media ad uso e consumo di massa. Dobbiamo quindi fare tutto il possibile per squarciare il velo di questa mistificazione. Ci troviamo di fronte anche altri diversi problemi. Molti compagni sottovalutano la pericolosità dell'operazione condotta da Curcio e credono che basti decretarne l'espulsione dal movimento rivoluzionario per sventare ogni pericolo. In realtà non è così semplice. Curcio ha ricompattato intorno a sè ex compagni provenienti da diversi spezzoni dell'esperienza BR. La maggioranza dei prigionieri ex BR-PCC con in testa la Balzerani, oltre a fornire ridicole argomentazioni sull'impossibilità della ripresa del processo rivoluzionario, continuano ad ergersi spavaldamente a difesa dell'esperienza BR. Questi individui si sentivano di difenderla tanto quando attaccavano Curcio e gli altri compagni, quanto ora che sono saliti sul carrozzone di Curcio e continuano ad attaccare gli altri compagni. Ma al di là di questi fatti che sembrano tratti da una farsa, ci preoccupa la confusione che determineranno in molti compagni. Dovremmo tenerne conto e soprattutto dovrebbero tenerne conto quei compagni che continuano a conferire alla lotta armata proprietà taumaturgiche, esentandosi dal fare i conti con la realtà e dal ricercare i necessari passaggi per uscire da questa situazione di crisi. Alcuni di questi compagni che si guardano bene dal fare i conti con la realtà, ripropongono pari pari, se non in forma più grave, le concezioni errate del passato. L'ultima trovata è l'immissione nel dibattito della teoria della destabilizzazione mai circolata nell'organizzazione BR. Le BR infatti hanno teorizzato e praticato la «disarticolazione» delle strutture e dei progetti nemici, in funzione di uno sviluppo del processo rivoluzionario nel nostro paese. La «destabilizzazione» (non viene affermato esplicitamente ma è sottinteso) ha alla sua base la completa sfiducia nelle possibilità del proletariato del nostro paese di svolgere una funzione nel processo rivoluzionario. Questi compagni pensano come se fossero un gruppo di rivoluzionari in un paese ad economia forte e senza forti contraddizioni sociali e, impossibilitati a fare la rivoluzione nel proprio paese si candidano al servizio delle rivoluzioni in altri, proponendosi l'unica pratica possibile: la «destabilizzazione». Non ci sembra però che in Italia ci siano le condizioni sopraddette. Accusare i compagni di liquidazionismo non significa avere una posizione politica pratica. Non esaurisce i nostri compiti. La proposta di Curcio ha ingenerato confusione. La liberazione dei prigionieri politici è un problema sentito nel movimento. La «battaglia di libertà» fa misurare i compagni con la debolezza del movimento di fronte al problema, ma dall'altra parte dimostra che l'alternativa è la rinuncia. Se non prevale una corretta posizione che si misuri con la discussione in ballo, il rischio è che una parte del movimento cada nelle mani di Curcio e che i comunisti non partecipino con la propria posizione, utilizzando tutti gli strumenti, alla discussione sui prigionieri politici e sugli anni settanta, lasciandola così ai mass-media. Occorre inoltre distinguere tra la critica alla «battaglia di libertà» e la posizione da tenere nei confronti di una amnistia emanata dallo stato. Posizione che nel movimento non potrebbe essere che quella di sostenere un'amnistia senza contropartite e senza discriminazioni verso i compagni. Solo così si danno contorni netti ed inequivocabili alla questione. Dobbiamo anche tenere conto che una maggiore confusione ingenererà nella classe l'immagine di Curcio irradiata dai mass-media, anche perchè crediamo che i proletari non conoscano i termini della battaglia politica svolta in passato contro il capo liquidatore. Ma cosa può sostenere un compagno all'interno di una situazione di classe di fronte alla campagna martellante dei mass-media sull'amnistia? Che è contrario a che escano i prigionieri? O denunciare Curcio e presentare le cose come sono: un'operazione per discriminare i compagni? Ci sembra che non ci sia altro da fare che tenere quest'ultima posizione e sostenere la liberazione senza contropartite e senza discriminazioni. Non crediamo che lo stato sia disposto a liberare i compagni che attaccheranno la «battaglia di libertà», ma così facendo, se avremo lavorato tenacemente nel movimento e nelle situazioni di classe, apparirà evidente a tutti la differenza tra le posizioni liquidazioniste e quelle dei compagni. Solo così si può pensare di rovesciare contro Curcio e i suoi sostenitori l'operazione che hanno montato. Solo così gli si potrà impedire di usufruire dell'immagine del «capo rivoluzionario sconfitto ma indomito» comunicata dai mass-media. Questa ennesima ondata di transfughi dal movimento rivoluzionario impone sempre più l'esigenza di trovare una unità tra compagni, di riprendere la discussione. Se a nessuno sfugge la gravità della situazione nazionale e internazionale, c'è ancora il buio sui passaggi necessari per uscire dalla crisi del movimento rivoluzionario. Le organizzazioni sono drammaticamente ridotte dal punto di vista della loro forza politica. Il movimento rivoluzionario è in generale ridotto a poco. Il problema lotta armata/riproduzione dei quadri sembra un serpente che si morde la coda. In alcuni si è affermata l'errata convinzione che senza la lotta armata non ci sia riproduzione di quadri e che la lotta armata possa svilupparsi indipendentemente dal corso della lotta di classe. Questo criterio secondo noi non ha validità. Se non si consolida il radicamento nel proletariato, se non si rispetta il principio dello sviluppo per linee interne alla classe, regolando ritmi e livelli di iniziativa alle proprie forze e a quanto esprime la lotta di classe, non ci sarà mai un rafforzamento, non si uscirà dalle secche. Quando si parla di analisi concreta della realtà concreta, non ci si riferisce solo all'analisi della crisi del modo di produzione capitalista, che è condizione fondamentale, ma anche allo stato della soggettività. Una adeguata rete di compagni, un partito rivoluzionario che goda di prestigio e in particolare una radicale lotta di classe: nelle attuali condizioni questo è tutto da costruire e crediamo debbano essere gli obiettivi al centro del nostro lavoro in questa fase. Oggi non c'è una organizzazione, una struttura che possa assumersi il compito di aggregare attorno a sè le varie esperienze e contribuire alla formazione della necessaria forza soggettiva. Ricercare l'unità dei compagni è allora il primo passo da fare. Sappiamo bene quanto sia lunga la strada per giungervi. Esistono differenti e radicate impostazioni che nell'immediato non è possibile accordare. Si potrebbero però muovere i primi passi se il confronto partisse dai problemi concreti che ci troviamo di fronte. Ricercare allora parole d'ordine e posizioni concrete comuni contro le posizioni curciane è una prima occasione per verificare quanto questo sia possibile oggi. Alcuni comunisti prigionieri Cuneo, ottobre 1987 (1) L'amnistia fu concessa nel decennale del regime fascista. Anche se la situazione economica nazionale era alquanto critica, il regime intendeva dimostrare di sentirsi sicuro. Inoltre la polizia politica aveva raggiunto una elevata capacità di vigilanza e repressione da non temere la liberazione di un centinaio di comunisti. Secchia usufruì dell'amnistia anche se, arrivato a casa, fu arrestato di nuovo e inviato al confino. (2) Il regime di Batista decise di sbarazzarsi di Castro e degli altri per impedire collegamenti tra rivoluzionari e popolazione. Fidel Castro fu amnistiato dopo due anni dall'assalto al Moncada, dove morirono un centinaio di persone. (3) Oltre alle prese di posizione delle OCC, uscì il libro "Politica e Rivoluzione" che spiega i caratteri antimarxisti delle tesi di Curcio. (4) Al riguardo vale la pena di citare Gramsci "... dal 1815 in poi un piccolo gruppo dirigente è riuscito metodicamente ad assorbire tutto il personale politico che i movimenti di massa di origine sovversiva esprimevano ... assume una portata imponente nel dopoguerra quando pare che il gruppo dirigente tradizionale non sia in grado di assimilare e dirigere le nuove forze espresse dagli avvenimenti". |