UNA PROSPETTIVA RIVOLUZIONARIA IN EUROPACollettivo Prigionieri Comunisti 'Wotta Sitta'
Le note che seguono definiscono la posizione del nostro collettivo riguardo il percorso avviato dalla Raf dall'aprile '92, e con essa, necessariamente, il nostro punto di vista su alcune questioni che riteniamo fondamentali per l'iniziativa rivoluzionaria dei comunisti in Europa. Si tratta di note elaborate da tempo nei loro contenuti di fondo. I motivi per cui solo ora le proponiamo all'attenzione e alla discussione di compagni e compagne sono molto semplici e li spieghiamo in breve. Diciamo subito, con chiarezza, che a noi la svolta della Raf è apparsa, fin dall'inizio, come la manifestazione di una crisi politica in cui si annidavano, pericolosamente, i germi di rovinosi processi disgregativi. Nell'enunciare le ragioni della loro 'cesura' con il passato il gruppo di militanti clandestini che oggi è la Raf, non solo non proponeva alcun valido elemento per una nuova prospettiva impasticciandosi in una pensa 'pappa populistica' pan-tedesca, a spalancava le porte alla penetrazione imperialista accettando di giocare al tavolo di Kinkel. Per noi non aveva molta importanza prendere le distanze o sparare anatemi su tutto ciò in nome dei sacri principi violati. La Raf ha piazzato un cuneo ben dentro il campo antagonista europeo dilatando i vuoti di prospettiva già esistenti. Il nodo era ed è la ricostruzione strategica della politica rivoluzionaria e questa si da nell'avanzamento della lotta e del dibattito consapevolmente mirati sui terreni realmente centrali. La Raf con la sua iniziativa aveva chiuso questo spazio, che pur era stato tenuto aperto faticosamente dopo la battuta d'arresto dell'esperienza del fronte nel '88, catalizzando l'attenzione e le energie di parti cospicue del movimento in Europa (in particolare in Germania) su questioni errate e secondarie, e allontanandone molte altre da una dimensione continentale della lotta (specialmente in Italia). La crisi doveva allora consumarsi fino in fondo. Molte cose dovevano acquistare una chiarezza tangibile. E infatti l'attacco a Weiterstadt dimostrava quanto fosse fumosa la scelta di 'fermarsi per riflettere' visto che gli elementi di riflessione su cui poggiava non andavano oltre la denuncia della crudeltà del carcere tecnologico, proponendosi ben, più concretamente come pressione affinché qualche boss del 'nuovo reich' facesse un altro giro di carte al tavolo mollato da Kinkel. Ma i tavoli della borghesia sono sempre truccati, e il gioco reale non è mai quello che appare. Così Wolfgang è stato ammazzato. Grazie ad uno spione fetuso allevato nella palude della falsa pratica antagonista priva come è di una qualsiasi prospettiva offensiva. E se Kohl ha cacciato Von Stahl è perché voleva tutta la Raf appesa per i piedi a chiedere perdono e a fare spettacolo di morte fisica e politica della resistenza, in omaggio alla potenza tedesca. Perché questa è la politica di pacificazione imperialista: annientamento e riciclaggio sono facce della stessa medaglia. E quando dopo Bad Kleinen tutto questo è diventato chiaro e palpabile per ogni compagno/a in Germania e in Europa, è caduto anche l'ultimo velo che copriva il vicolo cieco in cui si sono cacciati i militanti clandestini Raf. Il silenzio con cui hanno consentito o voluto che gli 'affidabili' di Celle si mettessero a fare i portavoce nella sinistra della politica di pacificazione di Herr Kohl, li ha portati oltre il confine che separa rivoluzione e imperialismo. Una vera pugnalata alla schiena dei/delle compagni/e prigionieri che pur hanno chiarito più volte che la loro vita non passa per il tavolo di Kinkel o di Schnarrenberger ma per l'avanzamento rivoluzionario. Ma non è solo la deriva politica Raf a fare sembrare quelli attuali come tempi di disorientamento tra i comunisti. Guardando ad alcune modalità con cui tanti altri/e compagni/e, su un piano certamente diverso, cercano di superare le obiettive difficoltà di questa fase storica, se ne ricava un quadro abbastanza frammentato di esperienza e di riflessione, che si può sintetizzare in tre filoni fondamentali di approccio alla guerriglia e alla strategia rivoluzionaria. Quello che privilegia la necessità di ripartire dalle lotte sociali - di movimento- giudicando impossibile agire su un piano politico complessivo se esso non si afferma come naturale sviluppo del movimento, ma così si finisce, inevitabilmente, per circoscrivere il proprio orizzonte alla situazione specifica che si vive, con un richiamo puramente ideale allo scontro politico generale. Quello che mette al primo posto il ripensamento delle scelte strategiche su cui è nata la guerriglia; una corsa all'indietro fatta di esasperate e disarmanti revisioni ideologiche che allontanano da un approccio offensivo con lo scontro. Quello che ritiene centrale la continuità con il progetto che ha guidato la guerriglia negli ultimi 10 anni, giudicandolo immutabile e ritenendo le sconfitte e i vuoti di iniziativa questioni puramente organizzative che si colmano automaticamente con la ripresa dell'attacco. Invece sulle sconfitte incidono sempre (anche se non solo) impianti politici inadeguati e in assenza di una chiarificazione sono destinate a riprodursi, pesando negativamente sull'insieme delle condizioni politiche, perché si aumenta il gap tra sedimentazione di coscienza rivoluzionaria ed evoluzione oggettiva dello scontro. Sarebbe miope però vedere nel quadro attuale dell'esperienza rivoluzionaria solo questi limiti di approccio strategico che tengono sottodimensionata la soggettività comunista rispetto all'evolvere dello scontro, senza prendere in considerazione altri fattori. Da questo quadro emerge, infatti, comunque la coscienza della necessità di una proposta politica complessiva. E quindi la possibilità concreta della sua definizione. Non solo, quello che emerge sono anche utili indicazioni sui principali passaggi da attuare per arrivarci. L'espansione delle lotte sociali a livello europeo è un dato innegabile sotto gli occhi di tutti. Così come è altrettanto innegabile che esse stanno ponendo l'esigenza di individuare il terreno politico su cui si determina l'avanzamento dei rapporti di potere. E' chiaro a tutti che oggi l'ostacolo principale davanti a cui le lotte di massa operaie e proletarie sono costrette di volta in volta a rifluire o a mediare è l'impossibilità di aggredire immediatamente il piano sovranazionale specificamente europeo che sta in gran parte determinando limiti e compatibilità rigide per ogni territorio nazionale. In questo senso numerosi/e compagni/e che dentro le lotte si attivano per la loro politicizzazione e avanzamento si stanno già seppur parzialmente misurando con la necessità di rompere l'accerchiamento nazionale/locale delle lotte. L'altro dato fondamentale è che, seppur con diverse accentuazioni, le componenti più avanzate della guerriglia e del movimento rivoluzionario in Europa affermano con chiarezza che nessun avanzamento strategico è possibile oggi se non ci si mette al livello della dimensione internazionale dello scontro tra le classi. E' questo un elemento di coscienza importante che pone le basi per un confronto unitario e costruttivo. A partire da questi due dati è possibile il superamento di quelle difficoltà a relazionarsi con uno sguardo di lungo periodo alla complessità del quadro attuale dello scontro e che rimandano ad una forma di debolezza sulla identità e i compiti dei/delle comunisti/e. Infatti quello che definisce i/le comunisti/e nelle diverse fasi dello scontro tra proletariato e borghesia è sempre la capacità di "sostenere l'interesse del movimento nella sua totalità" (Marx). I/le comunisti/e allora propongono praticamente, in termini di organizzazione e di lotta, una coscienza e una visione complessiva dello scontro, una strategia per affermare tangibilmente gli interessi del proletariato e per indebolire la borghesia. 'Compito dei/delle comunisti/e' non è quello di ricordare ai proletari quanto è distruttiva la vita nella società borghese, di quanti massacri si alimenti la ricchezza del 'big-business'. Lo sanno già da soli. Il compito principale è assumersi la responsabilità di dire come si vince, come si ottengono cambiamenti, piccoli e grandi, nel presente storico. A questo punto potrebbe apparire inutile affrontare nel merito le tesi su cui la Raf ha poggiato la sua svolta. Ma non è così. Quelle tesi affondano le radici in esperienze e concezioni che non sono certo affare privato Raf. Tutt'ora molti/e compagni/e pur respingendo l'ambiguo rapporto con la politica statale le ritengono, in parte o in tutto, risposte valide ai problemi di iniziativa e di prospettiva che attraversano il tessuto comunista europeo. In ogni caso esse rappresentano il punto a cui è arrivata un'esperienza rivoluzionaria durata oltre 20 anni. E' con esse che dovranno fare i conti tutti/e i/le compagni/e che da dentro la Raf o comunque a partire da essa vorranno andare avanti. Ed è principalmente ad essi che ci rivolgiamo. Affrontiamo, allora, la critica agli elementi di valenza generale estraibili dalle posizioni Raf perché consente di mettere a fuoco alcuni nodi politici attraverso cui passa l'avanzamento rivoluzionario e di rimettere con i piedi per terra alcune questioni fondanti la coscienza politica sedimentata dalla guerriglia in Europa e che non vanno disperse. [torna all'inizio della pagina]
A) La Raf dice: nel cambiamento dei rapporti di forza mondiali è fallita l'idea di uno sviluppo rivoluzionario attraverso la lotta internazionale comune. Una tesi tanto netta quanto superficiale perché priva di qualsiasi analisi del quadro mondiale dello scontro. Per loro non ci sono scontri rivoluzionari in atto nel mondo, non ci sono enormi conflitti sociali dall'Europa all'Asia, agli Usa, all'Est, non ci sono contraddizioni interborghesi che sfociano in guerre di ogni tipo, e infine non c'è una guerra globale Usa per mantenere un predominio politico ed economico sempre più in crisi. Per la Raf c'è solo il riferimento a quello che è finito. Il dato centrale che emerge, è che la Raf non si è mai staccata, nella valutazione del quadro dei riferimenti strategici, dalla evoluzione dello scontro 'Campo socialista/imperialismo'. Ogni modifica del loro progetto, dopo ogni esperienza di lotta internazionale comune - prima quella con la guerriglia palestinese e poi quella con la guerriglia europea - ha comunque sempre ruotato, nella sostanza, attorno alla stessa visione delle contraddizioni, dei soggetti e delle possibilità di sviluppo dello scontro mondiale. Ed è proprio quella visione che è 'finita'. Ma non da oggi! Cioè, la possibilità di aprire spazi alla prospettiva rivoluzionaria del proletariato basandosi, come asse strategico, sul rapporto di forza Est/Ovest non è certo finito con i fragorosi crolli dell''89! Dopo la II guerra mondiale, la 'difesa dell'Urss' ha continuato ad essere il terreno centrale su cui misurare l'avanzamento della prospettiva comunista. Il retroterra di questa impostazione stava nella concezione che l'avanzamento della prospettiva comunista si risolvesse nella generalizzazione (più o meno meccanica) dell'esperienza sovietica nel mondo. In questo senso, lotta per la trasformazione rivoluzionaria nel proprio paese e lotta antimperialista a fianco dell'Urss si integravano e rafforzavano reciprocamente. Questa concezione - seppure contenente al fondo l'errore revisionista di ridurre un movimento mondiale di trasformazione comunista alla generalizzazione dell'esperienza sovietica - ha avuto un suo reale respiro strategico in una precisa fase dello scontro internazionale perché in essa confluivano le linee fondamentali dello sviluppo rivoluzionario: - l'emancipazione di classe proletaria rispetto alla quale le esperienze socialiste e di liberazione nazionale costituivano una reale possibilità di trasformazione materiale; - il contrasto alla linea controrivoluzionaria anticomunista di conterinsurgency che nei paesi occidentali e nel tricontinente attaccavano in modo integrato le spinte rivoluzionarie; - la generalizzazione dello scontro politico ed ideologico con la borghesia in ogni area in un'unica linea di sviluppo mondiale che si materializzava come movimento comunista internazionale ed avanzamento della prospettiva comunista. Questo il contenuto che rendeva centrale lo scontro Est/Ovest. Progressivamente la frantumazione del 'campo socialista' come schieramento unitario ed omogeneo (che iniziò negli anni '60 con la critica maoista all'Urss), l'impossibilità di trasformazione rivoluzionaria delle formazioni economiche occidentali secondo il modello sovietico, la modificazione della natura della contraddizione Est/Ovest in scontro - su scala mondiale - tra due sistemi di dominio imperialista (per quanto diversi tra loro) hanno sempre più spezzato questa confluenza azzerandone il significato strategico per lo sviluppo rivoluzionario. In questo senso, l'avanzamento della prospettiva comunista aveva bisogno di un terreno di generalizzazione internazionale diverso, che riflettesse l'interesse proletario alla negazione dei rapporti capitalistici di sfruttamento del lavoro e della vita, e questa non poteva che essere la contraddizione tra Proletariato internazionale/Borghesia imperialista, che con i nuovi movimenti rivoluzionari e le esperienze guerrigliere anni '70 si traduce in primi elementi di coscienza comunista. Centralità strategica della contraddizione Proletariato internazionale/ Borghesia imperialista come proiezione sul piano politico generale, cioè dello scontro a tutti i livelli col sistema di potere politico della Borghesia Imperialista, della qualità omogenea che attraversa le lotte proletarie nel mondo. Questi il terreno, ancor più oggi al punto cui è giunta la crisi, su cui individuare le forme storiche di alternativa al capitalismo, la loro possibilità di edificazione, il loro avanzamento. La dinamicizzazione delle contraddizioni interimperialiste sul piano mondiale indotte dalla crisi apertasi nel '70, ripropose (anni '80) una base materiale - per quanto ristretta - al modello politico di Est/Ovest come chiave di approccio allo scontro internazionale. La forte pressione alla ridefinizione delle posizioni di potere politiche ed economiche si traduceva sempre più in una nuda fase di guerra imperialista con Usa e Urss come soggetti principali ma non unici (dalle Falkland al Golfo) e andava a intersecarsi inevitabilmente con lo scontro rivoluzionario internazionale. Che era ed è, del resto, uno dei fattori attivi nella progressione/precipitazione della guerra. Quindi per le forze rivoluzionarie era sicuramente corretto tenere conto dello scontro URSS/USA nella loro iniziativa politica, per incidere nei rapporti di forza mondiali. tenere conto non significava, ieri e meno che mai oggi, andarsi ad imbottigliare in un cul de sac senza sbocco. Riproporre il vecchio modello dello scontro Campo Socialista / Campo Imperialista come asse strategico ha significato sovrapporre questo modello su tutte le nuove linee di sviluppo rivoluzionario che andavano emergendo attorno all'asse proletariato internazionale / Borghesia imperialista, impoverendole fino a dare spazio ad un vetero filosovietismo che la guerriglia metropolitana aveva cacciato a calci, come riferimento politico strategico, dalla coscienza rivoluzionaria del proletariato metropolitano assieme a buon a parte dell'armamentario revisionista. Se ci stiamo soffermando tanto sulla questione Est/Ovest è perché certificarne formalmente la fine e cambiare pagina senza approfondirne tutte le implicazioni è sbagliato quanto essere attaccati ad essa come ad una ancora di salvezza quando le necessità della lotta di classe spingono in altra direzione. La nuova situazione mondiale ha progressivamente messo al centro due questioni decisive per l'avanzamento del comunismo: la prima riguarda la fine del Sistema Socialista mondiale; la seconda riguarda la guerra imperialista. Dalla crisi dell'URSS e dall'esperienza di potere socialista si può uscire con una maggiore consapevolezza sulle potenzialità di avanzamento della prospettiva comunista, oppure con devastanti regressioni che peseranno per chissà quanto tempo. Dipende da come si afferma la consapevolezza di un nuovo avanzamento della prospettiva comunista. Prospettiva non come "programma", ma come un nodo politico attorno a cui ruota l'elaborazione della coscienza dello scontro globale tra proletariato e borghesia in questa fase storica. La coscienza rivoluzionaria che fissi i nuovi passaggi ed obiettivi politici che concretizzano gli interessi generali del proletariato a fronte delle contraddizioni e dei limiti oggettivi del capitalismo in questa fase storica. Più avanza la crisi e si trasforma la società capitalista nel suo insieme, estendendo - approfondendo - complessificando qualitativamente la polarizzazione di condizioni e di interessi tra proletariato e borghesia, più lo scontro di potere va a catalizzarsi anche sulla capacità di far emergere la possibilità di emancipazione, di liberazione, di superamento del capitalismo. Un interesse generale visibile che rende praticabile per la politica rivoluzionaria la riunificazione delle lotte e degli interessi particolari . Oggi il capitalismo metropolitano ha portato allo sviluppo di forze produttive fortemente innovative e complesse immediatamente planetarie, la sua crisi ha innescato grandi contraddizioni altrettanto planetarie. La stretta interdipendenza delle economie e delle condizioni sociali impedisce ulteriori sviluppi e trasformazioni significative che non agiscano su base sovranazionale. Tutti processi che generano tanto la spinta verso forme di unione sovranazionale, quanto, all'opposto, la frantumazione nei localismi. E' perché siamo a questo livello di sviluppo che lo scontro di potere fra interesse generale proletario e interesse generale della borghesia comincia ad esistere / risolversi sul piano immediatamente mondiale. Questo è accaduto in parte anche in altre epoche, ma era legato ad uno sviluppo diverso dell'economia e dei rapporti sociali e quindi lo scontro di potere non poteva avere per oggetto interessi universali per il proletariato come per la borghesia e infatti si traduceva sul piano della coscienza e degli obiettivi materiali e politici in avanzamenti e trasformazioni a livello nazionale. Oggi invece gli avanzamenti si misurano a livello sovranazionale prima di tutto. Non perché dimensione sovranazionale significhi livellamento / sparizione delle "particolarità", ma perché essa si pone come "necessità generale" e quindi come elemento che determina qualsiasi avanzamento. Per la borghesia come per il proletariato. E' questo dato "oggettivo" che ha messo in crisi il mantenimento e l'edificazione delle forme politiche del potere proletario (gli stati come le organizzazioni) solo su base nazionale, in relazione allo scontro di potere tra le classi che si sviluppa sul piano globale, perché questo si riversa su tali forme di potere con un rapporto di forza schiacciante. Base economica e rapporto di potere sono strettamente legati. WarGulf ha aperto un'era di nuovi scontri distruttivi interborghesi su scala mondiale sotto la pressione della crisi e per la forte interdipendenza. Una questione strettamente legata a quella della "prospettiva". In questa era il proletariato deve affermare le ragioni generali della sua emancipazione storica anche perché solo così può collocarsi (autonomamente e attivamente) nel conflitto tra Stati e tra gruppi borghesi locali, evitando di soffocare sotto nazionalismi più o meno mascherati o di subire in posizione passiva le conseguenze sociali distruttive di questi conflitti. La crisi capitalistica genera sempre la guerra. E" vero, ma bisogna vedere che oggi, in questo tempo storico, nell'andamento di questa crisi generale (spirale tra grandi ristrutturazioni tecnologiche e devastanti recessioni) e nel suo impatto globale nel mondo interdipendente, quale è il processo reale di generalizzazione della guerra. Davanti a noi abbiamo la progressione con cui un numero crescente di contraddizioni sfociano in guerra; progressione al cui centro domina il ridispiegamento bellico USA. Dopo la "guerra fredda" che era, per così dire, "crisi della guerra" e quindi "distensione", oggi c'è la guerra a tutto campo, la "guerra della crisi". Nuovi focolai di guerra si accendono qua e là senza che nessuno dei precedenti si sia veramente stinto; anche in questa riproduzione endemica delle guerre locali si manifesta la crisi della forma-Stato nazionale (come perno dello sviluppo capitalistico di un territorio), lacerato tra rivendicazioni di autonomia interna - concorrenza regionale - accresciuta dipendenza transnazionale. Nessun soggetto locale ha il potere di concludere definitivamente le guerre, ma solo quello di aprire lo scontro e di riprodursi nella destabilizzazione generalizzata, nella distruzione di forze produttive materiali e sociali. La crisi progressiva di egemonia economica
e politica degli USA interagisce con diversi piani di contraddizioni: Gli Usa sono stati e continuano ad essere i garanti dell'interesse generale della borghesia imperialista (nella sua accezione più pura di classe sovranazionale), la loro crisi si traduce in crisi di tutto il sistema mondiale: l'aprirsi di una frantumazione significa il precipitare di un arco complesso di contraddizioni. L'egemonia globale degli USA si baserà sempre meno, in futuro, sulla loro potenza economica, e sempre più sulla loro superiorità militare. Anzi la prima dipenderà dalla seconda. Questa ha detto War-Gulf. A questa necessità risponde la politica di USA "sicurezza totale". Un modello di guerra di dominio immediatamente sovrapponibile a tutti i territori del pianeta. In esso la "Rapida proiezione di forza" ha sostituito la "Difesa avanzata" e la guerra non ha un campo di battaglia parametrato sull'esercito nemico, perché segue la logica dello sterminio di massa a tutto campo, non distingue "militare" da "civile". Per questo i morti tra i civili sono sempre più di quelli tra i militari. La generalizzazione della guerra sarà sempre più il terreno politico principale su cui il proletariato internazionale in questo scorcio di secolo si dovrà misurare per formarsi come classe nelle nuove condizioni economiche e politiche. Nella guerra la rivoluzione si rafforza solo in presenza di una chiara prospettiva politica adeguata al livello raggiunto dalle contraddizioni. Rilanciare l'alternativa comunista al capitalismo metropolitano, contrastare la guerra USA per il mantenimento dell'egemonia, travalicano l'ambito nazionale della lotta dei comunisti. Essi richiedono un salto di qualità sul piano internazionale della lotta. L'avanzamento passa esattamente per una nuova idea di sviluppo rivoluzionario attraverso la lotta internazionale comune. Per noi, qui in Europa, significa prima di tutto un progetto e una proposta che realizzino una linea di scontro continentale, perché è impensabile parlare oggi di unità mondiale se prima non ci mettiamo al livello raggiunto dalle contraddizioni economiche e politiche nel continente. [torna all'inizio della pagina]
B. Se la Raf non ha fatto alcun passo avanti verso un nuovo orientamento, ma solo passi indietro per chiudere con la propria storia, è accaduto anche perché dall''89 in avanti essa ha progressivamente circoscritto la percezione e l'analisi dei cambiamenti, nel campo imperialista come in quello dei rapporti di classe, alla sola Germania. Una nuova politica può nascere solo misurandosi con i nuovi problemi, solo avanzando sul piano complessivo. Quello che non ha capito la RAF è che la "Grande Germania" può esistere solo nella "Grande Europa". Fuori di essa è la guerra, il radicalizzarsi delle contraddizioni fra le frazioni borghesi, con il rafforzamento di nazionalismi e movimenti reazionari e con l'inevitabile scaricarsi violento di tutto ciò contro il proletariato e i comunisti. Nell'uno e nell'altro caso per i comunisti la lotta per l'affermazione degli interessi principali del proletariato passa per il raggiungimento di una visione d'insieme dello scontro di classe in Europa. Perché il problema non è impedire un particolare "progetto imperialista di unificazione", è proprio l'opposto. Il problema è acquisire la coscienza e la forza pratica per muoversi al livello già raggiunto delle condizioni economiche, sociali e politiche attraverso cui la borghesia sta imponendo i suoi interessi al proletariato in ogni particolare territorio europeo, da Sud a Nord. E' affermare a quel livello gli interessi generali del proletariato europeo come qualità che emerge dalle lotte nel loro insieme. Negli anni 80 la necessità di affermare una strategia rivoluzionaria internazionale a dimensione continentale per contrastare i progetti centrali dell'imperialismo - esigenza indilazionabile e fondata sulle condizioni oggettive in cui deve svilupparsi il progetto rivoluzionario - ha spinto in avanti la dialettica unitaria tra le forze rivoluzionarie sulla parola d'ordine del 'lottare insieme' e ha fatto maturare l'idea-forza della necessità e possibilità di costruire l'organizzazione rivoluzionaria del proletariato metropolitano europeo. Un processo di costruzione che fin da subito è stato concepito e basato su di una stretta interazione e dialettica tra forze d'avanguardia e settori più avanzati della lotta proletaria a livello continentale. Nella fase attuale, l'identità comunista rivoluzionaria trova enormi possibilità di sviluppo concreto nel rapporto dialettico tra organizzazione comunista rivoluzionaria e movimento di massa proletario in Europa. In questa direzione il dibattito e il processo maturato a metà degli anni '80 attorno alla costruzione del Fronte Rivoluzionario Antimperialista, costituiscono indubbiamente un avanzamento significativo sia perché ha rilanciato sul piano europeo il patrimonio delle esperienze nazionali, sia perché ha fatto vivere alcuni importanti passaggi qualitativi sul piano della progettualità internazionalista e antimperialista. Malgrado i suoi limiti l'esperienza del Fronte si è affermata storicamente come punto di non ritorno. Ha affermato che il combattimento internazionale e internazionalista ha implicazioni molto più ampie della solidarietà e di una semplice 'politica di alleanze', e si è connesso con la lotta di emancipazione proletaria nel mondo. Non c'è nulla nell'analisi delle condizioni di crisi/sviluppo del modo di produzione capitalistico e dell'imperialismo, che ci dica che si debba tornare indietro da questa coscienza. Si tratta invece di far avanzare la strategia rivoluzionaria internazionale a livello continentale nelle nuove condizioni di scontro. La capacità della guerriglia di porsi come strategia di potere del proletariato metropolitano europeo consiste principalmente nel saper cogliere coscientemente dove si giocano oggi i rapporti di forza tra le classi e nell'individuare la stretta connessione che vive tra ambito nazionale e sistema di dominio sovranazionale. In questa direzione si tratta di mantenere e sviluppare il rapporto dialettico che lega l'attacco ai progetti strategici della borghesia imperialista e al suo assetto di dominio e le lotte più avanzate del proletariato metropolitano in termini di coscienza politica, di organizzazione autonoma di classe, di lotta offensiva e di difesa degli spazi e condizioni di vita. Da quando la progressiva unificazione del mercato mondiale ha sempre più subordinato le formazioni economiche nazionali, la loro regolazione sul piano economico, politico e sociale operata dagli Stati-nazione, è entrata in crisi, e con essa anche la possibilità di operare significative trasformazioni 'occupando' gli Stati nazionali o 'premendo' su di essi. Qualsiasi forza politica o sociale che vuole rivoluzionare i rapporti di dominio e sfruttamento che subisce, deve necessariamente individuare con chiarezza il potere avverso con cui si scontra. Sempre più movimenti rivoluzionari e soggettività comuniste si sono trovati a scontrarsi per il potere con soggetti sovranazionali o internazionali; le stesse contraddizioni economiche, sociali e politiche da cui nasce lo scontro evolvono sempre più sotto la spinta di fattori sovranazionali. E' questa base materiale che determina la necessità, nel definire la strategia rivoluzionaria per il potere, di stabilire la dominanza internazionale su quella nazionale, in cui il territorio nazionale e la sua struttura politica sono affrontate come parte autonoma ma integrata di una formazione sovranazionale espressione dello stadio attuale di riunificazione del mercato mondiale. La questione fondamentale quindi, non è tanto misurare quanto 'potere' ha ancora lo Stato-nazione, si tratta invece di capire bene se rimanendo ancorati a questa principalità si trasforma/distrugge o no il capitalismo. Se in questo ambito si riescono ancora ad affermare gli interessi politici ed economici generali e immediati del proletariato nelle grandi contraddizioni capitalistiche complessificate e velocizzate dalle distruzioni e innovazioni innescate dalla crisi. E' questo che impone ad ogni soggetto comunista di riorientare la sua prospettiva e il processo d'avanguardia sulla principalità della contraddizione Proletariato Internazionale/Borghesia Imperialista e di costruire una linea di scontro offensivo che abbia la forza e la capacità di indebolire il sistema imperialista. La crisi dello Stato-nazione è una componente della crisi capitalistica, come tale ha una sua valenza generale riscontrabile in quasi tutte le situazioni nazionali e non può quindi essere né compresa né affrontata solo a livello locale. Essa è determinata dalle esigenze della grande borghesia internazionale che ha bisogno di strumenti politici di sostegno e regolazione di quei processi legati all'accumulazione, alla concorrenza e al controllo della forza-lavoro, che hanno già scavalcato l'ambito nazionale e in funzione dei quali si sono moltiplicati e rafforzati negli ultimi 15 anni gli organismi sovranazionali, le loro competenze e il loro potere a discapito degli Stati nazionali. La forma che assumeranno progressivamente gli Stati-nazione in Europa dipenderà dal procedere della dialettica tra essi e la definizione delle nuove strutture statuali continentali, da quel processo di statualizzazione comunitaria che non è una meccanica trasposizione in senso allargato dello Stato-nazione, ma si configura come una interconnessione sistemica di Stati e organismi sovranazionali per svolgere funzioni statuali sul piano europeo. A diversi gradi e livelli ogni Stato europeo fa i conti con la crisi del proprio sistema politico, che vede l'esaurirsi delle forme fino ad ora conosciute di 'democrazia politica' nel sistema capitalistico, e una sostanziale modificazione dei rapporti di forza nella lotta delle classi e fin dentro gli apparati dello Stato che ne sono investiti in pieno. In Italia - ma la sostanza non è molto diversa in Germania, Francia, etc. - in mezzo ad una sorda guerra tra apparati e frazioni borghesi che dura da anni, prende corpo una strutturazione autoritaria della 'democrazia' in cui il riadeguamento e 'modernizzazione' del sistema politico statuale si basa sulla imposizione a tutte le forze politiche 'storiche' di una serie di obiettivi politici generali che rappresenterebbero 'l'interesse del Paese' per poter essere il linea con il processo di unificazione europea e per evitare la disgregazione e frantumazione del quadro politico che regge lo Stato. Questa imposizione di 'necessità oggettive' ("o Unione Europea o la guerra!") è il modello con cui la borghesia tenta di uscire dalla sua crisi politica, il disegno è quello di cooptare nell'ambito della gestione dello Stato tutte quelle forze politiche, dalle conservatrici a quelle riforniste fino ai sindacati, che possano consentire di governare le tensioni e contraddizioni sociali e di classe all'interno di questo processo totalizzante di rifondazione dello Stato. Un abbraccio mortale in cui la Borghesia imperialista vuole stritolare la lotta di classe che scaturisce dalle nuove polarizzazioni sociali in atto in tutti i paesi a capitalismo avanzato, e che le avanguardie rivoluzionarie dovranno smascherare e combattere per aprire spazi alla lotta del proletariato metropolitano. La progressiva integrazione continentale dell'economia capitalista in Europa sta portano inevitabilmente ad una strutturazione politica di dominio che ne garantisca l'esistenza e la riproduzione lungo le due linee di fondo che la caratterizzano. E quindi verso l'interno, per governare la ristrutturazione e la concentrazione delle imprese, le nuove forme di concorrenza e di sviluppo ineguale, il controllo e la pressione sul proletariato (come forza-lavoro diretta e di riserva); verso l'esterno in funzione del rapporto di forza e del confronto con gli altri blocchi economici regionali (Nord America e Sud-Est Asiatico) e verso le economie capitalistiche più deboli nel mercato mondiale (tricontinente ed Est) nonché sul piano politico per collocarsi nella difesa dell'interesse generale del sistema mondiale a fronte della crisi Usa. Una ristrutturazione politica che assume forma statuale in quanto non risponde a dinamiche congiunturali, ma ad un interesse generale della borghesia imperialista europea di organizzazione e riproduzione della formazione economico-sociale continentale, e che avviene in un processo fortemente contraddittorio e di lungo periodo. In Europa, d'altra parte, questo processo ha già inciso profondamente tanto nella economia che dal lato del rapporto capitale/lavoro, nei diretti rapporti sociali, al punto che la grande borghesia ha ormai impostato sul piano continentale tutti i principali processi di sviluppo/accumulazione/concentrazione di ricchezza: una dinamica che richiede inevitabilmente una ridefinizione degli asseti di potere che superi gli ambiti nazionali. Questo processo, guidato dai grandi oligopoli multinazionali e dalle frazioni borghesi più forti sta delineando il formarsi di una vera e propria borghesia imperialista europea, che in varie forme si afferma come soggetto portatore di un preciso interesse di classe a livello mondiale, e verso i singoli stati a partire dai suoi punti di forza in Europa; dagli esponenti al vertice dei vari trust internazionali, finanziari-bancari, fino a quel personale politico transnazionale legato al nuovo sistema di potere europeo che esprime in larga parte gli interessi dei primi. L'integrazione continentale, però, non elimina la crisi economica, né lo sviluppo ineguale, né la concorrenza e competizione tra grandi capitali. In una fase capitalistica in cui sono dominanti gruppi multinazionali e multiproduttivi che occupano globalmente i territori, la lotta di concorrenza non resta circoscritta alle singole imprese, alle singole merci, ma investe integralmente anche i territori ormai considerati e ridotti a entità economiche (la cosiddetta 'azienda nazione'), cioè raffrontabili economicamente perché organizzabili e sfruttabili economicamente in ogni loro elemento costitutivo. La dialettica tra statualizzazione comunitaria e Stati-nazione si traduce nella loro progressiva integrazione in questa nuova dimensione, senza comportare d'altra parte la loro sparizione. Essa nasce come risultante della continua connessione dinamica tra le varie economie e Stati, e poi opera sempre più autonomamente, li condiziona e li conforma sempre più alle sue esigenze in un quadro di complementarietà sempre più stringente. Una dialettica che è attraversata dallo scontro con il proletariato a tutti i livelli, generato dalla necessità di continua ridefinizione e approfondimento dello sfruttamento sul lavoro e sul sapere, e più in generale dal dominio sulla società da parte del capitale. La costruzione europea, nei suoi diversi gradi di sviluppo, si sta riversando sempre più pesantemente nei rapporti di classe. Prima di tutto in quelli di fabbrica perché il cuore della ristrutturazione capitalistica è oggi più che mai l'estrazione di plusvalore. La dinamica globale dell'internazionalizzazione del rapporto di capitale, particolarmente spinto in Europa, e le specifiche strategie unificanti ed omogenee che guidano tutto il processo di ristrutturazione produttiva e riassetto sociale nel quadro della crisi/sviluppo del capitale, hanno spinto in avanti la formazione di un proletariato metropolitano europeo dalle condizioni di vita tendenzialmente omogenee. Dalla costituzione di trust monopolistici europei a dimensione sovranazionale, dai processi di concentrazione/centralizzazione di vari settori produttivi discendono processi di ristrutturazione che stabiliscono un livello di sfruttamento e una organizzazione del lavoro sempre più omogenei nella classe operaia come nei lavoratori dei servizi e degli altri settori, fino ai modelli di istruzione, alla formazione del mercato del lavoro e all'espansione illimitata di un esercito industriale di riserva utilizzabile al di fuori dei confini nazionali come massa di manovra per le politiche di ristrutturazione produttiva che vengono messe in atto in tutta Europa. Con ciò il capitale cerca di liberare definitivamente il mercato del lavoro dai suoi costosi lacci e rigidità. e' un fatto assodato che negli ultimi 10 anni, e ancor più in questi ultimissimi, le principali lotte in ogni paese si sono verificate soprattutto sugli assi delle ristrutturazioni e dei 'progetti europei' decisi a livello Cee; così come per l'adozione di politiche e norme nei servizi, assistenza e altri settori. A questo quadro si aggiunge la dinamica sempre più rilevante dei flussi migratori che dai paesi del tricontinente e dell'Est europeo convergono verso l'Europa Occidentale. Il dato dell'immigrazione in Europa Occidentale è ormai impossibile da sottovalutare visto l'impatto che sta avendo dello scontro sociale in quasi tutti i paesi. Per fare qualche esempio basti pensare ai provvedimenti restrittivi contro l'entrata degli 'stranieri' in Italia e più recentemente in Rft e in genere in tutti i paesi europei nel quadro degli Accordi di Schengen, una politica che si prefigge di regolare rigidamente il mercato del lavoro attraverso precise leggi comunitarie che possono ottimizzare il rapporto capitale/lavoro manovrando su di un inesauribile serbatoio di forza-lavoro a basso prezzo. In realtà le masse di immigrati dal Sud e dall'Est che premono sulla frontiera unica europea sono la base insostituibile per lo sviluppo dell'economia europea e l'insieme di politiche Cee nei loro confronti vuole garantire una attenta pianificazione del loro sfruttamento e controllo. In questo senso parlare di 'società dei due terzi' è del tutto fuorviante perché nessuno è 'superfluo' nella formazione sociale capitalistica, sia nei paesi del 'centro', sia nei paesi della 'periferia'. La nuova divisione internazionale del lavoro produce una nuova composizione di classe del proletariato in cui i morti per fame del Tricontinente, così come il 10% di disoccupati 'strutturali' della ricca Europa, sono il frutto della razionalità del plus-valore e non della malvagità della borghesia. Le analisi sociologiche sulla 'società dei due terzi' descrivono la condizione di miseria di vasti strati proletari ma non sono in grado assolutamente di cogliere la sostanza delle dinamiche capitalistiche che la producono e allargano in continuazione. Il fenomeno del 'nuovo razzismo' che sta esplodendo in tutta Europa, dalla Germania all'Inghilterra, alla Francia, alla spagna, all'Italia..., a seguito del formarsi di un proletariato multirazziale e multietnico, che preoccupa alquanto i governanti europei, è anche e soprattutto l'occasione per introdurre un quadro legislativo e poliziesco di controllo sociale sempre più capillare e repressivo nell'intero continente. Oggi lo scontro di potere in Europa si può comprendere solo a partire dal formarsi di questi due soggetti: la Borghesia Imperialista europea e il Proletariato Metropolitano Europeo. Questo scontro si sta già sviluppando oggettivamente a livello continentale come dimostra la simultaneità delle lotte del proletariato metropolitano nell'intero territorio. La gran parte di queste lotte si indirizza contro un nemico sempre più caratterizzato: la Borghesia Imperialista europea e il suo articolato sistema di potere e l'insieme di strategie continentali di riassetto capitalistico di cui è portatrice. La contemporaneità delle lotte sociali e operaie in Italia, Rft, Spagna, Francia, Grecia..., deve far capire e riflettere bene sulla omogeneità dei processi da cui scaturiscono, e sulla mancanza di un riferimento politico rivoluzionario adeguato... Il processo di statualizzazione comunitaria è la dinamica con cui tendenzialmente il movimento rivoluzionario europeo dovrà misurare la possibilità di ottenere concrete modificazioni delle condizioni di vita del proletariato e di rilanciare la prospettiva comunista. E' questo infatti il terreno su cui si condensano e si condenseranno sempre più forti scontri di potere. Per la prima volta le condizioni di vita di masse di operai e proletari dipendono strettamente dalle forme e tempi dell'unificazione europea. Questo significa da un lato che lo scontro classe/stato in ogni paese va ricompreso a partire dalla sua dimensione europea, e dall'altro che le trasformazioni in atto tra potere statuale e formazione sociale vanno colte con quella ampiezza, sia per ciò che riguarda gli elementi comuni riscontrabili nei principali stati europei, sia per quello che riguarda la dimensione sovranazionale che si va affermando sopra e dentro di essi. Lo scontro con lo Stato nel territorio nazionale rimane comunque un elemento di politicizzazione e ricomposizione delle lotte locali. Lo Stato mantiene e approfondisce le sue funzioni di controrivoluzione interna, di controllo di parti significative dei processi economici e in campo culturale-ideologico. Quindi la distruzione/indebolimento dello Stato rientra sempre nella progettualità e nella prospettiva comunista dei rivoluzionari in Europa. La costruzione di una linea di scontro europea è fondamentale perché è l'unica sufficientemente generale da permettere la 'rottura dell'accerchiamento' delle lotte con cui il proletariato in tutti i paesi reagisce all'imposizione di quelle pesanti condizioni di vita che costituiscono il cuore della ristrutturazione europea della produzione e del mercato capitalistici. Solo costruendo e proponendo con chiarezza questa linea si può costruire una direzione di scontro generale in cui si riconoscano e si mettano in rapporto le forze più significative del movimento rivoluzionario che si muovono già - pur embrionalmente e parzialmente - su un piano europeo. Sono mature oggi le condizioni per lavorare alla costruzione di un progetto rivoluzionario europeo, perché questo è il passaggio storico fondamentale sul piano del rilancio della prospettiva comunista. Da esso può nascere un processo di unificazione delle lotte rivoluzionarie sul piano mondiale e adeguato alla realtà del capitalismo metropolitano. Un progetto rivoluzionario europeo, che pone al centro lo scontro tra proletariato e borghesia a dimensione continentale non può essere, d'altra parte, legato meccanicamente o specularmente al processo di unificazione europea e del suo farsi blocco imperialista. Se anche il blocco europeo regredisse sotto i colpi delle contraddizioni che non riesce a risolvere, e si assistesse ad un inasprirsi della spinta dei nazionalismi nell'area Cee, sul piano strategico la politica proletaria non verrebbe cambiata di molto nei suoi assi centrali. Il processo di emancipazione del proletariato non può avere come orizzonte le configurazioni che di volta in volta assume il sistema capitalistico, ma si fonda u una visione universale, internazionalista della prospettiva comunista. Per questo, concepire lo scontro in Europa come parte dello scontro mondiale tra imperialismo e rivoluzione è il presupposto fondamentale di un progetto rivoluzionario europeo. Questa è la base per costruire la forza rivoluzionaria capace di intervenire nella guerra del 'nuovo ordine mondiale' con cui gli Usa difendono il loro predominio; e può diventare un punto di riferimento per le lotte anticapitaliste e antimperialiste in tutto il mondo. [torna all'inizio della pagina]
C. La RAF dice: nel nuovo processo la guerriglia non può essere il "centro", perché così si distacca dagli antagonismi di classe, perde "senso sociale". E' chiaro che per loro la guerriglia si pone come centro solo perché colpisce "più in alto" di qualsiasi altro soggetto antagonista esistente. Ponendosi in alto, ad un livello irraggiungibile per gli altri la guerriglia si impone al movimento perché stabilizza una soglia di scontro che di fatto è solo sua. In questo modo si possono anche raccogliere estese simpatie, ma non si costruisce nuova organizzazione e coscienza rivoluzionaria del proletariato. Se si considera la guerriglia come atto "militare", in cui il "politico" risiede nella scelta dell'obiettivo e davanti alla quale si determina automaticamente la crescita lineare dei livelli di coscienza rivoluzionaria del proletariato, allora prima o poi si smette di combattere. La guerriglia è prassi guidata da una strategia. Il suo cuore pulsante è costituito dai contenuti strategici che la informano. La qualità politica espressa dalla guerriglia in Europa non può essere ridotta alle involuzioni militariste che pure non sono mancate. La guerriglia metropolitana incarna la rottura rivoluzionaria realizzata in Europa agli inizi degli anni '70 dalle organizzazioni della lotta armata per ricostruire la coscienza di classe del proletariato e per riaprire uno scontro di potere nel cuore del sistema imperialista. L'avvio di uno scontro rivoluzionario che nel suo divenire contraddittorio non ha assolutamente esaurito la sua forza intrinseca. Uno scontro che continua e di cui la borghesia non è mai riuscita ad impedire completamente l'evoluzione qualitativa nel corso degli anni 70-80, e di cui anche oggi tenta di frantumare la portata strategica cancellandone la memoria storica nel proletariato europeo. Oggi non può esserci reale sviluppo di un processo di organizzazione e coscienza rivoluzionaria del proletariato in assenza di una strategia di guerriglia. Nessun avanzamento qualitativo è possibile sul piano della prospettiva e su quello dei cambiamenti concreti. Nella guerra di classe di lunga durata - contenuto e forma storica attuali del processo rivoluzionario, non rilevano tanto le forme in cui si esprime la lotta proletaria e la sua espansione quantitativa, quanto l'avanzamento qualitativo del processo di organizzazione di classe. Infatti la lotta di guerriglia, pur caratterizzandosi innanzitutto come conquista di un terreno specifico dell'avanguardia, è però allo stesso tempo politicamente generalizzabile, a livelli diversi, a tutto il movimento proletario per elevarne l'autonomia e la resistenza. Una linea praticabile a partire da ogni specifica situazione di scontro, che si pone quindi anche come veicolo di comunicazione rivoluzionaria e di ricomposizione di classe. Per questo la guerriglia nelle metropoli non è mai stata e non è soltanto "dare colpi al nemico", ma anche e simultaneamente (ri)costruzione, nelle diverse fasi, della coscienza rivoluzionaria del proletariato a partire dalle lotte concrete che esso esprime, e quindi linea di massa. La strategia della guerriglia, come modo di esistere dell'avanguardia rivoluzionaria nella metropoli, apre dunque la strada all'insieme delle lotte proletarie e ricompone la classe all'interno della sua prospettiva di emancipazione dai rapporti sociali capitalistici. E' una strategia che si afferma per linee interne alla classe proletaria. Questo è ormai un dato acquisito dall'esperienza rivoluzionaria nella metropoli, guidata dalla guerriglia, che ha sviluppato le sue tappe e il suo processo organizzativo a partire dal radicamento nelle situazioni di punta della lotta proletaria nei principali poli metropolitani. In ciò costituisce un avanzamento rispetto al modello terzinternazionalista di partito che si pone come portatore "dall'esterno" della coscienza di classe nel proletariato. In questo senso l'organizzazione d'avanguardia non può essere concepita come unico punto di partenza dello sviluppo dei processi di coscienza, organizzazione e costituzione in classe del proletariato metropolitano. Il terreno dell'avanguardia, pur avendo una precisa peculiarità nel contesto della lotta di classe, si sviluppa in termini di unità e distinzione rispetto al movimento del proletariato. Unità rispetto all'interesse generale della classe; distinzione nel senso che l'avan guardia ricopre un ruolo distinto, nel processo rivoluzionario, a partire dai diversi livelli di coscienza che queste determinazioni esprimono. In questo senso l'avanguardia è partito. Questo principio fa parte da sempre dei processi di organizzazione del proletariato, tuttavia ciò non può significare, come spesso si è verificato nel corso della storia del movimento comunista, attribuirsi una delega puramente ideologica degli interessi di classe. Ciò porta, nel procedere dello scontro, ad allontanarsi sempre più dal processo concreto della lotta di classe e ad avvitarsi su sé stessi. L'esistenza, la lotta e lo sviluppo dell'avanguardia si legittimano nel riscontro politico che deriva dalla realizzazione di quegli interessi generali e particolari del proletariato che emergono come principali nelle varie fasi dello scontro di classe. Il fatto che l'organizzazione d'avanguardia nella sua prassi deve sempre far vivere gli interessi generali della classe, collocandosi al livello più alto dello scontro di potere, e sulle contraddizioni principali che lo caratterizzano, non significa che essa possa affermare da sola la complessità e il grado di avanzamento degli interessi generali del proletariato. Questi possono essere affermati solo dall'insieme degli organismi che, fase dopo fase, congiuntura dopo congiuntura, esprimono il sistema di potere proletario rivoluzionario nelle diverse forme che esso viene ad assumere, e di cui l'organizzazione d'avanguardia è una parte, anche se la più avanzata e cosciente. In quanto proiezione sul terreno del potere dell'insieme degli antagonismi di classe, la prassi guerrigliera ha sempre un ruolo centrale d'avanguardia e ha verificato, nel corso degli anni, che il potere proletario è insieme processo-rapporto-sistema. Solo facendo vivere ed affermare sempre gli interessi generali del proletariato nello scontro classe/Stato si può far avanzare l'intero processo rivoluzionario e realizzare passi in avanti nella costruzione del potere proletario come pure nelle condizioni di vita e auto-organizzazione del proletariato metropolitano. [torna all'inizio della pagina]
D - Infine come prigionieri rivoluzionari e come comunisti provenienti dall'esperienza della guerriglia italiana, ci preme fare un po' di chiarezza sulla questione della 'prigionia politica'. I prigionieri della guerriglia sono indubbiamente parte del movimento rivoluzionario ed interni allo scontro attuale, come tali il loro contributo al dibattito e alla ricostruzione della prospettiva rivoluzionaria può rivestire una certa importanza nelle diverse fasi della lotta e in particolare in periodi di difficoltà come quello presente. Proprio per questo in Italia, come in ogni altro paese europeo e in Usa, lo Stato vuole cancellare i prigionieri rivoluzionari come realtà politica per impedire qualsiasi forma di continuità tra le esperienze rivoluzionarie di cui sono espressione e le condizioni attuali dello scontro. L'interesse comune, dunque, tra il movimento rivoluzionario nel suo insieme e i prigionieri che collettivamente resistono nelle loro condizioni, non è determinato dall'inasprirsi della controrivoluzione in senso stretto a livello continentale - aspetto sicuramente reale - ma principalmente dalla necessità di una nuova prospettiva dentro la quale la 'memoria dello scontro passato' è un elemento sempre decisivo. Il ruolo dei prigionieri della guerriglia che in tutti questi anni hanno mantenuto la loro identità rivoluzionaria e contribuito all'avanzamento complessivo della prospettiva rivoluzionaria è un dato storico indiscutibile ormai verificato in Italia, Rft, Spagna, Francia, Inghilterra, Usa, così come in molti paesi del Tricontinente (Perù, Salvador, Palestina occupata, Turchia, Filippine...), e non è quindi un caso che la controrivoluzione si accanisca contro di loro e persegua con ogni mezzo di repressione e cooptazione la distruzione della loro identità e del loro essere soggetto politico. Negli ultimi anni assistiamo, proprio nei paesi in cui l'esperienza guerrigliera ha segnato in modo qualitativo lo scontro di classe, ad un nuovo livello di aggressività della strategia controrivoluzionaria, che, oltre alle iniziative di carattere militare, cerca di aprirsi varchi nella crisi di identità e progettualità delle organizzazioni della guerriglia metropolitana. Il progetto di 'soluzione politica' in Italia di alcuni anni fa, in cui l'iniziativa della borghesia imperialista di attaccare la guerriglia 'dall'interno', ha trovato valido sostegno in molti prigionieri politici ormai compatibilizzati, ha aperto una strada e fornito un modello di intervento alla strategia integrata di controrivoluzione preventiva dell'intera Europa Occidentale. E' chiaro che non c'è mai una trasposizione meccanica di questo modello da un paese all'altro, ma pur nella diversità dei contesti storici e delle condizioni specifiche nelle singole realtà, sono gli stessi contenuti di una strategia imperialista ben nota, in cui annientamento e compatibilizzazione delle forze e dei soggetti di sovversione/trasformazione sociale, sono poli della stessa politica, ad andare avanti. In questo senso, la 'iniziativa Kinkel' di "riconciliazione sociale" in Rft, pur nelle sue particolari modalità, non si discosta molto dall'iniziativa dei partiti di governo italiani; soprattutto ha lo stesso scopo: impedire qualsiasi forma di continuità tra e esperienze rivoluzionarie degli ultimi 20 anni e lo scontro sulle condizioni attuali. Le iniziative come quella di Kinkel, apparentemente dirette a dare 'soluzione politica' alla questione dei prigionieri politici hanno in realtà ben altra portata. Vogliono usare i prigionieri politici come 'ventre molle' del movimento rivoluzionario e come mezzo di pressione contro il presente della guerriglia, cercando in qualche modo di influenzare e controllare gli sviluppi dello scontro rivoluzionario in Europa occidentale. In questo contesto ci sembrò subito pericoloso e fuori dalla realtà stabilire un rapporto piatto e meccanico tra questione della liberazione dei prigionieri politici e possibilità di determinare una nuova politica. Significa offrire allo Stato tedesco la possibilità di portare a fondo la politica degli ostaggi, usando il ricatto sui prigionieri come arma contro lo sviluppo di processi di organizzazione del proletariato nelle nuove condizioni. Significa soprattutto rinchiudere la prospettiva rivoluzionaria in un vicolo cieco senza alcuna possibilità di sbocco politico. Questo dimostra una profonda incomprensione della dimensione internazionale dentro cui i processi rivoluzionari e la stessa questione dei prigionieri politici vanno collocati. La controrivoluzione preventiva in Europa - giova ribadirlo - ha raggiunto una soglia storica determinata dal rapporto rivoluzione/imperialismo sull'intero continente e rispetto a ciò vale la regola che i livelli acquisiti dalla controrivoluzione sul piano internazionale si estendono e si articolano inevitabilmente in ogni singola situazione. In questo senso l'iniziativa di 'riconciliazione sociale' di Kinkel non ha nulla di nuovo, e ci sembra suicida credere di poter leggere e giocare la questione dei prigionieri politici in chiave nazionale, pensando di sfruttare le attuali difficoltà e contraddizioni dello Stato tedesco. Il caso italiano invece dovrebbe insegnare molte cose ai comunisti e ai prigionieri rivoluzionari che vogliono lavorare concretamente al rilancio della prospettiva in Europa occidentale! Estate 1993 Collettivo Prigionieri Comunisti Wotta Sitta |