CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.11

GUERRA ALLA GUERRA, GUERRA ALLA NATO

Per la costruzione del Partito Comunista Combattente Brigate Rosse

"... tutte le basi militari degli Stati Uniti all'estero sono altrettanti cappi al collo dell'imperialismo USA. Sono gli stessi americani, e nessun altro, ad aver fatto questi cappi, e sono loro che se li sono messi al collo, porgendo l'estremità della corda al popolo cinese, ai popoli dei Paesi arabi e a tutti i popoli del mondo amanti della pace in lotta contro l'aggressione. Più gli aggressori americani rimarranno in questi luoghi, e più questi cappi si stringeranno al loro collo."

Mao

Giovedì 2 settembre un nucleo armato della nostra organizzazione ha attaccato la base USA di Aviano, uno dei maggiori centri operativi e logistici della struttura militare imperialista in Europa meridionale.

La crisi delle relazioni politiche internazionali si è già incaricata di archiviare nel museo dei fallimenti ideologici la tesi di Bush sulla stabilizzazione di un "nuovo ordine mondiale", saldamente egemonizzato dagli USA.
L'arrogante certezza che la fine del bipolarismo consegnasse nelle sole mani di Washington il governo del concludersi di un secolo di straordinari sconvolgimenti economici e sociali, di guerre e rivoluzioni, sta tramontando proprio nel momento della massima proiezione estera della supremazia bellica del Pentagono.

Al di là di ogni apparenza, è il progressivo indebolimento della base economica dei grandi trusts monopolistici americani nei confronti degli altri poli imperialisti a definire il terreno strettamente militare come l'unico piano su cui cerca di riaffermarsi la superiorità USA, da Granada a Panama, da Bagdad a Mogadiscio, nel vano tentativo di dimenticare il Vietnam.

In questo senso non esiste una sostanziale discontinuità fra gli indirizzi di politica estera dell'amministrazione Clinton e le linee strategiche di gestione della transizione al dopo guerra fredda inaugurate con l'attacco all'Irak.
La favola del presidente buono, disponibile a liquidare l'eredità di Reagan e di Bush ma prigioniero della logica aggressiva del complesso militare-industriale, può dar credito solo il cretinismo clintoniano di una certa sinistra della borghesia europea (ove spicca il PDS orgoglioso di essere in buona compagnia con i macellai dell'Internazionale socialista).

In realtà i presidenti, i vari gruppi dirigenti, le frazioni di borghesia, gli Stati si stanno muovendo conseguentemente ad una realtà segnata nel profondo dal generalizzarsi della seconda crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale attraversata dall'imperialismo in questo secolo.

La tendenza alla guerra come sbocco storicamente invitabile delle contraddizioni innescate dal carattere strutturale della crisi capitalistica non deriva dalla pianificazione delle politiche aggressive dell'imperialismo, ma le presuppone.
Il prodotto di queste strategie, poi e come sempre, si verifica sul campo.
E ciò nell'epoca dell'imperialismo significa fame, morte e distruzione per milioni di persone: la trasformazione dei conflitti locali in guerre regionali e poi in guerre sempre più estese nel Tricontinente, ed ora anche in Europa, è la forma con cui si sta già dispiegando la sostanza delle tendenza alla guerra.

Se il riarmo reaganiano che ha trainato l'illusoria ripresa economica della metà anni '80 come estrema misura controtendenziale per arginare la crisi, è riuscito a far collassare l'Est, incapace di reggerne le conseguenze, anche a causa del grado di integrazione già conseguito nel mercato internazionale, oggi il "trionfo sul comunismo" può rovesciarsi dialetticamente nel suo contrario.

Con l'esaurirsi della solidarietà occidentale in funzione antisovietica, le contraddizioni interimperialiste che dall'Ottobre '17 in poi si potevano a ragione definire subordinate a quella Est-Ovest, stanno assumendo una portata impensabile anche solo qualche anno fa.
L'unanimità di facciata e l'ottimismo propagandistico dei vari organismi economici internazionali riescono sempre meno a mascherare le conseguenze dello scontro fra gruppi e Stati imperialisti e la loro oggettiva rotta di collisione, per ora ammessa ufficialmente solo a livello di "guerre commerciali" o di contrasti sui reciproci protezionismi.
Lo scontro politico fra interessi concorrenziali si svolge ancora in modo mediato nella camera di compensazione dell'ONU, ma lo stesso contenzioso sulla futura composizione del Consiglio di sicurezza è indicativo della velocità con cui maturano i tempi della divaricazione.

Processi che parevano inarrestabili si bloccano, costruzioni diplomatiche date per solidissime si sgretolano.
Le contraddizioni fra gli USA e il polo imperialista europeo vengono moltiplicate dal disfacimento dell'ex Unione Sovietica e dalle dinamiche centripete che ridisegnano l'Europa orientale e si ripercuoto all'interno della CEE.

La "nuova" politica reazionaria tedesca scarica sugli alleati le difficoltà sorte dall'enorme costo dell'annessione della DDR, mettendo in crisi lo stesso asse franco-tedesco, la "Grande Germania" cerca spazio ad oriente per l'area del Marco e si circonda di una catena di Paesi satellite, ma non ha la forza sufficiente ad imporsi da sola in quanto potenza egemone continentale.
Lo SME frana, le tappe dell'unificazione monetaria non possono più essere rispettate da nessuno dei contraenti del patto di Maastricht e devono continuamente essere rinegoziate.
La crisi balcanica mette a nudo, dopo anni di assordante retorica europeista, le difficoltà di una concertazione effettiva.

I governi imperialisti di Bonn, Parigi, Londra, Roma, prima sono unanimi nel fomentare l'odio nazionalista come prezzo da pagare per l' "uscita dal comunismo" poi si dividono nel promuovere l'ascesa di borghesia compradore in sanguinosa competizione per sistemarsi sotto questo o quell'ombrello protettivo.
Messa alla prova concreta l'UEO è ancora costretta a subordinarsi alla NATO, che nella sua riqualificazione come braccio armato dell'ONU privilegia l'interessa americano a condizionare le modalità di sfondamento ad oriente degli alleati europei.

Intanto la geografia delle nuove alleanze e delle sfere di influenza ricalca quasi esattamente la disposizione delle forze dell'equilibrio europeo deflagrato nel '14 con il primo macello mondiale di proletari causato dall'imperialismo.
E' in questo scenario che dobbiamo inserire la valutazione della situazione italiana, non limitandoci a tenerlo sullo sfondo per non ricadere in quella miopia teorica che spesso ha impedito di concepire da subito la nostra lotta come parte integrante dello scontro rivoluzionario a livello internazionale, riducendo appunto l'internazionalismo ad un attestato ideologico di solidarietà o, nelle migliore ipotesi, ad una sorta di politica estera da affiancare alla conduzione della lotta armata in questo paese.

La prospettiva di rafforzamento e sviluppo del Fronte Combattente Antimperialista ha già scontato il peso politico estremamente negativo dell'assenza di una prassi rivoluzionaria adeguata alla gravità del momento durante la partecipazione italiana che aggredì l'Irak nel '91.

Allora le retrovie del nemico restarono sostanzialmente al sicuro.
Mentre le bombe americane, italiane, inglesi e francesi dilaniavano decine di migliaia di donne, vecchi e bambini arabi e la sinistra europea dibatteva sul grado di adesione critica alle superiori ragioni dell'Occidente arrivando ad un punto di oscenità politica raramente raggiunto nella lunga catena di crimini dell'imperialismo, i movimenti di massa contro la guerra non poterono sostituirsi all'iniziativa della guerriglia nel continente, non all'altezza della portata dello scontro.

Ma questa indispensabile autocritica non ci può esimere dal prendere posizione su quanto è accaduto ad altre organizzazioni rivoluzionarie che pure si erano poste all'avanguardia nella conduzioni di campagne contro la NATO e le politiche di riarmo imperialista in Europa nel corso degli anni '80.

In una serie di documenti apparsi dall'aprile '92 la RAF dichiara di volere recedere dal processo di lotta antimperialista per dedicarsi ad una specifica ed "universale" battaglia di "contropotere".
Poco importano gli esiti teorici e le ipotesi idealiste di questa revisione: il cocktail stantio di movimentismo e di impotente radicalismo esistenzialista è purtroppo ben noto ai palati dei comunisti italiani, e la manovra di far leva sulla condizione dei compagni prigionieri nelle mani del nemico per giustificare la propria deriva opportunista ha tali analogie con vicende già sperimentate in Italia da non meritare da essere denunciata un'altra volta.

Al contrario, nessuna riproposizione di linea rivoluzionaria nella metropoli è praticabile "in un solo paese" ed è concepibile al di fuori del quadro strategico degli interessi del proletariato mondiale.
Le avanguardie che intendono misurarsi con i compiti imposti attualmente dalle difficili condizioni della lotta non possono che ripartire da questo punto, conquista irreversibile acquisita dall'esperienza ventennale delle Brigate Rosse.

Oggi è la stessa posta in gioco che muove protagonisti e comparse dello scontro a tutto campo che agita la classe politica nostrana, ad indicare ai rivoluzionari il rapporto tra antimperialismo e attacco al cuore dello stato.

Se infatti l'aspetto dominante della contraddizione principale è quello che è necessario colpire, è indubbio che la dimensione e lo svolgimento dell'attacco non si possono definire a priori ed anzi si dimostra attuale un intervento capace di incidere su più piani che fungano da una parte come elemento di attacco al centro e dall'altra come elemento di coesione del campo proletario in formazione.

Significativamente, in Italia è il primo vero "governo dei tecnici" dell'epoca postfascista a porsi sia come curatore fallimentare e interessato della prima repubblica, sia come promotore dell'esplorazione di nuove possibilità per l'impostazione di una politica estera da media potenza che riesca a ritagliarsi autonomi spazi di intervento e sfere di influenza.

Esiste una correlazione diretta fra la necessità della borghesia imperialista di liquidare un'assetto politico ed istituzionale ormai obsoleto e la ricerca di condizioni più favorevoli per la nuova collocazione dell'Italia nel più grosso riallineamento globale di forze mai verificatosi dalla fine della seconda guerra mondiale.

Il Ciampi che si presenta come credibile garante dell' "azienda Italia" di fronte alla CEE e alle banche creditrici, il Ciampi che svuota le riserve di Bankitalia pur di "tenere agganciato il paese a Maastricht" e sostenere fino in fondo lo SME alle condizioni della Bundesbank è lo stesso che perfeziona in silenzio e al di fuori di ogni concertazione europea la politica di "ricolonizzazione" italiana; lo dimostrano il protettorato sull'Albania, la pressione sulla Slovenia, l'intervento in Somalia come base per la rinegoziazione del rapporto con gli USA su tutti i piani, anche per mantenere ad un livello ben più efficace della disastrosa esperienza craxiana una salda presenza italiana nel Corno d'Africa, nonché il recente rifiuto (la "linea della fermezza") di intervenire pur coinvolto, nel riconoscimento della lotta del Popolo Curdo contro il regime fascista alleato della Turchia.

Per questo motivo intervenire nel delicato snodo di contraddizioni che si addensano nelle relazioni interimperialiste significa anche, e da subito, provocare delle ricadute sul terreno dei rapporti di forza interni, avviare il processo di disarticolazione di questa fase della transizione alla Seconda Repubblica.
Una fase che vede il campo operaio e proletario nonostante la ripresa di mobilitazione e di dibattito, ancora in larga misura depoliticizzato, confuso, inquinato da ogni genere di opportunisti, indebolito da anni e anni di attacchi durissimi alle proprie posizioni sociali ed economiche.

Gli accordi sul costo del lavoro e la diretta responsabilità del sindacato nella gestione degli effetti delle varie manovre governative, dimostrano il carattere di funzionari di regime ormai assunto da una larga fascia di dirigenti e bonzi sindacali facenti riferimento all'area revisionista che si ritrovano sempre più impegnati nel lavorio di attacco e di repressione della lotta di classe, in tutte le sue espressioni.

L'attività di direzione dei comunisti sul processo rivoluzionario, deve quindi tener presente la dimensione internazionale dello scontro, assumendosi la responsabilità politica di agire nell'attuale rapporto classe/stato ad essa collegato. Nel momento del crollo dei partiti borghesi e revisionisti, il processo concreto di costruzione del Partito Comunista Combattente si pone come base politica attorno a cui si deve confrontare attivamente e verificare l'unità dei comunisti, nel rilancio e nell'avanzamento del processo della lotta armata.

L'attacco alla struttura militare USA, l'attacco alla NATO, rappresenta il concreto e vitale punto di incontro dell'interesse strategico del proletariato metropolitano e dei popoli già bestialmente sottoposti all'aggressione imperialista in ogni parte del mondo e riconferma in tutta la sua validità la tesi che le innegabili difficoltà nella conduzione del processo rivoluzionario, le sconfitte, gli arretramenti invece di distruggere la guerriglia la rafforzano.

In questo senso va visto come strategicamente convergente l'accumularsi di diverse iniziative antimperialiste rivoluzionarie in moltissime aree del pianeta: nei territori occupati del Libano meridionale e in Palestina contro l'accordo con i sionisti voluto da Arafat, in Turchia e nella regione curda, nel mondo islamico, in Somalia e in Sud Africa, nonché l'avanzare della guerra popolare in Perù e nelle Filippine.

I rivoluzionari occidentali non devono rinunciare alla lotta rimanendo su una linea difensiva data da concezioni idealista, prodotte anche dalle sconfitte del Movimento comunista internazionale, e non possono demandare opportunisticamente e vigliaccamente ai popoli del Tricontinente la funzione di resistenza e di lotta antimperialista contro l'oppressione imposta ogni giorno con crescenti massacri da una borghesia in doppiopetto.

Dobbiamo considerare come assolutamente vitale, terreno concreto di solidarietà, l'affermazione della pratica internazionalista e antimperialista nel proprio paese e nella nostra area geopolitica.
Questa rinnovata e unitaria capacità di attacco rappresenta il veicolo di riaffermazione del processo rivoluzionario nella dimensione strategica della formazione del Fronte Combattente Antimperialista.

Guerra alla guerra!!!
Guerra alla NATO!!!!
Costruire e consolidare il Fronte Combattente Antimperialista!!!
Onore ai compagni caduti combattendo per il comunismo!!!

Settembre 1993

Per la costruzione del Partito Comunista Combattente
Brigate Rosse

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