INTIFADA MILITAREda 'News from Within', 2/4/93 Il notevole incremento dell'aspetto militare dell'Intifada in quest'ultimo periodo coglie il governo israeliano in un momento di difficoltà dovuto all'esaurimento di ogni mezzo a sua disposizione per fronteggiare la situazione, e in un periodo in cui è costretto a stare sulla difensiva data l'isteria, la demoralizzazione e la stanchezza del popolo israeliano; la destra ed i coloni approfittano senza esitazione di questa condizione della gente e il governo tenta di rabbonirli facendo dei passi - sulla cui efficacia non sembra affatto convinto - per bloccare la nuova fase che l'Intifada sta attraversando. Tutto ciò dipende dagli attacchi che giovani palestinesi scatenano con i coltelli sia in Israele che negli insediamenti dei territori occupati; la maggior parte di questi giovani non fanno parte di alcuna organizzazione militare palestinese e non ricevono ordini da nessuno. La spinta a prendere l'iniziativa, il loro coraggio e la loro disponibilità al sacrificio della vita, nascono nell'atmosfera creata dallo sviluppo di nuovi aspetti dell'Intifada, in primo luogo dallo sviluppo e dal successo delle azioni militari organizzate che adesso sono appoggiate dalla popolazione. L'appoggio popolare Il governo, l'esercito, ed i giornalisti più coscienti sono preoccupati a causa del nuovo aspetto militare ed organizzato dell'Intifada che si manifesta in attacchi sistematici e giornalieri contro l'esercito, la polizia ed i coloni. Ze'ev Schiff, un noto giornalista militare di Ha'aretz, ha scritto: «E' la prima volta che operazioni di guerriglia - sebbene ancora ad uno stadio iniziale - vengono lanciate nei territori» e prosegue facendo riferimento alla: «tendenza diffusa all'uso di armi da fuoco contro obiettivi israeliani». Che l'Intifada stia attraversando una fase di transizione si intuisce dalla quantità di piccoli gruppi armati che si muovono nell'area ("gruppi di ricercati" nel linguaggio delle forze armate israeliane). Questi gruppi sono attivi sia nelle città palestinesi che nelle aree rurali; si muovono rapidamente da un posto all'altro, magari facendo la spola tra la striscia di Gaza e la Cisgiordania. Secondo Shiff, dall'efficace progettazione degli scontri contro l'esercito israeliano si può intuire un buon lavoro di informazione, la capacità di contraffare i documenti e di travestirsi, un buon addestramento militare e, ultimamente, la capacità di compiere operazioni militari sempre più rischiose anche all'interno della "linea verde" [i territori del '48]. A tutto questo si accompagna l'uso di armi da fuoco, di bottiglie incendiarie e di granate contro posti di blocco e veicoli militari; questa realtà diventata pane quotidiano nei territori occupati. Dai 168 scontri armati del 1990 e dai 297 nel 1991, si è passati ai 508 nel 1992 e agli oltre 1000 nei primi tre mesi di quest'anno. Parallelamente, il numero dei militari e dei civili israeliani uccisi è passato dai 22 nel 1991 ai 39 nel 1992. I tentativi fatti dall'esercito israeliano per catturare o uccidere i "ricercati" &endash; con l'uso di unità regolari o "speciali" &endash; non hanno dato effetti poiché il numero delle unità militari palestinesi continua a crescere. Secondo Ze'ev Schiff, all'inizio del 1992 i ricercati nella striscia di Gaza erano 60 e alla fine dello stesso anno il numero era aumentato a 104. Tutto ciò si verifica a dispetto del fatto che, secondo quanto affermano le forze armate israeliane, 180 ricercati di Gaza avevano abbandonato la lotta, oppure erano stati uccisi o ancora, nel corso dell'anno, erano fuggiti in Egitto. Le operazioni delle diverse unità militari non sono mai state organizzate congiuntamente né coordinate in una strategia complessiva. Tuttavia, i collegamenti con la popolazione si sono fatti sempre più stretti e l'esercito israeliano valuta che centinaia di palestinesi aiutino attivamente le forze di resistenza in modo organizzato e sistematico, e che la stragrande maggioranza li appoggia moralmente e concretamente. Di recente, sono stati fatti numerosi tentativi di intervenire a loro difesa durante gli scontri con i soldati. In una di queste occasioni, decine di residenti nella zona di Jenin hanno attaccato i soldati che avevano ferito un "ricercato" riuscendo alla fine a liberarlo. Naturalmente, l'appoggio morale della gente comune, l'orgoglio con cui vengono accolti i successi e la disponibilità al sacrificio delle unità militari, smentisce gli sforzi del governo volti a creare momenti di dissociazione da questi combattenti che vengono descritti come fanatici fondamentalisti ("Hamas" ). Al tempo stesso, diversi giornalisti (tra cui Ze'ev Schiff, Dani Rubinstein ed i portavoce dell'esercito) [Ha'aretz, 31-1-93]) mettono continuamente in luce che la maggior parte dei membri di queste unità militari sono legati a Fatah (60% Fatah, 25% Hamas e Jihad , 15% FPLP). Un volantino di Fatah apparso nel Giorno della Terra (30,3,93) per chiedere la continuazione della attività militare, dimostra che la maggior parte dei rappresentanti dell'OLP nei Territori Occupati condividono questa prospettiva. Infine va riconosciuta l'importanza dell'appoggio che l'Intifada di massa sta dando alle unità militari, riportando la situazione al livello raggiunto nei primi due anni di Intifada. A Khan Younis, per esempio, ogni mattina per un'intera settimana centinaia di uomini e donne hanno attaccato i soldati che tornavano dai loro posti di controllo nel centro della città dopo una notte di guardia fuori. Inoltre, notte dopo notte i residenti del villaggio distruggevano e demolivano quei posti di guardia. Si è trattato di una battaglia contro il controllo israeliano di un'area che circa un anno prima era stata conquistata dai "ricercati" e che adesso gli israeliani volevano riprendere con la scusa di "svuotare le aree troppo popolose". Ze'ev Schiff ammette: «I ricercati controllano diverse aree - anche se il loro controllo non è totale. E' vero che le forze armate possono andare dove vogliono, ma la questione riguarda anche le difficoltà di movimento che incontrano e quello che succede non appena voltano le spalle». La conclusione è che «la capacità di deterrenza degli israeliani in questo contesto è stata erosa considerevolmente». La reazione israeliana: paura e perdita di direzione Dopo gli inusitati attacchi al governo da parte della gente israeliana e, in particolare, della destra e dei coloni, le autorità cercano di difendersi facendo riferimento al repertorio limitato di "mezzi nuovi" per reprimere le attività dell'Intifada dirette contro i civili o contro soldati e coloni. E così adesso promettono di alzare barriere attorno agli insediamenti, di costruire quattro cancelli magnetici tra la striscia di Gaza ed Israele, di ricominciare a selezionare sulla base dell'età e dello stato di famiglia chi deve lavorare in Israele e così via. Questo senso di frustrazione e di confusione era evidente nella proposta del Comandante delle Regioni Meridionali, il generale Matan Vilnai, che chiedeva che gli slogan palestinesi venissero cancellati dalle mura delle case di Gaza poiché "creano un'atmosfera rivoluzionaria". Ma più che altro, la frustrazione derivante dalle difficoltà di garantire la sicurezza è evidente in nuovo messaggio governativo, dove si sostiene che buona parte di responsabilità per la "sicurezza interna" è degli stessi civili israeliani. Quarantacinque anni dopo la sua fondazione, lo stato di Israele &endash; con tutto il suo potenziale nucleare, con un esercito moderno ed equipaggiato e con la famosa shabak (Servizio di Sicurezza Generale) &endash; è costretto a ricorrere ai miti, alle idee ed ai modi di lottare in voga nel 1948, l'anno della "edificazione dello stato". E' vero che non è la prima volta che idee come "una piccola nazione circondata da milioni di nemici che vogliono annientarla" vengono usate per leggittimare la violazione dei diritti umani nei Territori Occupati e nella stessa Israele, in nome della "sicurezza interna"; ma in passato a questo ritornello si aggiungeva un bieco discorso sul possesso da parte di Israele di una forza militare capace di sradicare "ogni minaccia alla sopravvivenzea nazionale". Questa volta, però, la differenza sta nella richiesta di metodi concreti di auto-difesa che dovrebbero essere messi in atto dalla comunità stessa, come negli anni precedenti la formazione dello stato. Rabin, in un discorso alla Knesset del 23 Marzo scorso, dopo che cinque studenti della scuola Ort-Kennedy erano stati pugnalati a Gerusalemme Ovest, chiese con forza che chiunque si auto-responsabilizzasse per difendere sé stesso e i propri figli; in quel discorso Rabin si spinse fino a parlare della necessità che nelle scuole si riprendessero gli esercizi di Kapop (una lotta corpo a corpo con l'uso di bastoni), in voga negli anni '40. Le origini e le cause dell'Intifada - venuta dopo venti anni di occupazione e di oppressione - sono state totalmente cancellate dalla coscienza degli israeliani, anzi sono state interpretate come la continuazione di 100 anni di lotta al movimento sionista, una lotta "tra due entità: religiosa, economica, ed anche nazionale" (dal discorso di Rabin appena ricordato). Nel discorso si cerca di far passare l'idea che le due parti in lotta si muovono su un piano di parità, per cui "in questa guerra di attrito, non è la forza militare che deciderà i risultati della campagna, ma la differenza nello spirito ed il grado di disponibilità al sacrificio". I pericoli incombenti L'incapacità del governo di far fronte all'intensificazione dell'Intifada e la sua volontà di pagare un tributo alla destra ed alle folle assetate di sangue fa capire che non si tratta soltanto di una questione secondaria, di una serie di misure puramente simboliche. Far credere che i mezzi usati fino a questo momento per reprimere l'Intifada non sono sufficienti a risolvere la situazione, significa cedere alla pressione delle destre perché venga dichiarata la legge marziale. Il commissario di polizia Terner, in un discorso ai civili che posseggono armi, lasciava intendere che i cittadini ebrei potrebbero assumere ruoli di polizia nei confronti dei palestinesi al fine di "far rispettare la legge". E il primo ministro Rabin, in una serie di recenti interventi, ha ricordato i limiti che la Corte Suprema deve rispettare quando applica misure punitive collettive, come la demolizione delle case, e quando agisce restringendo il proprio campo di intervento "a campi specifici". Come primo passo, il Procuratore Generale Militare ha annunciato un nuovo regolamento che autorizza i soldati a sparare senza preavviso ad ogni palestinese che venga trovato in possesso di armi, anche se è evidente che non vuole o non può farne uso. L'ordine di chiusura totale della Cisgiordania, entrato in vigore il 31 marzo, due giorni dopo essere stato imposto nella striscia di Gaza, è una delle ultime dimostrazioni della disperazione del governo. Questa misura non è né temporanea né puramente simbolica ed ha lo scopo di placare per sempre la paura degli israeliani. Non vanno dimenticate, infatti, le parole di Rabin che indicano implicitamente la volontà di tenere i palestinesi dei Territori Occupati come ostaggi e, così, forzare la delegazione palestinese a tornare al "tavolo delle trattative" e a cedere al piano proposto da Israele. Riferendosi alle possibilità che aveva la delegazione di risolvere i terribili problemi creati dal sequestro di 120.000 palestinesi e dal totale isolamento di Cisgiordania e Gaza, Rabin affermava: «La delegazione palestinese, che rappresenta i residenti nei territori, si trova nella condizione di risolvere i loro problemi se solo torna al tavolo dei negoziati. Io sono moralmente, praticamente e politicamente giustificato quando dico loro: cari amici, volete risolvere il problema? Il luogo dove potete farlo è il tavolo dei negoziati. Fino a quando non avrete capito quello che vi dico sarò costretto a tener chiusi i territori». Con l'attuale chiusura dei Territori Occupati &endash; a cui si accompagna l'aumento delle truppe israeliane che adesso "hanno un mandato per fare ciò che vogliono al fine di fermare il terrorismo (sic)" &endash; solo il tempo potrà dirci quale sarà il nostro destino. Noi ci aspettiamo il peggio e quindi mai come ora non abbiamo altra alternativa che innalzare il livello dello scontro e cercare di ottenere un appoggio internazionalista per il nostro popolo; prima raggiungeremo questo obiettivo, meglio sarà per noi!. da 'News from Within', 2/4/93 |