CRISI, RISTRUTTURAZIONE E LOTTE OPERAIERedazionale
La crisi internazionale dell'economia capitalistica sta determinando ovunque imponenti ristrutturazioni che si ripercuotono sulla vita di milioni di persone. I dati economici relativi all'Europa sono, a dir poco, tragici: nel '93 non ha smesso di calare la produzione industriale, i disoccupati sono saliti a 17 milioni, il settore auto nei due colossi Renault e Wolfsburg ha avuto un calo di utili di circa l'86%. A questa crisi risponde ovunque la classe operaia che, a dispetto dei fautori della fine del marxismo e della scomparsa del proletariato (che non hanno neanche la decenza di guardare ai dati statistici di crescita della classe operaia a livello mondiale), si pone all'avanguardia nella lotta contro la ristrutturazione capitalistica. Nella sola estate '93 numerosi episodi hanno segnato la continuità e l'approfondimento dei conflitti sociali: in Inghilterra sciopero di 24 ore (con la partecipazione di oltre l'80% dei lavoratori) contro la privatizzazione dei trasporti e i previsti 20.000 licenziamenti, occupazione delle miniere in Italia, Inghilterra, e Germania ovest e est (dove viene occupata la sede del Reichstag), occupazione della Hyundai di Seul e pesanti scontri con la Polizia (circa 3000 in assetto di guerra), picchetti alla Texas Instrument statunitense contro i licenziamenti, ecc. Per fronteggiare la crisi economica la borghesia multinazionale si basa fondamentalmente su due linee: approfondire lo sfruttamento dei paesi del Tricontinente e colpire il proletariato e i ceti medi nei paesi ricchi. A livello internazionale, per ridurre il deficit, i paesi più ricchi fanno leva sul loro rapporto di forza nella concorrenza. Nel '92 il valore del commercio mondiale è aumentato del 7% rispetto al 4% dell'anno precedente. Ma, mentre per i paesi più industrializzati le esportazioni sono aumentate più delle importazioni (per quanto riguarda l'Italia grazie alla svalutazione monetaria), determinando la riduzione del loro deficit commerciale complessivo a 52 miliardi di dollari contro i 91 miliardi nel 1991, per i paesi tricontinentali invece le importazioni sono aumentate più delle esportazioni. Il loro deficit complessivo è triplicato nel 1992 raggiungendo i 106,7 miliardi di dollari. Un deficit che è più del doppio di quello dei paesi occidentali su un commercio che è meno di un terzo. Su questa rapina si fondano le cosiddette "ripresine". Per quanto riguarda il piano interno, nel luglio si sono riuniti i 7 Grandi e hanno dedicato l'intera riunione a mettere a punto le nuove linee di attacco alle condizioni di vita delle masse; in particolare, individuando nella disoccupazione il problema principale, hanno definito alcuni obiettivi: "maggiore efficienza del mercato del lavoro, riduzione dei sussidi, controllo della crescita delle spese mediche, miglioramento dell'efficienza dei mercati finanziari e mantenimento della loro stabilità" (dal Comunicato economico dei G7). In Italia chi ha permesso l'operatività delle indicazioni dei G7, asservendosi completamente ai diktat della grande borghesia, sono stati il Governo Ciampi, la Confindustria e i sindacati con l'accordo del 3 luglio, che nella parte introduttiva specifica: "l'attuale fase d'inserimento nell'Unione Europea sottolinea la centralità degli obiettivi indicati (allineamento del tasso d'inflazione alla media dei paesi "virtuosi" e riduzione del debito - ndr) e la necessità di pervenire all'ampliamento delle opportunità di lavoro attraverso il rafforzamento dell'efficienza e della competitività delle imprese, con particolare riferimento ai settori non esposti alla concorrenza internazionale, e della Pubblica Amministrazione." Proseguendo nella sua articolazione, il testo dell'accordo riprende tutte le indicazioni del G7. A spese del proletariato la competitività delle imprese viene perseguita attraverso la riduzione del salario nominale (agganciato all'inflazione programmata), l'irrigidimento degli spazi di contrattazione (durata quadriennale, eliminazione della contrattazione aziendale, divieto di sciopero), l'imposizione della rappresentanza sindacale di CGIL, CISL e UIL e la riforma del mercato del lavoro (elevazione dei limiti di età per i contratti di formazione-lavoro, introduzione del lavoro interinale, ecc.) che servirà, in particolare, a drogare i dati sulla disoccupazione. Possiamo infatti aspettarci che, fra qualche tempo, i mass-media sbandiereranno la notizia che i disoccupati stanno diminuendo, non perché saranno stati creati nuovi posti di lavoro, ma perché anche il lavoratore interinale sarà considerato un "occupato". A spese dello stato la competitività delle imprese viene perseguita attraverso la semplificazione delle procedure per la messa in cassaintegrazione, gli interventi pubblici per assorbire la disoccupazione, i contributi alla ricerca e all'innovazione tecnologica (per i quali è stata avviata anche la Riforma dell'Università), la riforma del sistema educativo (estensione dell'obbligo a 16 anni, agganciamento della didattica alle esigenze d'impresa). Le conseguenze di queste decisioni sono già ricadute su molti settori e aspetti della vita sociale: aumento della disoccupazione, ovunque licenziamenti, mobilità, cassaintegrazione (312 milioni di ore), retribuzioni cresciute del 2,6% a fronte di un'inflazione del 4,4%, espulsione dei precari dalla scuola, decreto mangiaclassi, ecc. In tutta Italia centinaia di scioperi, occupazioni di fabbriche, scuole, ferrovie e strade, manifestazioni contro lo sfruttamento (in Puglia contro la morte delle braccianti), segnano la ripresa dell'autunno caldo. Un contesto di conflittualità diffusa in cui alcuni elementi sono nuovi e indicativi per lo sviluppo della lotta di classe: tra questi la ricomposizione proletaria e dei ceti piccolo e medio borghesi attorno alla classe operaia dell'Enichem di Crotone e la radicalizzazione delle forme di lotta, a dispetto della costante azione di controllo dei riformisti (Enichem, Oto Melara, Cartiere di Arbatax, ecc.). Queste lotte stanno rappresentando una tattica adeguata alla fase di attacco delle condizioni di vita proletarie, attraverso la difesa intransigente del posto di lavoro, l'autorganizzazione e la costruzione di un fronte di alleanze con tutti i settori colpiti dalla crisi; in mezzo a queste giuste indicazioni stanno vecchi cordoni ombelicali, difficili da recidere, che legano ancora la classe alle istituzioni e che rendono ancora possibile ai riformisti di controllare le lotte. Da queste lotte non emerge, a parte alcune eccezioni, la critica al modo di produzione capitalistico, che concretamente vorrebbe dire rifiutare la logica delle compatibilità tra operai e padroni, attraverso la quale il sindacato di fatto accetta la disoccupazione, magari dilazionandola o articolandola in fase differenti. Le compatibilità oggi sono il quadro entro il quale Governo, padroni e sindacati si accordano su come fregare gli operai: in questo senso la conclusione della lotta di Crotone è esemplificativa. La logica delle compatibilità, delle soluzioni "alternative", d'altra parte, appartiene anche a larga parte delle nuove forme autorganizzate che ricascano nella vecchia logica riformista, aiutate da una parte dagli ammiccamenti dei vari partiti (PDS, Rifondazione, Rete), sindacati travestiti (Consigli unitari) e Associazioni (Legambiente, WWF) e dall'altra dalle nuove stragi, dalle minacce estive di Mancino e dalle visite dei Carabinieri nelle Camere del Lavoro. Strette tra questi fuochi molte realtà dell'autorganizzazione il 25 settembre a Roma sono salite sul carrozzone dei nuovi riformisti, rispolverando vecchi quanto inverosimili discorsi come lo sviluppo sostenibile, il lavoro socialmente utile, le soluzioni ragionevoli che accontentano tutti. Nel fare questo dimenticano le grandi e recenti lezioni della storia, che hanno visto cadere i più forti baluardi del Riformismo nel mondo (paesi dell'Est) e in Italia (PCI e sindacati) e chiudono gli occhi di fronte alla reale portata della crisi economica mondiale. Non solo gli operai sono colpiti, ma anche la piccola e media borghesia sulla quale è ricaduto un pesantissimo attacco economico (aumento della concorrenza, delle tasse, ecc.). In questo contesto la tattica della borghesia multinazionale è chiara: mettere masse contro masse (attraverso l'azione scientifica del sindacato), far apparire come nemico principale la frazione di borghesia nazionale perdente (Lega), spostare l'attenzione dalle contraddizioni principali (la crisi, la ristrutturazione produttiva e la disoccupazione) a quelle marginali (Tangentopoli, vecchi golpe, i Centri Sociali, ecc.). Prestare il fianco a queste operazioni è pericoloso oltre che sbagliato. Oggi è necessario invece ribadire il carattere internazionale e strutturale della crisi, denunciare i piani di guerra della borghesia multinazionale, lavorare per unire le formidabili forze che la classe a livello mondiale sta mettendo in campo contro la ristrutturazione della produzione, creare un fronte di massa anticapitalista. Dentro a questo contesto ogni esperienza, anche specifica, ha il valore di contribuire all'affermazione reale degli interessi del proletariato su quelli della borghesia e ad aprire una nuova prospettiva rivoluzionaria. [torna all'inizio della pagina]
Negli anni 80 il polo industriale di Piombino ha perso oltre 6000 posti di lavoro, la fine della città-fabbrica si è determinata senza gravi tensioni sociali. E questo perché sono state attuate forme di incentivazione alla fuoriuscita dale fabbriche con i ben noti strumenti detti "ammortizzatori sociali". Da metà degli anni 80 si è avuta una schiera di giovani pensionati cinquantenni. Nel decennio passato, invece di cercare alternative all'industria, ci siamo trastullati con due progetti faraonici e illusori: la megacentrale a carbone e il progetto utopia. Come ben sappiamo l'Enel, invece di pensare all'energia pensava a tangentopoli e Cirino Pomicino favoleggiava 6000 miliardi di finanziamenti insieme a certi amministratori. In questo decennio è stata consumata la sconfitta della classe operaia. Arriviamo al maggio 92 e il padronato consolida la sua vittoria. Magona - maggio 92: 96 lavoratori per la prima volta nel nostro territorio vengono messi in "mobilità esterna", licenziati. FIM, FIOM, UILM tacciono, anche perché precedentemente avevano firmato un accordo con l'azienda, che prevedeva la cassa integrazione e la regolamentazione del diritto di sciopero negli impianti a ciclo continuo. Fra maggio e luglio 92 in tutta Italia ci sono chiusure di fabbriche e licenziamenti (Lancia di Chivasso, Maserati, ecc.). CGIL, CISL, UIL nazionali rispondono con l'accordo del 31 luglio, alleati con governo e padronato per abolire la scala mobile e la contrattazione articolata. Il segretario CGIL Trentin, che ha firmato l'accordo contro il mandato della segreteria, rassegna le dimissioni. A settembre Trentin ritira le dimissioni e il direttivo della CGIL approva l'accordo del 31 luglio. I lavoratori da settembre si mobilitano contro questo accordo. 22 settembre: Trentin che tiene un comizio a Firenze
viene duramente contestato e subisce il lancio dei bulloni. Piombino dicembre 92: Lucchini rilancia alla Magona. Telefona a 28 lavoratori e li licenzia. La mobilitazione dei lavoratori è immediata, inizia uno sciopero ad oltranza di 21 giorni, con picchettaggio alle portinerie e nell'area portuale che porta al ritiro dei 28 licenziamenti e alla messa in cassaintergazione di circa 130 lavoratori per due anni (dopo la mobilità, licenziamento). Si ripristina la regolamentazione del diritto di sciopero. 10 gennaio 93: Lucchini, nel frattempo, ha avuto in regalo l'ILVA, inizia il suo lavoro e fa recapitare a mezzo di pony express numero 597 lettere di messa in cassa integrazione di altrettanti lavoratori. Iniziano 38 giorni di sciopero a oltranza dei lavoratori con blocchi stradali, ferroviari, sit-in, manifestazione a Livorno alla Prefettura e Ufficio del Lavoro, a Roma al Ministero del Lavoro, blocchi delle portinerie, concerti rock e messa del Vescovo. A queste forme di lotta durissime è corrisposta una mancanza totale di obiettivi. Da parte sindacale, la FIM FIOM UILM avevano già concesso all'azienda 480 "esuberi" e non hanno mai messo come pregiudiziale alla trattativa la conoscenza dell'accordo di privatizzazione tra l'ILVA e Lucchini. Il 6 febbraio 93 i burocrati nazionali di FIM FIOM UILM mandano i sindacati locali alla stazione di Roma, mentre loro firmano l'accordo che prevede 731 lavoratoti in cassaintegrazione. Il giorno dopo i lavoratori con un primo referendum respingono l'accordo con 1600 NO e 1012 SI. Mentre la lotta continua per più di una settimana, i vertici sindacali che non avevano accettato l'esito del primo referendum e si erano rifiutati di togliere la firma dall'accordo, propongono un secondo referendum su un accordo fotocopia del primo. I sindacati locali più o meno sommessamente pilotano e questa volta dicono di votare sì e ottengono così 1481 SI e 1141 NO. Oggi al di là dei recinti aziendali del cavalier Lucchini, troviamo luoghi di lavoro che assomigliano sempre più a dei lager, campi di prova del capitalismo più selvaggio (massimo sfruttamento-maggior profitto) gli operai-numeri costretti a ritmi di lavoro disumani senza punti di riferimento (gli impegnati politicamente sono estromessi o isolati) vengono ripetutamente ricattati e intimoriti da un caporalato di stile mafioso: "voi siete i 'prescelti', qui non esiste il sindacato, i vostri problemi d'ora in avanti li risolviamo noi, in caso contrario andrete a trovare i vostri compagni fuori...". Il sindacato occorre ricostruirlo in primo luogo per l'occupazione garantendo per ogni posto di lavoro perso un nuovo posto di lavoro in altre attività produttive svincolate dalla grande azienda. I diritti e la democrazia sindacale. L'incremento e la salvaguardia di stipendi e pensioni e la difesa dei servizi sociali contro le privatizzazione e il lavoro nero.
Piombino 14. 05. 93 Centro di documentazione L. TOLSTOJ [torna all'inizio della pagina]
Per i poveri e i lavoratori degli USA il "nuovo ordine mondiale" significa solo incubi e sofferenze. Con lo stesso ritmo con cui la crisi capitalistica dilaga dappertutto all'estero, si approfondiscono i suoi effetti qui negli USA. Il tasso di disoccupazione è l'indicatore più evidente della situazione estrema con cui devono fare i conti i lavoratori. Essere senza lavoro, senza casa, senza cure mediche, senza cibo e senza prospettive sta diventando una costante nella vita delle masse. Per i giovani il flagello della disoccupazione sembra non avere fine. I dati più recenti mostrano che il 40% dei giovani di New York è disoccupato. E questi dati non indicano la percentuale sempre maggiore dei giovani di colore disoccupati. 40% di disoccupazione giovanile significa che Neri e Latini sono in estrema difficoltà. Nonostante tutte le promesse della campagna presidenziale di Clinton sui programmi per l'occupazione, il loro avvio è stato deludente. Per esempio il programma per il lavoro estivo, in sostegno all'occupazione giovanile, è stato dimezzato. Nella sola New York i 60.000 posti di lavoro estivi promessi al salario minimo di 4,25$ sono stati ridotti a soli 39.000. E le domande erano 200.000. Nel frattempo l'aumento promesso del salario minimo a 5,25$ l'ora è stato posticipato di un anno. L'alta disoccupazione giovanile è diventata una caratteristica permanente della nuova "politica dei sacrifici" dell'economia capitalista. "I problemi dei nostri giovani erano già in fondo alla lista, oggi non sono neppure considerati", così dice J. Bess, direttore esecutivo del Manhattan Valley Youth Program, un'associazione senza fini di profitto di sostegno ai giovani. Ma la vita non è così piacevole neppure per i giovani che un lavoro lo hanno trovato. Ogni anno 1200 giovani con meno di 20 anni sono vittime di incidenti sul lavoro nello stato di NY e i morti sono 5 all'anno, come viene riportato dal Giornale della American Medical Association. Lo studio, condotto dalla MT Sinai School of Medicine di New York, mostra che dal 1980 al 1987 31 giovani morirono a causa di lesioni riportate sul lavoro e 4201 subirono invalidità permanenti. L'ultima ristrutturazione del capitalismo ha determinato una continua riduzione della forza lavoro occupata, vale a dire che interi settori di classe operaia non hanno mai lavorato e che un'intera generazione di giovani lavoratori non è mai stata occupata. Questa è una dura verifica della natura selvaggia della crisi capitalista e mostra che il sistema basato sui profitti non può andare incontro ai bisogni delle masse. |