L'IMPERO DEL SOL LEVANTE
Gli USA hanno sempre suscitato l'ira delle masse povere dell'Asia per il loro appoggio ai regimi oppressivi e per il loro intervento militare diretto in Corea e in Vietnam. Mentre gli USA detenevano il ruolo indiscusso di potenza imperialista, il Giappone ha tranquillamente ricostruito il proprio potere economico e militare sotto la protezione USA. Oggi il Giappone si sta affrancando dalla protezione dello zio Sam e sta giocando il ruolo di partner giovane che tratta alla pari con l'imperialismo USA. Nei prossimi decenni il Giappone inizierà ad alzare la voce e a proteggere aggressivamente i propri interessi e i propri obiettivi in Asia, considerata da sempre come il proprio giardino di casa dalla classe dirigente giapponese. Per molti abitanti dell'Asia, che hanno patito la brutale occupazione giapponese durante la seconda guerra mondiale, la possibilità di un ritorno dell'imperialismo giapponese si identifica con il ritorno dell'Impero del Sol levante. Il ritorno del Giappone L'Armata imperiale giapponese ha sfregiato in modo indelebile la storia e il destino di molti Paesi dell'Asia. Nella sua ambizione di conquista e di potere, il Giappone inviò la propria Armata Imperiale a conquistare Taiwan nel 1895; ad invadere e colonizzare la Corea nel 1910; la Cina nel 1913. E durante la seconda guerra mondiale il Giappone invase e colonizzò il sud est asiatico e le isole del Pacifico. Come un cane rabbioso, l'Armata Imperiale giapponese si lasciò andare ad un'orgia di delitti: circa 30 milioni di persone morirono tra i suoi artigli; milioni furono torturate e violentate, e altri milioni furono rinchiuse in campi di fatica e di sterminio. Oltre due milioni di Coreani e 40.000 Cinesi furono deportati in Giappone durante la guerra per sopperire alla mancanza di forza lavoro.; circa 200.000 furono le donne asiatiche, in special modo coreane, taiwanesi, cinesi e filippine, costrette a diventare "donne-comfort" (zyugun-ianfu) e a soddisfare le esigenze sessuali dei soldati giapponesi. Nonostante i ben documentati crimini di guerra e le atrocità commesse contro i popoli dell'Asia durante il periodo imperialista, il Giappone non si è mai preoccupato di presentare le proprie scuse o di mostrare un qualche rimorso. Invece, il Giappone del dopoguerra si è offerto di ripagare i danni di guerra sotto forma di "aiuti", inserendoli nella cosiddetta "Assistenza allo sviluppo oltremare" (ODA - Overseas Development Assistance) i cui beneficiari finali sono i grandi affaristi giapponesi e, grazie alla complicità attiva delle elites dominanti dei paesi dell'Asia, ha guidato una seconda ondata di invasioni. Nel suo ritorno il Giappone ha optato per il dominio economico - una forma più sottile, ma molto più pericolosa di dominio - e questa volta ha ai propri ordini le elites dirigenti dell'Asia che sono fin troppo entusiaste di collaborare con i giapponesi nello sfruttamento delle ricche risorse umane e materiali dei propri paesi. E dopo aver attanagliato, in un modo o nell'altro, con i propri imperiali artigli le economie dei paesi asiatici, ora il Giappone si pone il problema di difendere i propri interessi economici nelle regioni dell'Asia e del Pacifico: la recente approvazione del progetto di legge sulle "Operazioni di Pace" (PKO - Peace Keeping Operation) che permette l'impiego di truppe giapponesi in Asia in contrasto con la sua stessa Costituzione, risponde senza dubbio all'ambizioni del Giappone di tornare ad essere un potenza imperialista a livello mondiale. L'accordo USA-Giappone La sconfitta nella seconda guerra mondiale e la conseguente perdita di tutte le colonie nel 1945, fu il più grande smacco subito dagli imperialisti giapponesi. All'indomani della guerra il Giappone era in rovina, ma gli USA, ritenendo che il Giappone fosse una utile base per estendere il proprio potere sull'Asia e sul Pacifico, nonché un baluardo contro l'Unione Sovietica e la Cina comuniste, appoggiarono la ricostruzione del capitale giapponese. In tutto il periodo seguente alla guerra, l'accordo USA-Giappone rimase l'unico incontrastato potere economico, politico e militare nella regione e, dal momento che erano le strutture industriali giapponesi che provvedevano alle necessità belliche degli USA, il capitale giapponese si riprese velocemente durante la guerra di Corea negli anni 50 e quella del Vietnam negli anni 60. La Toyota, ad esempio, è una delle molte industrie che si sono arricchite sulle forniture militari: fino al momento in cui cominciò a produrre camion per l'esercito americano durante la guerra di Corea, non era che una piccola impresa in lotta per la sopravvivenza. Nel 1951 la produzione industriale giapponese aveva superato i livelli anteguerra. Nel 1957 la ricostruzione economica era completata e il Giappone era divenuto il principale costruttore di navi a livello mondiale e uno dei maggiori fornitori di apparecchiature elettriche, e le sue industrie metallurgiche, ingegneristiche e chimiche si erano sviluppate di pari passo con quelle di produzione di automobili, strumenti tecnici, macchine da cucire e apparecchi fotografici. Privo di risorse naturali, il Giappone del dopoguerra, nello sforzo di crescere economicamente, sviluppò un'economia basata sul commercio, lavorando materie prime importate principalmente dai paesi dell'Asia e trasformandole in merci per l'esportazione: l'Asia diventò non solo il principale fornitore di materie prime del Giappone, ma anche il suo principale mercato; infine, a causa dell'abbondanza di manodopera a buon prezzo, il Giappone vi esportò anche le proprie industrie a basso contenuto tecnologico, ad alto fabbisogno di forza lavoro ed altamente inquinanti. Il gigante economico Da paese sconfitto nella seconda guerra mondiale il Giappone si è trasformato oggi in potenza economica a livello mondiale e può competere alla pari con Europa e USA. Ha raggiunto l'America in molte aree chiave della produzione manifatturiera: automobili, componentistica, macchine utensili, prodotti elettronici e computer, e se sarà in grado di mantenere il proprio attuale livello di sviluppo, diventerà la principale economia mondiale entro la prima decade del 21° secolo, sorpassando gli USA; tra l'altro la rapida ascesa del Giappone nelle graduatorie del capitalismo mondiale si sta verificando in un momento in cui l'economia USA si sta indebolendo: la traballante economia americana, sorretta principalmente dal complesso militar-industriale, ha prodotto debiti su debiti e uno squilibrio commerciale rilevante e da principale nazione creditrice del mondo, gli USA, con un debito valutato 4.000 miliardi di dollari, sono oggi tra i paesi più indebitati. Nel 1991 il PIL degli USA si è ridotto dello 0,7%, il suo primo calo dal 1982, e nello stesso periodo il deficit di bilancio ha raggiunto la cifra record di 268.700 milioni di dollari e non si prevede nessuna svolta nella recessione economica iniziata a metà degli anni 80. Nel frattempo il principale creditore a livello mondiale è diventato il Giappone, così come il più grande fornitore di aiuti (10 miliardi di dollari solo nel 1991); il Giappone è anche il principale paese esportatore, per un totale valutato cento miliardi di dollari e il più aggressivo investitore finanziario all'estero: ha superato gli USA per investimenti diretti in Asia e l'ammontare totale del commercio fra il Giappone e l'Asia è raddoppiato in soli cinque anni tra il 1986 e il 1990, grazie soprattutto al fatto che l'Asia è la principale fornitrice della forza lavoro a basso costo necessaria all'industria giapponese. Il numero degli operai asiatici che lavorano per le società giapponesi è cresciuto dal mezzo milione dell'85 al milione e duecentomila di oggi e costituisce quasi il 50% di tutti i lavoratori impiegati dalle multinazionali in Asia. Dato che la forza lavoro in Giappone ha un prezzo molto alto, il capitale finanziario di questo paese non può che essere soddisfatto di finanziare lo stanziamento di industrie giapponesi in altri paesi dell'Asia, dove maggiori sono i profitti, grazie alla forza lavoro a basso costo. Il Giappone ha recentemente trasferito le sue industrie verso i paesi dell'ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico) come la Thailandia, le Filippine e la Malesia, nella ricerca di forza lavoro ancor più a buon mercato, anche perché il costo di questa sta invece aumentando nelle cosiddette "tigri economiche", cioè i Paesi di recente industrializzazione (NIC - Newly Industrialising Countries) quali la Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong e Singapore. I collaborazionisti Il Giappone, grazie alla collaborazione delle elites dominanti dei paesi dell'Asia, è riuscito a creare condizioni estremamente favorevoli per i propri investimenti e con subdoli contorsionismi è riuscito ad influenzare le politiche commerciali, finanziarie e di investimento che lo avvantaggiano economicamente. Gli investimenti e gli aiuti esteri (ODA) sono due facce della stessa medaglia: circa il 60-70% degli ODA del Giappone vanno in Asia e aprono la strada ai futuri investimenti con la costruzione di migliori infrastrutture nei paesi dell'Asia utili al loro sfruttamento e all'espansionismo giapponese. Gli ODA giapponesi sono usati per la maggior parte in progetti di infrastrutture, strade, ponti, porti, aeroporti, centrali elettriche, sistemi di irrigazione. Questi "aiuti" agiscono come delle sovvenzioni nascoste alle grandi società giapponesi che recuperano così le proprie spese in ricerca & sviluppo; gli ODA impongono un'industrializzazione subordinata basata non sulle capacità o sulle necessità dei paesi che li ricevono, ma sulle necessità del Giappone. E' una forma di industrializzazione strettamente connessa alla tecnologia Giapponese. Il modo aggressivo con cui gli ODA sono usati per costruire infrastrutture ha prodotto una distruzione generalizzata dell'ambiente di vita di interi villaggi e comunità: per esempio il progetto Calabarzon nelle Filippine, diretto dalla JICA (Agenzia Giapponese di Cooperazione Internazionale) prevede la deportazione di oltre 100.000 contadini e pescatori locali. Il progetto della Diga di Narmada in India, una joint-venture tra la Banca Mondiale e il Fondo Giapponese per la Cooperazione Economica (OECF) prevede la deportazione di oltre un milione di persone. Gli ODA inoltre aprono la strada al Giappone per il trasferimento di rifiuti ed industrie inquinanti negli altri paesi dell'Asia, come ad esempio la discarica di rifiuti tossici della Mitsubishi in Malesia e l'intenso saccheggio delle risorse naturali, come il legno nella Malesia e nell'Indonesia, che ha causato pesanti distruzioni dell'ambiente ed ha reso ancora più difficile la vita ai popoli dell'Asia. Il Nuovo Ordine Asiatico La crescente rivalità inter-capitalista tra USA e CEE ha spinto il Giappone a rivedere e riformulare la propria strategia imperialista per i prossimi decenni. La tendenza al protezionismo e la formazione di Mercati regionali come la CEE in Europa, guidata da Francia e Germania, e la NAFTA (North American Free Trade Association) guidata dagli USA, hanno rafforzato le ambizioni giapponesi a definire la propria sfera di interessi, quella che durante la seconda Guerra Mondiale era stata chiamata la "Grande Sfera di Cooperazione e Prosperità Economica dell'Asia". Il dominio neocoloniale del Giappone sui paesi dell'Asia sta entrando in una nuova era con la proposta di un mercato economico guidato dal Giappone, a cui ci si riferisce altresì con il nome ufficioso di Sfera di Iniziativa Economica dell'Asia (AESI). Qui l'imperialismo giapponese eserciterà la sua influenza su una base di potere regionale invece che bilaterale: la AESI è un progetto di ampio respiro teso a stabilire una sfera economica regionale dominata dal Giappone, con i Paesi di recente industrializzazione in posizione subalterna, e ad attirare i paesi socialisti della Cina, Mongolia, Laos, Cambogia, Vietnam e Corea del Nord nell'orbita capitalistica. Le prospettive per la AESI sono migliorate da quando è diventata più manifesta la possibilità di un'intensificazione della concorrenza economica tra le potenze capitalistiche: il brusco declino della potenza economica USA ha indotto i governi reazionari dei Paesi di recente industrializzazione e l'ASEAN a rivedere la loro politica di tradizionale dipendenza dagli USA, rendendo sempre più gradita un'idea che in passato era completamente inaccettabile, quella di una sfera economica dominata dal Giappone, che oggi è propugnata persino da leader asiatici come Mahathir (Malesia) che sta spingendo per un progetto analogo, quello del EAEC (East Asia Economic Caucus, - Summit Economico dell'Asia orientale). L'attuale AESI, così come è stata ideata, è molto più estesa territorialmente di quanto lo fosse la "Grande Sfera di Cooperazione e Prosperità Economica dell'Asia" durante la seconda guerra mondiale. L'imperialismo giapponese deve affrontare ora il problema di come mantenere, espandere e se necessario difendere, i propri interessi in una nuova situazione regionale in cui gli USA - che gli strateghi giapponesi ritengono possedere una diminuita capacità economica, e, di conseguenza, militare - non sarebbero più in una posizione tale da giocare il ruolo effettivo di unica polizia globale nella regione asiatica. Quindi, in questa nuova strategia, il Giappone spera di realizzare il proprio sogno di egemonia regionale attraverso l'AESI, che dovrebbe diventare il "Nuovo Ordine Asiatico" quale parte integrante del "Nuovo Ordine Mondiale", espressione di una strategia globale comune all'imperialismo americano-giapponese all'indomani della dissoluzione dell'Unione Sovietica. La strategia del "Nuovo Ordine Asiatico" richiede la creazione di una nuova formazione militare regionale in cui giocherà un ruolo-chiave l'alleanza militare americano-giapponese. Dato il collasso del sistema socialista mondiale a fronte della forza espressa dalle alleanze militari guidate dagli USA, questa alleanza non può che svilupparsi in antagonismo alla lotta del popolo asiatico contro l'imperialismo americano e giapponese. Un meccanismo regionale di sicurezza controrivoluzionaria verrà sicuramente salutato con favore dai governi reazionari e repressivi dei Paesi di recente industrializzazione e dell'ASEAN. Alcuni alti ufficiali governativi giapponesi ed alcuni dirigenti finanziari hanno iniziato a propugnare un nuovo meccanismo di sicurezza a livello asiatico, che permetterà al Giappone di partecipare ad esercitazioni militari congiunte con truppe governative dei paesi dell'Asia. Serie minacce In quest'ottica l'invio di truppe militari giapponesi in Cambogia presenta un aspetto minaccioso. Con il pretesto dell'impegno ONU nelle "Operazioni di pace" (PKO), il Giappone può ora giocare un ruolo di primo piano nella neocolonializzazione in atto nella Cambogia socialista. Come prima importante offensiva diplomatica di un gigante economico che deve ancora manifestare le proprie velleità politiche, la partecipazione del Giappone alle PKO è un passo significativo verso la reimposizione dell'egemonia giapponese nella politica asiatica. A parte gli effetti positivi sul ruolo politico della diplomazia giapponese nell'arena globale e regionale, questo sforzo rappresenta un'importante punto di rottura con un basso profilo militare ed una politica estera fortemente pacifista che fino ad oggi hanno caratterizzato il Giappone. La caduta delle barriere legali e psicologiche al riarmo non può che portare all'incremento del potenziale militare giapponese e della tendenza, a lungo repressa, al militarismo. Per esempio in maggio, Akashi, capo dell'UNTAC (Autorità Multinazionale in Cambogia dell'ONU), a quanto viene riferito, ha insistito perché il Primo Ministro Miyazawa costruisse per le PKO in Asia strutture operative e logistiche permanenti a Okinawa, ed ha indicato la penisola coreana, Burma e il Kashmir come possibili obiettivi. L'imperialismo giapponese vede nelle sforzi dell'ONU nelle PKO un modo efficace di riarmo ad di fuori delle usuali esercitazioni militari congiunte americano-giapponesi. Il Giappone intende sviluppare una propria operatività militare indipendente, oggi ancora inesistente, ma che si potrebbe trasformare in militarismo generalizzato se dovesse sorgerne la necessità; ma non è ancora pronto a rinunciare alla collaborazione con gli USA e deve dividere il peso della difesa con gli USA per evitare un possibile vuoto nella presenza militare imperialista in Asia. E' in questo contesto che il Giappone è diventato una seria minaccia per la pace ed è ora il principale ostacolo per le istanze di liberazione del popolo asiatico. [da Newsletter dicembre 92/gennaio 93] [torna all'inizio della pagina]
Alla fine della seconda guerra mondiale in Giappone fu instaurato un Comando Supremo Alleato (CSA), retto fino al 1951 dal generale americano Mac Arthur, con il compito di controllare il passaggio delle consegne al nuovo regime "democratico". Furono smobilitate le Forze Armate imperiali, messe al bando le organizzazioni nazionaliste, processati i generali (processo di Tokio, che si concluse con 7 condanne a morte e 16 ergastoli), sottoposti a purghe i vertici dell'amministrazione e dell'industria, rimpatriati i due milioni di giapponesi residenti nei paesi dell'Asia. Lo stato imperiale fu sottoposto ad una radicale ristrutturazione definita dalla nuova Costituzione (in vigore dal 3 maggio 1947): viene sancita la divisione tra i poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario); viene quindi rovesciata l'impostazione d'anteguerra in cui tutto il potere era concentrato nelle istituzioni imperiali; l'imperatore, che aveva già in precedenza rinunciato alla pretesa di essere "divino", perde anche le qualifiche di "sacro" e "inviolabile" e diviene un semplice garante dell'unità nazionale; viene abolito ogni privilegio della nobiltà e viene abolita la "Camera dei Pari"; viene istituito un Parlamento, o "Dieta", di tipo bicamerale composto da una Camera dei Rappresentanti (eletti ogni 4 anni) e una Camera dei Consiglieri (eletti ogni 6 anni); viene dato il voto alle donne. Ma, sopratutto, con l'articolo 9 della Costituzione viene sancita l'abolizione delle forze armate e la rinuncia all'uso della forza nelle controversie internazionali, un concetto rafforzato dalla premessa in cui si afferma l'intenzione del popolo giapponese di operare per la cooperazione pacifica tra i paesi. Nonostante la sua ispirazione esterna e i suoi concetti inusuali nel contesto giapponese, la nuova Costituzione riscuote un notevole successo e appoggio, anche grazie alle purghe che avevano messo fuori gioco i leader politici d'anteguerra. Si ricostruiscono i sindacati (7 milioni di iscritti, oltre 34.000 organizzazioni) e, in seguito alla liberazione dei prigionieri politici e al ritorno dal Soviet di Yenan, nella Cina liberata, di leader quali Nozaka Sawzu, si ricostituisce il Partito Comunista che alle elezioni del 1949 riceve il 10% dei voti. Ma all'interno del CSA gli USA mettono fuori gioco gli altri paesi e danno una brusca sterzata in senso anticomunista: all'esplosione della guerra di Corea (giugno 1950) si era già definita la prima eccezione all'art. 9, con la costituzione di una "riserva di polizia" di 75.000 uomini; con il Trattato di pace di San Francisco del 1951 (da cui sono esclusi i paesi comunisti) questa riserva viene definita "Forza di Autodifesa" e portata a 200.000 effettivi. Per quanto riguarda la politica interna, nel febbraio 1947 il CSA vieta il primo sciopero generale, nel 1948 impone al governo il divieto di sciopero ai lavoratori statali, tra cui quelli dei trasporti, negli anni successivi promuove la costruzione di sindacati gialli e cerca di mettere fuori legge il PC come "forza antidemocratica", nel 1952 promuove la riabilitazione degli esponenti della destra militarista. Mentre il Partito Comunista viene ridotto ai minimi termini, la politica istituzionale si polarizza attorno a due grandi forze: il Partito Socialista (Shakaito) che unifica tutta la sinistra non comunista e il Partito Liberaldemocratico (Juyu-Minsuto), di destra. Dopo una prima divisione tra il 1951 e il 1955 (attorno alla questione dell'esclusione dei paesi comunisti dal Trattato di pace), il Partito Socialista vede la fuoriuscita di parte della destra che, nel 1959, fonda un Partito Socialdemocratico. Nel 1964 viene fondato il Komeito (Partito del Governo Pulito) di ispirazione buddista. In tempi recenti il Partito Socialista cambia denominazione in Partito Democratico Socialista. |