CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.9

I PERSEGUITATI DAL "NUOVO ORDINE"

da Resistencia, organo del Partido Comunista de Espana (reconstituido) n. 16, ottobre 1991

I centoventi milioni di emigranti, di lavoratori che negli ultimi anni sono emigrati dai loro paesi d'origine a quelli più industrializzati dell'Europa e dell'America per vendere la loro forza lavoro, più di venti milioni di rifugiati che oggi girano di paese in paese, da reticolato a reticolato, fuggendo dalla guerra, dalla fame o da entrambe le cose insieme, sono la minoranza (di "privilegiati"?) che sono riusciti a passare le frontiere; al resto, ai restanti quattro quinti della popolazione del Terzo Mondo che tenta di emigrare senza riuscirci, il capitalismo non offre altra alternativa che la morte.

Qual'è la causa per cui queste masse umane di diseredati non hanno spazio nell'attuale sistema produttivo? "La secolare povertà del Terzo Mondo", "L'esplosione demografica", ecc., sono invocate frequentemente, anche dai migliori economisti e sociologi borghesi, come la causa di questo fenomeno. Tuttavia, è facilmente dimostrabile che molti di questi paesi sottosviluppati sono tanto ricchi di materie prime e con tali possibilità di produzione agricola e che le avanzate tecniche di cui dispone oggi l'umanità rendono possibile incrementare la quantità dei mezzi di sussistenza a un ritmo tale, da non poter essere raggiunto nemmeno dalla crescita della popolazione per quanto rapida possa essere. Inoltre, non si trovano forse nelle stesse condizioni delle popolazioni del Terzo Mondo, i milioni di disoccupati e di poveri che si ammucchiano nei dintorni delle grandi metropoli industriali? Questa parte della popolazione, ormai definita il "quarto mondo", non è forse diseredata come quella del Terzo? Sia gli uni sia gli altri formano le legioni dell'esercito industriale di riserva, un esercito che in questi ultimi decenni di sviluppo del capitalismo monopolista si è moltiplicato in varie occasioni.

E' lo sviluppo del capitalismo che provoca, con l'accumulazione del capitale, il concentramento ad uno dei poli della società borghese di immense ricchezze, la crescita del lusso e dello sperpero, mentre all'altro polo si stringe sempre di più il giogo dello sfruttamento, si alza il tasso di disoccupazione e scende il livello di vita dell'immensa maggioranza.

«Quanto maggiori sono la ricchezza sociale, il capitale investito, il volume e l'intensità della sua crescita, e maggiore anche, di conseguenza, l'importanza assoluta del proletariato e la capacità produttiva del suo lavoro, tanto maggiore è l'esercito industriale di riserva... L'importanza relativa dell'esercito industriale di riserva cresce, di conseguenza, nella misura in cui crescono le forze della ricchezza. E quanto maggiore è questo esercito di riserva in proporzione all'esercito operaio attivo, più si estende la massa della sovrapopolazione stabile, la cui miseria è in ragione inversa ai tormenti del suo lavoro... Questa è la legge generale, assoluta dell'accumulazione capitalista» (1).

Dall'altro lato, nella misura in cui il capitale si accumula e cresce la sua composizione organica, diminuisce relativamente la domanda di mano d'opera (benché il volume del proletariato aumenti), in tal modo una parte della popolazione diventa "eccedente". Questo succede perché il capitalista, a causa della incessante concorrenza, è costretto a rinnovare continuamente le tecniche di produzione, ad investire sempre di più nella parte di capitale fisso (macchinari, nuove tecnologie, ecc.) e, pertanto, a diminuire la parte di capitale variabile destinata all'acquisto della forza lavoro. Generalizzandosi i progressi tecnici delle diverse imprese, cresce nella maggior parte di queste la composizione organica del capitale; questo determina una diminuzione del saggio generale di profitto. Per contrastare la tendenza decrescente del saggio di profitto, i capitalisti intensificano lo sfruttamento della classe operaia (maggiori ritmi di produzione, peggiori condizioni di sicurezza e igiene, salari reali più bassi, ecc.), chiudono le imprese meno produttive, licenziando migliaia di lavoratori, trasferiscono parte delle loro industrie nei paesi sottosviluppati, dove la mano d'opera è molto più a buon mercato, oppure assumono questa stessa mano d'opera immigrata negli stessi paesi industrializzati.

In questo modo vediamo come, internazionalizzandosi il capitale, si internazionalizza anche il mercato del lavoro. Parte della popolazione dei paesi sottosviluppati diventa direttamente sfruttata dai capitalisti dei paesi sviluppati. Essendo i paesi del Terzo Mondo oggetto della rapina sistematica delle loro materie prime e di altre ricchezze da parte dell'imperialismo e, pertanto, ostacolati nel loro sviluppo economico indipendente, essi esportano, come fosse anch'essa merce, una delle loro scarse risorse: la mano d'opera a basso costo. Tutto questo mette in evidenza che, al contrario di quanto affermano gli economisti borghesi e i revisionisti, la classe operaia non solo non sta scomparendo né raggiungendo un livello di vita simile a quello della borghesia ma, come dimostrava Marx, è depauperata nel suo insieme dal capitale, sia in termini relativi che assoluti. Nella misura in cui aumenta la ricchezza sociale, diminuisce la partecipazione degli operai al reddito nazionale, mentre quello dei capitalisti cresce.

«Mentre aumenta la ricchezza sociale, cresce la diseguaglianza sociale, si approfondisce e si allarga l'abisso fra la classe dei padroni (la borghesia) e il proletariato» (2), il che dimostra l'impoverimento relativo della classe operaia. Nello stesso modo accade con l'impoverimento assoluto, giacché questo è determinato dall'insieme delle sue condizioni di vita e di lavoro, non solo nei paesi capitalisti sviluppati, ma anche in quelli sottosviluppati, dipendenti o semicoloniali.

Il salario reale non è l'unico indice per misurare il livello di vita della classe operaia, poiché questo può persino aumentare in alcuni settori di lavoratori dei paesi imperialisti (che compongono generalmente la cosiddetta aristocrazia operaia); questo nonostante che le condizioni di vita e di lavoro dell'insieme dei lavoratori peggiorino. Sono le condizioni di vita e di lavoro della classe operaia di tutto il mondo quelle che determinano la loro situazione. E oggi, la caratteristica più rilevante di questa situazione è la disoccupazione, la miseria, la fame... Milioni e milioni di lavoratori senza impiego, di mano d'opera a basso costo che non trova un'occupazione, disposta a fare qualunque lavoro, a qualunque prezzo e in qualunque condizione, è ciò che sta creando nei paesi capitalisti sviluppati una concorrenza crescente fra la classe operaia autoctona e quella immigrata, fra i disoccupati e coloro che hanno comunque un lavoro. Ma sbagliano coloro che attribuiscono agli emigrati il peggioramento delle condizioni di vita degli operai. L'emigrante non rende precario il salario o le condizioni di lavoro, ma si inserisce, come ultimo anello, in un processo di instabilità in atto che coinvolge tutti i lavoratori.

L'Europa comunitaria di fronte alle "invasioni della fame"

E' evidente che gli Stati capitalisti continuano ad avere necessità della mano d'opera a buon mercato degli immigranti (fra l'altro perché consente loro di mantenere salari bassi anche per gli operai autoctoni), ma la crisi di sovrapproduzione che scuote il sistema, e in concreto la recessione che attualmente sta attraversando, impedisce loro di assumere tutta la mano d'opera che vorrebbero come hanno fatto per vent'anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Durante gli anni '70 l'Europa comunitaria ha praticato una politica di limitazione dell'emigrazione, annullando i permessi di lavoro e di residenza di molti lavoratori che già si trovavano nei diversi paesi e, soprattutto, dosando l'entrata di nuovi. Adesso, che la crisi si è fatta molto più acuta, hanno deciso di chiudere le loro frontiere e di attuare l'espulsione massiccia degli emigrati.

In quasi tutti i paesi europei si sono approvate ultimamente leggi sugli stranieri tese non solo a contenere l'arrivo di nuovi emigranti e rifugiati, ma anche ad annullare i diritti di coloro che lavorano e vivono in questi paesi già da anni. Sia in Germania che in Francia, il governo ha in progetto di annullare il principio di "a uguali contributi uguali prestazioni". I nuovi nazisti tedeschi riconoscono apertamente che l'industria e i servizi della RFT continuano ad avere necessità di questa mano d'opera a basso costo e dei contributi di tutti questi emigranti alla Sicurezza Sociale, senza dei quali sarebbe impossibile continuare a pagare le pensioni degli operai autoctoni (ricordiamoci che la maggior parte delle società europee vivono un processo di invecchiamento dovuto al basso indice di natalità). Tuttavia, stanno portando avanti vere campagne di propaganda razzista per poter approvare nuove leggi che annullino il diritto di questi emigranti a ricevere le stesse prestazioni degli operai autoctoni.

In Francia, è stato eliminato il diritto al posto di lavoro che automaticamente aveva ogni rifugiato. Ugualmente, attraverso i diversi mass media, si sta protestando contro il diritto che hanno tutti gli emigranti ad avere un salario di disoccupazione, assistenza sanitaria, assegni famigliari, ecc. I portavoce della grande borghesia francese chiedono che si riconsideri e riveda il diritto alla cittadinanza, in modo che i nati nel paese, i cui genitori o nonni sono venuti da decenni (e che, secondo le attuali leggi, sono cittadini francesi) siano privati della cittadinanza per poterli espellere in un qualunque momento. Si invoca di nuovo il reazionario "diritto di sangue" (solo se si dimostra la purezza del sangue, si potrà accedere alla cittadinanza). Tutte queste campagne, nel più puro stile fascista e razzista, hanno un obiettivo molto chiaro: opporre i lavoratori del paese agli emigranti, intossicare l'opinione pubblica per potere avere mano libera di fare ai lavoratori stranieri ogni sorta di porcherie, senza che nessuno solidarizzi con essi.

Lo stesso padrone la stessa lotta

Se la famosa unione politica europea sembra sempre più lontana, c'è, tuttavia, un punto nella quale funziona alla perfezione già da tempo: i diversi Ministeri degli Interni e le loro rispettive forze repressive sono riusciti a raggiungere tutta una serie di accordi che permettono loro di agire senza tutte le pastoie che derivano dall'osservanza dei diritti costituzionali e di asilo o dalla legislazione di ciascun paese. Agli accordi raggiunti dal gruppo di Trevi, che fondamentalmente sono diretti alla repressione del movimento rivoluzionario europeo, si sono aggiunti adesso quelli di Schengen.

Questi ultimi, sono stati presentati come un progresso per la "libera circolazione di merci, capitali e persone dentro la CEE". Ma, mentre la parte economica continua ad essere in discussione, la parte politica, il diritto delle persone a circolare liberamente, è un tale pasticcio che, in realtà, si è trasformato nel diritto delle polizie a circolare, vigilare e arrestare arbitrariamente per tutta l'Europa. Dopo il coordinamento, l'istituzione di una banca dati a livello europeo, l'instaurazione di controlli fuori dalle frontiere, fino alla possibilità di essere arrestato in un paese dalla polizia di un altro, tutto è legittimo per "proteggere il diritto dei cittadini europei". Contro chi? Contro le forze democratiche e rivoluzionarie, in primo luogo, e contro i rifugiati e gli emigranti dei paesi extracomunitari, contro coloro che già sono presentati come un "esercito di riserva della delinquenza". In realtà, ciò che teme la borghesia europea è l'enorme potenziale rivoluzionario che queste masse di lavoratori significano; infatti, benché accettino un salario che gli permette appena di mangiare, è anche vero che, continuando ad essere sottoposti a condizioni di sfruttamento feroce e non essendo contaminati dalle idee riformiste e revisioniste, possono essere sensibili al fermento dell'ideologia rivoluzionaria.

I paesi ai confini della Comunità saranno quelli che avranno l'incarico di "bloccare" le valanghe, le "invasioni della fame", come già si comincia a chiamarle; sono quelli che dovranno chiudere le loro frontiere molto strettamente per proteggere la "democratica e umanitaria" Europa da questi "delinquenti", il cui terribile crimine è cercare disperatamente un posto di lavoro. Naturalmente, la Spagna è fra quei paesi designati a svolgere questa funzione. Non è un caso che gli emigranti che vivono nel nostro paese hanno cominciato a definirla "la portiera di un'Europa razzista". Felipisti e altri cani da guardia compiono con zelo l'incarico affidatogli dai loro soci comunitari.

Non passa giorno senza che i media parlino di imbarcazioni piene di marocchini o di africani che la Guardia Civil ha ributtato a mare, di centinaia di latinoamericani rimbarcati sullo stesso aereo da cui erano scesi, di retate di lavoratori emigrati ora in una città ora in un'altra, di espulsioni, ecc. In Spagna il governo non deve neanche fare la fatica di abolire i diritti dei rifugiati e dei lavoratori emigrati perché questi diritti non sono mai esistiti.

Non dobbiamo lasciarci ingannare: gli emigrati non vengono a toglierci il pane, vengono a vendere la sola cosa che un lavoratore può vendere, la sua forza lavoro. Siamo noi che dobbiamo esigere che si applichi ad essi il principio "a lavoro uguale, salari e prestazioni uguali". I lavoratori europei, quando nelle manifestazioni sfilano spalla a spalla con i loro fratelli di classe, arabi, turchi, africani, portoghesi o spagnoli, gridano in coro: "lo stesso padrone, la stessa lotta". Questa è la nostra parola d'ordine.

M. Queralt

[da Resistencia, organo del Partido Comunista de Espana (reconstituido) n. 16, ottobre 1991]

NOTE

1. C. Marx, Il Capitale, Volume 1 (torna al testo)

2. Lenin, Progetto di Programma del Partito Operaio Socialdemocratico di Russia. (torna al testo)

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