DALL'AUTORGANIZZAZIONEIntervento letto all'Assemblea Nazionale dei Comitati di Base delle Poste Questo documento è stato redatto grazie al contributo di diversi compagni delle sedi di Pisa e La Spezia. Quindi scusateci se diversi punti possono apparire non legati tra loro. La crisi economica che stiamo vivendo non riguarda soltanto l'Italia, ma tutto il sistema capitalistico mondiale. Infatti le varie borghesie nazionali stanno eliminando una dopo l'altra le conquiste dei lavoratori. Nel nostro paese stiamo assistendo: Come abbiamo visto lo smantellamento dello stato sociale avviene in modo parziale e graduale, l'eliminazione degli ostacoli istituzionali e politici al corso della crisi (privatizzazione delle aziende pubbliche) è ancora in corso. In nome di rigide politiche finanziarie i governi europei si avviano a tagliare ovunque le spese sociali e le pensioni, a ridurre i salari e ad aumentare i licenziamenti. La manovra antipopolare del governo Amato, nel rispetto degli obblighi di Maastricht, va nella stessa direzione. La controriforma delle pensioni, l'abolizione dell'equo canone, l'aumento dei contributi previdenziali, delle spese sanitarie, delle tasse, sono la ricetta del "socialista" Amato. Della stessa serie di misure fa parte anche l'accordo del 31 luglio, dopo l'annosa trattativa "a perdere" (per i lavoratori, s'intende!) sul costo del lavoro, in cui la Confindustria ha ottenuto l'eliminazione della scala mobile e il blocco della contrattazione aziendale e di categoria. Altro che costo del lavoro e tregua sociale! Altro che costo della forza-lavoro! Nella nostra iniziativa di massa è ora di mettere sul banco degli imputati il "costo del capitale", ossia quanto costa ai lavoratori la sopravvivenza del modo di produzione capitalista! Questa crisi economica, se da una parte provoca il crollo del mito del "capitalismo dal volto umano", provoca dall'altra la crisi di rappresentatività del sindacato di regime che cogestiva la forza-lavoro con il capitale. Può quindi sembrare che le ultime "fortune" dei comitati di base siano da ascriversi più a demeriti altrui che a meriti propri, anche se la forte disdetta delle tessere del sindacato non ha provocato una entrata in massa nei coordinamenti di base. Ma il Cobas poste non sarà forte a Pisa o La Spezia o ad Agrigento quando avrà diecimila tesserati. Il Cobas sarà forte quando i lavoratori saranno a buon punto nella loro riappropriazione della funzione sindacale. Un dato significativo della crisi economica è, quindi, il fatto che i lavoratori possano liberarsi dalle pastoie delle confederazioni e, dunque, i coordinamenti di base hanno più margini di intervento. Oggi assistiamo ai primi effetti della crisi del capitale e ai primi abbozzi di resistenza dei lavoratori. Gli effetti della crisi nel nostro paese sono, oltre che i tagli al reddito e il peggioramento delle condizioni generali di vita dei lavoratori (ci riferiamo alle condizioni igenico-sanitarie, alla sicurezza nei posti di lavoro, alla rapina del tempo libero dei lavoratori con elargizione di straordinario e orario spezzato), le privatizzazioni. La cessioni ai privati dei settori più profittevoli delle poste viene preceduto, generalmente, dalla pratica di abbandono a se stessi di quei settori, di non farli, per così dire, funzionare, sì da giustificare il fatto che essi diventino campi di intervento del capitale privato. La nostra opposizione alle privatizzazioni, inoltre, non si basa di certo sul pensiero che pubblico è bello e che privato è brutto. Si basa piuttosto sull'opposizione al voler introdurre i sistemi puri di profitto capitalistico nel pubblico impiego. Sistemi tristemente noti come disoccupazione, ricatto occupazionale, appesantimento delle condizioni di sicurezza nei posti di lavoro. La resistenza dei lavoratori a questo pesante attacco della borghesia portato avanti dall'esecutivo con la complicità di CGIL, CISL e UIL deve essere la più forte possibile ed unitaria. Oggi questa resistenza è appena agli inizi e si esprime con fasi alterne, assume forme individuali e collettive. noi abbiamo cercato nella nostra linea, nelle nostre scelte, nei nostri interventi, di stimolare la resistenza dei lavoratori cercando di favorire quegli elementi oltre che di difesa, di attacco. Abbiamo cercato, per quanto una struttura sindacale ha potuto fare, di scorgere e rafforzare tutte quelle istanze di autonomia della classe che si esprimono. Perché riteniamo che, in un paese a capitalismo avanzato, vada valorizzata l'inconciliabilità degli interessi del proletariato con quelli della borghesia. Perché crediamo che solo un proletariato forte può cercare di attrarre a sé altri settori di classe. In questa ottica: - alla divisione del proletariato tra lavoratori del pubblico impiego abbiamo cercato di rispondere cercando di favorire la costruzione di coordinamenti orizzontali di lavoratori. E qui abbiamo incontrato l'opposizione della sinistra della CGIL e della CUB che probabilmente temono che un struttura di questo tipo possa uscire fuori dal loro seminato e organizzare le lotte sul territorio con troppa autonomia; - non abbiamo aderito alla proposta di formare un quarto sindacato fatto dalla CUB perché non ci interessa rinchiuderci in un sindacato, piccolo o grande che sia, che faccia uno sciopero al mese per ricordare e ricordarsi che esiste, che non considera il quadro politico generale in cui si muovono i lavoratori, che rappresenta l'anello più debole di questo movimento (vedi lo sciopero nazionale generale del 20 novembre con 3-4 mila presenze operaie), che non si attrezza per favorire la tendenza all'autorganizzazione dei lavoratori, anzi la ostacola dividendo i lavoratori in tante sigle sindacali sprecando le energie di centinaia di avanguardie per un progetto che si presenta fallimentare. Noi non siamo "il" sindacato dei lavoratori e respingiamo ogni dannosa logica di autoproclamazione. Noi vogliamo essere uno strumento per rifondare dal basso un'organizzazione di massa di milioni di lavoratori, in cui combattere la nostra battaglia anticapitalistica per una società più giusta, diretta non dai comitati d'affari delle imprese, ma da coloro che producono la ricchezza del paese: i lavoratori stessi. Il lavoro umano non è una merce. L'opposizione dei lavoratori e delle lavoratrici e di tutti i settori sfruttati e oppressi della società deve essere indirizzata verso la trasformazione del lavoro e della società. Noi pensiamo che in questo momento sia necessaria la più ampia unità tra tutti i territori presenti e anche con tutti gli altri organismi di autorganizzati. Ma per portare avanti questo progetto di unità dobbiamo lasciar perdere le logiche di gruppo, partitiche, che si stanno insinuando al nostro interno o che ci portiamo dietro da diversi anni, e qui non ci riferiamo a questo o quel territorio, ma alla storia politica e sindacale della maggioranza dei compagni presenti in questa assemblea. E' consigliabile parlare con chiarezza e con tutta la franchezza possibile, perché abbiamo bisogno di confrontarci e di capire come ognuno di noi vive la sua funzione di avanguardia di fronte al pesantissimo attacco sferrato dalla Confindustria tramite il governo Amato. Nei mesi passati, nonostante l'impotenza registrata nei posti di lavoro di tradurre in lotta la rabbia dei lavoratori, in noi c'è stata la volontà di capire quello che ci stava succedendo intorno, abbiamo partecipato alle scadenze di CGIL, CISL e UIL e abbiamo contestato, insieme agli altri lavoratori, i vertici sindacali, abbiamo girato l'Italia in lungo e in largo, partecipando a molte delle scadenze di dibattito che il movimento si è dato nelle assemblee nazionali autorganizzate. Così facendo abbiamo sì capito che i sindacati confederali non rappresentano più gli interessi dei lavoratori e che anzi ne usurpano da anni il potere decisionale contrattuale, ma abbiamo anche capito che non è pensabile sostituire una sigla con una nuova, mentre occorre costruire un percorso che imponga a qualsiasi organizzazione di fare i conti con le regole inderogabili di democrazia per ottenere il mandato dei lavoratori per ogni livello di trattativa. Riteniamo, quindi, che per unire i lavoratori e per rifondare un sindacato di classe si debba partire come primo punto irrinunciabile dalle elezioni in tutti i posti di lavoro di un soggetto contrattuale unitario, un Consiglio dei Delegati, eletti su scheda bianca, e revocabili in ogni momento dai lavoratori, che siano tutti elettori ed eleggibili, indipendentemente dalla loro iscrizione a un sindacato. Da tutto questo emerge un dato inconfutabile: la posta in gioco è molto alta; non si tratta solo di riuscire a firmare un contratto più o meno buono alle Poste, qui è tutto il sistema capitalistico che è in crisi e che riversa brutalmente su tutte le classi subalterne, piccola borghesia compresa, la sua crisi. Vogliono ridurre il tenore di vita della gente alla stessa stregua dei paesi del terzo mondo se non peggio! Invitiamo tutte le strutture presenti a intervenire su questo piccolo contributo che le strutture di Pisa e La Spezia hanno voluto dare a questa Assembla Nazionale. Un ultima cosa: sentiamo l'esigenza di confrontarci più spesso con tutte le strutture esistenti nel territorio nazionale magari con incontri di uno o due giorni al massimo. 2/12/92 Coordinamento di base
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