COSTRUZIONE RIVOLUZIONARIA E PROCESSO RIVOLUZIONARIOUna lettera aperta alla RAF dalla Svizzera - Gruppo Irruzione Rivoluzionaria (RGA) Premessa Inizialmente questa lettera era intesa come critica alla vostra dichiarazione dello sciopero della fame del 23-9-91 come anche alla dichiarazione della sua sospensione, datata 4-10-91. Dall'attenta lettura delle suddette dichiarazioni ma soprattutto dalle nostre successive discussioni più approfondite ci siamo resi conto della dimensione incisiva del contenuto. In questo testo si trovano spunti che sollevano alcuni problemi di fondo i quali vanno largamente oltre la situazione specifica dei contenuti politici. Per noi, le vostre dichiarazioni erano l'occasione che ha fatto scaturire ampie discussioni sulla situazione in cui noi, la sinistra rivoluzionaria, ci troviamo. Naturalmente non siamo solo noi a portare avanti questo dibattito ed è chiaro che l'eccezionale mole di avvenimenti degli ultimi mesi (di cui parleremo dopo) hanno influenzato le discussioni. Le dichiarazioni. L'alto grado nella scala di valori che concedete allo Stato, il ruolo importante che gli date nella rideterminazione della vostra proposta politica, si evidenzia nel fatto che pretendete di condurre colloqui soprattutto con l'ala riformista. Per quanto riguarda questa faccenda, riteniamo sia errato dare un ruolo tanto significativo a chi rappresenta lo Stato, visto che in questi colloqui si tratta della vostra storia, della "chiusura di una fase storica, dell'analisi e della rivalutazione della attuale situazione politica e sociale; delle conclusioni per una politica rivoluzionaria del futuro". Numerosi gruppi politici ed individui singoli si sono dati da fare per cogliere la vostra iniziativa, lottando per rendere questi colloqui possibili. Nella vostra dichiarazione è appena accennato quanto importanti siano le discussioni con le/i compagne/i detenute/i o no. Con la nostra critica non intendiamo tradire la vostra causa, assumere una posizione settaria od avanzare pretese moralistiche; ciò che ci interessa è il confronto politico (vedi l'argomento "Allargare lo spazio politico"). Se nell'apparato statale esistono frazioni che hanno compreso di non poter dominare la resistenza e le contraddizioni sociali con mezzi poliziesco-militari (Raf 10-4-92) ossia la considerazione che la politica repressiva è fallita sia dentro che fuori dalle galere" (Lutz Taufer, dicembre '91), dal nostro punto di vista ciò non significa che il rapporto di forza tra lo stato ed i detenuti politici si sia rafforzato in favore di questi ultimi e perciò non può essere considerato un punto di partenza per giungere ad una apertura del rapporto stato-detenuti politici. Nella attuale situazione storica sembrerebbe
piuttosto che determinate frazioni dello stato puntino sul fatto che: Ci siamo accorti che non vi esprimete sulla contraddizione di classe, come base della vostra analisi, nè si trova una parola sulla vostra lotta in genere. E' come se voleste nascondere questa contraddizione. Esattamente intorno a questo argomento si sono svolte le nostre discussioni di cui sopra. Durante le discussioni in merito alla lettera che inizialmente volevamo scrivervi, pensavamo di riconoscere nelle vostre dichiarazioni certe posizioni con cui anche noi siamo ci siamo confrontati nella nostra pratica. Tuttavia ci è venuto il dubbio di aver dato interpretazioni che non corrispondono ai vostri contenuti. Questa nostra incertezza la riconduciamo al fatto che le singole idee espresse non si presentano come parti visibili di un disegno più complesso di prospettiva. Quindi è sorta una certa confusione: quali sono i passi tattici ed a quale obiettivo devono condurre ossia, come è intesa la definizione di una nuova strategia? Si tratta di questioni già riscontrate in altri contributi inerenti a questo dibattito ad esempio in "Parole franche ad un compagno, una lettera dell'area della resistenza comunista". Prospettiva. Ad ogni modo, questo problema riguarda molto di più le organizzazioni combattenti che non il problema dei detenuti politici. Infatti, le organizzazioni dovrebbero elaborare una prospettiva rivoluzionaria in cui determinati argomenti vengono chiariti. Pensiamo ad esempio ad una elaborazione storica sul crollo dei regimi dell'Europa dell'est. Una elaborazione che vada oltre il ruolo giocato dall'imperialismo. Una riflessione accurata che nel crollo del "socialismo reale" non veda solo il crollo, ma evidenzi le molteplici conquiste rivoluzionarie della prima fase; un'elaborazione quindi anche della nostra storia. Si deve trattare di un confronto che offra spunti pratici per la riformulazione della prospettiva rivoluzionaria. Si impone comunque la questione di un'analisi sociale che non si basi in modo totalizzante sulla politica imperialista, ma che metta di nuovo nel centro lo scontro di classe tra borghesia e proletariato, ricollocando poi, in questo contesto gli effetti causati dalla politica imperialista. Ecco cosa sarebbe per noi il punto di partenza. Nulla di tutto ciò abbiamo potuto leggere nel documento della RAF del 10-4-92. Quando era già stato accennato nella dichiarazione dei detenuti di Celle, nel documento del 10-4-92, prende sostanza: vi si suppone che lo Stato abbia due facciate, una dura, una disposta a discutere. Come conseguenza logica, ciò viene considerato la premessa per le soluzioni politiche. Se dovesse affermarsi la facciata "sbagliata" dello Stato, vi sarebbe guerra. In questo "affare" l'aspetto politico è stato omesso. Mettendo questo aspetto in primo piano, il documento non mantiene quanto promette, cioè: "le discussioni comuni necessarie da molto tempo e la costruzione di nessi tra i gruppi e le persone più diverse; là dove essi vivono, partendo dalla loro quotidianità in questa società, da cui per molti scaturisce l'incalzante necessità di prendere la propria situazione nelle proprie mani e di cercare delle soluzioni insieme agli altri. In un processo di soluzione politica i protagonisti principali sono coloro che la fanno e non la RAF che ha deciso di "tirare l'escalation". Supponiamo che ciò non avviene per favorire il sopra menzionato processo di costruzione, ma allo scopo di poter far imporre allo stato la "soluzione politica". La soluzione politica equivale alla rinuncia di una prospettiva rivoluzionaria. Secondo noi, l'apertura verso una soluzione politica impedisce che possa nascere un processo di costruzione come viene descritto nel documento della RAF, ma anche - e questo è per noi il punto essenziale - che possa svilupparsi. Di un tale processo la RAF doveva essere parte attiva, ma come?, visto che da anni nulla è dato a sapere sulla questione della prospettiva politica. Ma non basta: anche nell'attuale documento questo avrebbe dovuto essere l'argomento centrale. Nel documento si dice che "...le lotte di liberazione possono sviluppare le condizioni autentiche, ed i loro obiettivi, solo a partire dalla coscienza della propria specifica storia di popolo. E solo da questo può nascere una forza internazionale. Questo è l'apporto di molti compagni del tricontinente che nei loro paesi hanno trovato e realizzato i primi passi verso una nuova politica - anche noi qui lo faremo. In questo siamo in un legame con loro". Vi è un riferimento alle lotte nel tricontinente e quindi anche alle lotte di liberazione nazionale. Ma per quanto riguarda la loro storia, di fronte alla loro situazione attuale e sullo sfondo del crollo degli stati del "socialismo reale", si esige una elaborazione tanto quanto per la nostra storia. Dalla lettura della dichiarazione del 10-4-92 sembrerebbe che l'internazionalismo (o come si dice oggi, il neointernazionalismo) sia nuovamente segnato dall'idea che fosse più sensato impegnarsi là dove i rapporti sociali sono più marcatamente polarizzati anzichè qui, dove il proletariato sembra avere scarse prospettive rivoluzionarie. Orientandosi dunque su un soggetto sostitutivo (sia qui che nel tricontinente) ossia definire il soggetto rivoluzionario senza passare per l'analisi di classe, invece di prendere qui una posizione di classe e combattere. Né la RAF, nella sua fase iniziale, né l'internazionalismo proletario e l'antimperialismo si erano mai orientati su posizioni come ora vengono proposte. Il rapporto tra le lotte nelle metropoli e quelle nel tricontinente non era inteso come movimento unidirezionale, dai movimenti di liberazione verso qui, o viceversa. Piuttosto vi era un nesso reciproco. La base di questo rapporto consiste nell'internazionalizzazione del capitale, e quindi nella internazionalizzazione della rivoluzione. Ieri come oggi la sopravvivenza del mostro imperialista dipende da ciascuno dei suoi singoli ingranaggi. Ogni sconfitta che subisce una maglia della sua rete sconvolge l'intero sistema. Qui subentra il fattore decisivo, che nell'internazionalismo rivoluzionario si riflettono due cicli politici di lotta concreta che attualmente subiscono cambiamenti, ma che oggettivamente combattono insieme contro l'imperialismo. Ambedue esprimono un carattere autentico ed il contenuto di un concreto processo rivoluzionario, ma non possono essere contrapposti alternativamente e non sono neanche identici l'uno con l'altro. Anziché contare su ricette dal tricontinente, il nostro internazionalismo rivoluzionario dovrebbe partire, in primo luogo, da una ridefinizione del nostro processo rivoluzionario - il quale, ovviamente, si colloca nel contesto globale. Detenuti politici. La lotta dei detenuti politici, pur nelle condizioni fondamentalmente diverse, ha secondo noi, essenzialmente lo stesso carattere di tutte le altre lotte di classe, che in fin dei conti dipendono dal rapporto generale di forza tra le classi oppresse e sfruttate e la borghesia al potere. Visto che proprio questo rapporto sociale si evidenzia in modo marcato nello scontro tra i detenuti politici e lo stato, da una ventina di anni, intorno a questo asse è venuto a formarsi un movimento politico, dal quale, una quantità non indifferente di compagne e compagni, hanno continuato il loro processo di politicizzazione. La RAF, con la sua prassi rivoluzionaria, aveva compiuto la rottura con lo stato ed in questo era un orientamento per noi. I detenuti politici rappresentavano questa rottura anche come soggetti. Noi, parte di questo movimento, consideriamo i detenuti politici come una parte dello scontro generale tra le classi e da questo contesto, nella lotta dei detenuti politici ed insieme a loro, deriva la nostra identità politica. Le lotte e le richieste dei detenuti politici sono direttamente legate al rispettivo contesto storico. A nostro avviso, cercare una "soluzione politica" non è la risposta appropiata alla situazione politica ed alle condizioni qui e oggi. Per quanto ci riguarda appoggiamo invece la richiesta principale, cioè il raggruppamento ossia la scarcerazione. Il significato della richiesta è d'importanza fondamentale per i detenuti politici . La situazione storica. E' da parecchio tempo che come punto di partenza per le nostre riflessioni ci basiamo sulla nostra propria realtà politica e sociale. Pertanto non riduciamo il nostro dibattito alle posizioni dei detenuti politici; infatti è difficile teorizzare e vivere "dall'esterno" la loro realtà. E non siamo neanche interessati in un dibattito accademico in merito allo sviluppo ed alle concettualità senza un riferimento alla nostra prassi. Le attività rivoluzionarie riflettono le situazioni sociali, che nel nostro paese sono caratterizzate dalla molteplice stratificazione del proletariato e dalle difficoltà che ne derivano. E' ciò che ci interessa e che determina anche le nostre lotte. Formazione e differenziazione della nostra società sono il risultato delle contraddizioni oggettivamente esistenti. Le contraddizioni tra le classi esistono anche là dove non sempre trovano una espressione diretta. Si evidenziano là dove si sviluppano in lotte. E qui sta il problema: anche l'avversario lotta, affermando l'inesistenza della polarizzazione sociale, pretendendo che chiunque, indipendentemente dalla sua collocazione sociale, debba aver fede nello stesso non senso di libertà e di economia di mercato, insinuando che chi va controcorrente è sempre più minoritario. Dal punto di vista economico, il capitale si trova in crisi. Militarmente e politicamente si manifesta con una forza mai prima raggiunta. Ciò si evidenzia tanto nella nuova divisione imperialista del mondo, quanto nella depoliticizzazione della classe nella metropoli. Il capitale non è solo una categoria economica anche una politica. A prima vista, qui ed oggi, dispiega, paradossalmente, la sua dimensione politica nella depoliticizzazione. Consolida il suo sistema politico e dichiara apertamente che oltre a sé non esistono alternative. Gli intellettuali borghesi proclamano la "fine della storia" (il che è la manifestazione della coscienza di classe borghese) per farci credere di vivere nel migliore dei mondi. Con questo "vantaggio ideologico" la borghesia sottrae il terreno all'immediata efficacia dell'iniziativa rivoluzionaria. La borghesia prende le sue precauzioni: se le crisi economiche dovessero sfociare nella crisi irreversibile che possa minacciare l'intero sistema capitalista, vogliono essere protetti ideologicamente. E' lo stadio che precede l'attacco militare. Nella situazione attuale esistono le condizioni favorevoli per un livellamento politico. Fintanto la lotta rivoluzionaria non parte da una posizione di classe, sarà difficile vedere una chiara linea di demarcazione tra questa e la politica di coesistenza con il sistema. Solo allora sarà possibile che le forze rivoluzionarie possano costruirsi gradualmente. Per questa costruzione non basta accumulare azioni che reagiscono ai singoli attacchi dell'avversario (come contro la guerra del Golfo Persico, il fascismo di strada, la distruzione di spazi conquistati). Invece se l'iniziativa si colloca nel contesto di una prospettiva rivoluzionaria essa può costituire il terreno di questa costruzione, può diventare la base per un movimento rivoluzionario. Allora sì che può realizzarsi un processo collettivo. Di questo fa parte l'elaborazione della nostra storia concreta, delle nostre esperienze. Secondo noi, la corretta e necessaria risposta alla coesione politica-ideologica del capitale è quella della costruzione rivoluzionaria dal basso, nel "piccolo", in passi misurati inquadrati in un progetto e connesso alle lotte concrete. Termini/concetti Avevamo già detto che la situazione attuale ci impone di rideterminare la nostra politica. Un trucco efficace e semplice consiste nel far scomparire la società delle classi come punto di partenza della analisi e della lotta. Ne consegue che nascono termini giusti per indicare effetti e fenomeni senza però che essi ne comprendano le cause. Termini come "autoalienazione" e "processo emancipatorio" sostituiscono termini precedentemente usati senza però collocarli in una nuova base. Così facendo si perde di vista la dialettica che intercorre tra causa ed effetto. Ieri come oggi la situazione della classe è di grande importanza ed è a partire da essa che si conducono le lotte. Ed in primo luogo quella lotta che è indirizzata contro i bisogni delle masse popolari cioè la lotta di classe dall'alto. Si tratta, per noi, di ricollocare gli effetti derivati dalla politica imperialista e lo scontro di classe con le cause che la generano, cioè con lo sfruttamento capitalista. L'incessante ripetere del rimprovero "questa posizione è antiquata", facendo presente che esiste qualcosa di nuovo e indefinito", non rende certo più veritiero il rimprovero, nè può sostituire l'analisi di classe come fondamento di una politica rivoluzionaria. Proprio perché ci troviamo in una situazione storica "fuori dal comune" che porta in sé obiettivamente le più svariate tendenze di sviluppo e proprio a causa della complessa composizione di classe, è necessario chiarire di nuovo le linee che dividono le classi. Da ciò si potrà dedurre una posizione di classe autenticamente proletaria come punto base per sviluppare una prospettiva rivoluzionaria. La crisi della sinistra. La sinistra "radicale" si trova in una crisi. Ciò soprattutto a causa della sua debolezza politica, ed anche ma non solo, come risultato della forza propagandistica delle classi dominanti. Questa forza le deriva dalla situazione attuale che è essenzialmente caratterizzata dal crollo delle strutture di potere del "real-socialismo". Ma sarebbe errato dedurre da ciò una posizione unilaterale, non dialettica e/o umanitaria, ascrivendo cioè il significato maggiore alle conseguenze catastrofiche del crollo stesso che non alle condizioni oppressive vigenti in uno stato potente che si basa sul capitalismo di Stato. E' una questione che ci riguarda sotto due aspetti: da un lato perché a causa della nuova divisione del mondo cambiano le condizioni oggettive; dall'altro lato - e questo è un punto centrale perché questo sviluppo è parte della nostra storia, che ci piaccia o no. Non possiamo ritenere dalla storia solo ciò che ci va a pennello. La coscienza della storia. Quanto è avvenuto negli ultimi mesi (dissoluzione dell'Unione Sovietica ed allacciamento formale al mercato mondiale, scioglimento del patto di Varsavia, fondazione dei GUS è solo il tocco finale di uno sviluppo che nel suo percorso iniziale costituiva effettivamente un punto di partenza per una alternativa ed una prospettiva rivoluzionaria. "Coscienza della storia" possiamo definire così: la causa fondamentale dell'appiattimento, del dogmatizzare, dell'essere disponibile all'integrazione riformista di una teoria e prassi originariamente rivoluzionaria (noi diciamo revisionismo) fino al capitalismo, può trovarsi solo all'interno della propria storia e non al suo esterno. Il fatto che la contraddittorietà all'interno del movimento comunista, cioè l'assenza di una coscienza per quanto riguarda il carattere di classe di queste contraddizioni, è la causa decisiva che ha originato questo sviluppo. Punto uno: Non riprodurre la propria storia in modo unilaterale. L'appiattimento di cui abbiamo appena parlato è esattamente uno degli aspetti, l'altro aspetto sarebbe vedere tutti gli spunti rivoluzionari; non esistono nè posizioni chiaramente "di destra" nè "di sinistra". Già nell'impianto originario sono sempre contenuti ambedue gli aspetti. Si esprimeranno con dinamiche diverse, a secondo della situazione concreta Cioè non esiste l'unilaterale immagine bianco-nero, esiste invece una situazione in movimento. Se non c'è dialettica, se non c'è lotta tra le contraddizioni, il processo rivoluzionario subisce una battuta di arresto. Le contraddizioni che si oggettivizzano nella lotta rivoluzionaria, possono svilupparsi in un senso o nell'altro verso la rivoluzione o verso il revisionismo. Il fattore decisivo dipende dall'agire soggettivo o si agisce coscientemente nella lotta di classe dal basso oppure come oggetto della classe dominante (gestito per decreto). Finalmente, in correlazione a ciò, diciamo che gli sviluppi non si possono circoscrivere con dati fissi, stabilendo definitivamente l'inizio e la fine di un percorso. La dialettica è in noi e intorno a noi. Processi singoli arrivano al loro termine per essere superati nel processo successivo. Punto due: Comprendere cosa si intende per il primato della prassi. Coscienza della storia significa che si presuppone di cambiare la realtà del presente. Il punto di partenza non è la storia, bensì la critica degli errori attuali e le questioni irrisolte dell'oggi. Per questa ragione analizziamo i processi storici, seguendo in senso retrospettivo la storia ed i rispettivi processi di sviluppo dei problemi politici del presente, Così facendo troviamo possibilità migliori per superarli. Quando critichiamo le lotte storiche, dobbiamo dare indicazioni sul come si devono condurre le lotte di oggi. Se nell'analisi storica non partiamo da questo principio, l'intero argomento si ridurrà al: "Ciò è stato da sempre così" oppure "doveva succedere per forza di cose", etc... . In un processo di ridefinizione rivoluzionaria dobbiamo stare in guardia che i falsi concetti storici non criticati non accrescano fino a diventare ostacoli storici, e che non vengano analizzati. Contemporaneamente il processo della ridefinizione è condizionato dalla storia. Essa è la sua base. Da sempre la prassi rivoluzionaria è determinata dalla storia ed è quindi limitata storicamente. Lo stesso vale per la volgarizzazione, dogmatizzazione e l'interpretazione superficiale della teoria "comunista" che è connessa direttamente alla sua realizzazione nella pratica, e viceversa. Punto tre: La teoria non è un ricettario che fornisce a tutte le epoche le ricette giuste. Il fatto che non le fornisce, che non può fornirle, non dipende dalla teoria in quanto tale ma dalle nostre false pretese. Per esempio la teoria marxista sarebbe errata perché non avrebbe dato risposte o le avrebbe date sbagliate a determinati problemi attuali. La teoria è uno strumento ausiliare quando la prassi rivoluzionaria dal campo specifico si estende al campo generale. La conoscenza è la somma delle esperienze raccolte in un processo pratico. Donne e uomini rivoluzionari/e di periodi precedenti non hanno mai proibito alle generazioni successive di continuare a pensare ed agire per la rivoluzione. Al contrario, è da sempre che la teoria rivoluzionaria si sviluppa dalla prassi rivoluzionaria. Solo mediante l'analisi dell'attuale situazione sociale ed una conseguente ridefinizione dell'agire rivoluzionario si troverà la risposta concreta alla domanda di che cosa, in forma cambiata, dovrà continuare a vivere della base storica. Allargare lo spazio politico. La difficoltà nel trovare un orientamento e nel cercare una ridefinizione rivoluzionaria è connessa alla situazione oggettiva. Una corrente all'interno della sinistra "radicale" sta tentando di risolvere i propri problemi allargando lo spazio politico di un movimento che non esiste. Anche la RAF sta cercando di riscattarsi in questo modo dagli errori politici commessi. Forse ciò che occorre politicamente per creare e consolidare una base è troppo pesante in questo momento, è un percorso di lunga lena in cui difficilmente si potranno scorgere successi rapidi. Benché ancora una volta siamo ancora in pochi, appena presi in considerazione dall'opinione pubblica e da quella pubblicistica, apparentemente perfino isolati all'interno della classe (apparentemente, in quanto il temporaneo dislivello di coscienza politica dipende fortemente dalla realtà sociale nel capitalismo e non ha invece a che vedere con il settarismo di sinistra, come a volte viene insinuato), affermiamo che non vi è una via verso la rivoluzione che possa tralasciare lo sviluppo qualitativo. Di strade riformiste senza uscita che negano il carattere antagonista della società divisa in classi ce ne sono tante, quanto è lungo il percorso storico del movimento operaio. Queste strade senza uscita si ripetono: al posto della dialettica rivoluzionaria come motore del processo rivoluzionario vi è uno sviluppo di tranquilla evoluzione che va fino ad un capitalismo migliore. Facendo presente che la situazione oggettiva è cambiata, la posizione di classe viene dichiarata obsoleta; come se la situazione economica in continuo cambiamento contemporaneamente non cambiasse anche la composizione di classe e quindi conseguentemente, il concetto di proletariato! (La banale affermazione che la contraddizione tra borghesia e proletariato non è più tanto visibile come una volta, non cambia in nulla l'esistenza della società divisa in classi.) In questo contesto i principi rivoluzionari (quali la lotta di classe del proletariato contro lo sfruttamento e l'oppressione della borghesia, il capitalismo non ha errori ma è l'errore; distruzione violenta del sistema capitalista, etc...) vengono relativizzati a favore di presunti successi momentanei, come la mobilitazione puntuale di vasti ambienti per un'azione specifica come l'urgenza di iniziare adesso le discussioni dal basso, nella base sociale. Abbiamo sottolineato adesso, perché ci risulta che da sempre la storia viene fatta dalle masse, sia nel 1917, che in Cina o in Vietnam. L'immagine che siano le avanguardie anzichè le masse a far politica, può solo sorgere là dove un'organizzazione senza collegamento con la base e quindi senza un continuo scambio reciproco, si mette in strada per "liberare le masse". Poi, in un certo momento, quando si rendono conto del proprio isolamento e distacco dalle masse, si allarmano e gettano l'acqua sporca insieme con il bambino: il problema non consiste nel rigido attaccamento ad una strategia sviluppata in una determinata "costellazione", bensì nel concetto stesso dell'avanguardia, ormai superato. Una mobilitazione e discussione che non è stata preceduta da nessuna politicizzazione rivoluzionaria ed alla quale non segue alcun organizzarsi in senso rivoluzionario, viene poi chiamato "spazio allargato". Spazio allargato? Questo spazio politico significa accumulare quantità, allineare azioni ed individui. A chiare lettere vuol dire: dobbiamo diventare tanti e subito, naturalmente esseri umani. Sia chiaro, qui si tratta di strategia e non di scaramucce tattiche. Che la donna, l'uomo, prenda dunque una delle contraddizioni sociali e si metta a raccogliere intorno ad essa quelle forze che abbiano un comune denominatore: l'indignazione rispetto ai determinati eccessi operati dall'altro versante, quello del potere dominante. Così si allineano gli interessi, le posizioni politiche più svariate a cui manca però una qualsiasi correlazione interna. Manca un punto di vista unitario per quanto riguarda le cose che hanno generato questi eccessi (come in genere la miseria del capitalismo); manca quindi il fondamento necessario, a partire dal quale si può arrivare, collettivamente, a definire un'alternativa rivoluzionaria. La qualità rivoluzionaria decisiva nello sviluppo sociale si esprime nel perché combattiamo il versante opposto e quindi nel che cosa vogliamo costruire al posto del capitalismo. Se manca questo fondamento, che è da ricostruire in un difficile processo di presa di coscienza, qualsiasi spazio politico allargato rimarrà pura apparenza che si sgretola tanto rapidamente quanto è nato. Un esempio del genere è stata la mobilitaziane della guerra nel Golfo Persico. Ma perfino partendo dal carattere classista della società non cambia il dato di fatto che qui ed oggi non esiste il proletariato come classe per se. Conformemente alle condizioni di produzione sempre più differenziate, il proletariato è frazionato dagli interessi più diversi e per giunta si trova nella morsa della coesistenza pacifica dei "partner sociali". Dato questo terreno politico, ciascun individuo che partecipa alla mobilitazione si esprimerà in modo diverso, combatterà per obiettivi del tutto diversi, proporrà diversi metodi e strategie. Le singole azioni resteranno isolati episodi politici. Non fanno esplodere le mura del sistema perché non sono parte di una strategia comune e perciò la sostanza politica (l'analisi di classe, teoria, organizzazione, etc...) non può intensificarsi. Le azioni non saranno che reazioni agli eccessi del dominio capitalistico. Spazio politico allargato significa in verità il rapporto avanguardia-base sociale, e questo è effettivamente un fattore di grande importanza; ma va detto che questo rapporto non si può recuperare tramite le tribune delle istituzioni riformistiche, così come non si può pareggiare il dislivello momentaneo di coscienza facendo la corte alla coscienza delle masse. Possiamo diventare di più, solo se tentiamo, passo per passo, di conquistare il terreno su cui mettiamo i piedi; se analizziamo la situazione di classe attraverso le lotte; se tentiamo di raccogliere gli interessi comuni del proletariato come classe (l'interesse e la necessità, in quanto classe oppressa e sfruttata, di lottare nella prassi per una società senza classi) all'interno di un processo collettivo, sia dal punto di vista politico che organizzativo. Se non ci basiamo sui comuni interessi di classe (dai quali risulta perché e per che cosa lottiamo) si confonde ciò che nel processo rivoluzionario deve essere di massima chiarezza: chi viene sfruttato, dove sono gli sfruttatori che detengono il potere, dove sono coloro che sempre di nuovo con le loro riforme danno man forte ai capitalisti. Proprio perché contraddiciamo - combattendo - il versante borghese, sfruttatore ed oppressore, proprio perché non ci accontentiamo nè parzialmente, nè temporaneamente dei ritocchi riformisti, per noi non può che esistere la via della costruzione verso la rivoluzione. Ciò nonostante: noi abbiamo cominciato a politicizzarci e ad impegnarci seguendo le lotte dei detenuti politici e la politica della guerriglia. In noi avete messo in moto esattamente quegli effetti che volevate far scattare: il processo che considerate oggi superato, ha avuto luogo nella nostra presa di coscienza. Non siamo molti; nelle vostre analisi siamo praticamente inesistenti. Eppure tentiamo qualche cosa con quelle forze che sono presenti.
Giugno 1992 Gruppo Irruzione Rivoluzionaria (RGA) |