CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.8

SARDENNIA CONTRA A S'ISTADU

Dall'occupazione militare alla rivolta anticoloniale - Anarkiviu

Da quando lo Stato italiano ha deciso l'invio del suo esercito nel centro della Sardegna, sono accaduti fatti assai gravi su cui poi hanno speculato politici, preti, giornalisti, criminologi, sociologi, finti storici, antropologi... tutti a dire la loro, che poi risulta non essere altro che la medesima "verità", vista e data da angolazioni diverse: la verità di Stato! Ma vediamo che cosa è successo, per cogliere gli eventi nella loro intrinseca verità.

Prima della liberazione del piccolo Farouk Kassan - che si è dimostrata essere la vergogna dello Stato italiano, perché malgrado un ingente spiegamento di forze ed inauditi dispendi finanziari, i sequestratori la hanno avuta vinta - il governo stabilisce di occupare militarmente le zone interne dell'isola, quelle costiere essendo già ampiamente occupate, con l'invio di 12.000 militari scaglionati in contingenti da sbarcare nell'arco di alcuni mesi. Inutile blaterare sulle stupide asserzioni di ministri, generali, politici e mercanti vari, in quanto, comunque la si giustifichi, l'operazione - spregiativamente definita "forza paris" - è semplicemente occupazione militare di un territorio le cui popolazioni, storicamente già soggette a particolare repressione hanno manifestato nel passato e nel presente storico, il deciso no all'esercito! E' l'esercito, soprattutto i reparti facenti parte della NATO (due di quelli inviati in Sardegna), non è una struttura antincendio o ospedaliera, né forza di pace, come vogliono fare intendere ministri e generali, sindaci e politici provinciali e regionali, le cui affermazioni vengono somministrate quotidianamente alla gente con variazioni di gargarismi, dagli addetti nostrani e foresti alla manipolazione delle coscienze.

L'esercito è repressione, oppressione, occupazione palese di un territorio e delle sue genti; da che mondo è mondo la forza militare è preparazione alla guerra vera, fra una guerra finta e l'altra. L'esercito è guerra e distruzione di per se stesso, col suo consumo inaudito di finanze, uomini e mezzi per il cui sostentamento i ministeri con e senza portafoglio trovano sempre i finanziamenti necessari anche nell'esatto momento in cui lo Stato ed i suoi lacchè ladri e delinquenti battono cassa sulle tasche dei lavoratori salariati, disoccupati possessori di due lire in banca o di una catapecchia, pastori contadini emigrati, tutti costretti e mettere di tasca propria le decine di migliaia di miliardi che i ladri al parlamento, i familiari e gli amici si sono presi.

Quali sono dunque gli elementi oggettivi che hanno determinato la decisione del governo?

Sono diversi e di diversa natura, dettati da ragioni interne ed interstatuali.

Per prima cosa - in ordine descrittivo ma non sostanziale - chi non si ricorda delle bacchettate degli Stati europei e non all'Italia, per il suo voler troppo interferire sulle questioni dell'ex-Jugoslavia? Allora l'Italia iniziò a schierare contingenti delle proprie forze armate lungo i confini, col neppur tanto nascosto motivo di estendere i propri domini su territori rivendicati da decenni: insomma lo Stato italiano si apprestava ad una nuova impresa fiumana. Solo le bacchettate degli altri Stati, altrettanto interessati alla tragedia delle popolazioni dell'ex-Stato dell'Jugoslavia, fecero fare marcia indietro allo Stato italiano; che spostasse i suoi eserciti altrove, magari in funzione di controllo di aree ben più pericolose per l'ordine mondiale di un macello fratricida fra popoli e poteri contrastanti che li aizzano l'un contro l'altro.

Sempre sul piano interstatale, ma stavolta per interessi ancor più consistenti e su cui tutti i potenti della terra sono d'accordo, dopo lo scongiurato pericolo del "nemico rosso dell'Est", che si è come per incanto disciolto al sole... del capitale democratico, è sorta la necessità di intensificare il controllo sul lato Sud, Sud-Est, per essere esatti sui paesi dell'Africa mediterranea e del Medio Oriente, produttori di materie prime e di politiche repressive/dittatoriali di contenimento della rabbia popolare, ma anche qualche volta destabilizzatori dell'ordine mondiale.

Così parte dell'esercito italiano è trasferito al Sud con vari pretesti: reprimere i sequestratori in Calabria, la mafia in Sicilia, il banditismo in Sardegna. Chiaro no!? Che poi i pretesti, gonfiati ad arte, che siano un sequestro di persona o l'uccisione di due giudici poco importa; in assenza di questi, i tromboni ladri della politica ed i pisciainchiostro ne avrebbero trovato altri.

Ma ai movimenti di carattere interstatuale se ne debbono aggiungere altri, non ultimo il fatto che alle soglie del 1993 molte zone dello Stato italiano non sono ancora del tutto "pacificate", cioè non sono sotto il completo dominio/ controllo dello Stato e del capitale. Lascio ai compagni competenti l'analisi delle situazioni calabrese e siciliana, assai diverse fra di loro ed entrambe diverse, da quella sarda. Su quest'ultima, invece, credo di poter dire qualcosa con cognizione di causa e mi ci soffermo un attimino. Malgrado le ringhiose affermazioni degli integrati nel sistema, le popolazioni sarde anche se ovviamente più acculturate rispetto al passato, non hanno del tutto perso la loro struttura di entità culturale autoctona. Si è tolto loro parecchio, soprattutto sul piano materiale: crisi dell'agricoltura e della pastorizia ormai in completa balia del mercato (capitalistico); crisi del settore estrattivo ed industriale (utilizzato per diverse speculazioni finanziarie ed acculturatrici); eccetera. Il che ha determinato anche la perdita di alcuni valori culturali. Tuttavia la struttura mentale complessiva è ancora irriducibile alla ragion di Stato e del suo capitale. Inoltre, malgrado tutto, le genti sarde si riconoscono, si sentono una sola entità col proprio territorio, e ne detengono il completo controllo. Anche in quelle zone apparentemente "pacificate", sottoposte a servitù militari, la protesta popolare non è mai mancata e le genti sono in perenne lotta per la conquista di sempre più ampi spazi da sottoporre al loro esclusivo controllo (vedi Teulada, paesi del Salto di Quirra, eccetera). Per cui l'ordine che vi regna è assai precario; potrebbe bastare un nonnulla per innescare un processo a catena sconvolgente l'intero assetto militare, politico, economico dell'isola. Processo che si potrebbe prevenire estendendo la presenza militare - cioè il controllo del territorio da parte dello Stato - anche a quelle zone storicamente sotto l'egemonia delle relative popolazioni.

Un tale intervento però richiede la massima cautela. Si tratta di popolazioni in cui è ancora vivo il ricordo del passato (sollevazione contro l'occupazione sempre tentata ma ancora non riuscita). Per cui lo Stato ed i suoi servitori ladri, in vesti diversificate, giocano tutte le carte contemporaneamente. Nasce così la storia del Parco del Gennargentu, presentato come occasione di ricchezza turistica per le popolazioni espropriate delle loro terre, poi quella dei militari turisti ed aggiustatori di strade a penetrazione agraria, oltre che esperti nella lotta agli incendi: il tutto condito con l'illusione di posti di lavoro e di circolazione di ricchezza, di danaro contante. Per questo motivo, anche se le popolazioni detentrici del 75% del territorio su cui dovrebbe istituirsi il Parco hanno detto di no, governo e regione e provincia ed alcuni amministratori comunali hanno invece firmato l'accordo in tutta fretta, strafottendosene dei loro meccanismi democratici e della manifesta volontà contraria delle genti nostre. Il primo passo è stato fatto.

Nello stesso momento, per lavare subito l'onta subita dallo Stato nel sequestro Kassan, poi perché il '93 è ormai alle soglie, si è voluto fare l'altro, determinante, dell'occupazione militare. D'altra parte la crisi dell'agropastorizia è la più sconvolgente di questo secondo dopo-carneficina mondiale. E qui bisogna ricordarsi che circa un quarto degli occupati sardi, sono direttamente attivi in questo settore, la cui crisi è stata determinata dalle scelte politiche, dalle indicazioni colonialiste di Ersat, regione, CEE e Stato. I quali sono direttamente chiamati in causa per il disastroso decremento di reddito subito da contadini ed agricoltori. Chi vantava, anni addietro redditi intorno ai 30-40 milioni l'anno, oggi si ritrova appena 10-12 milioni; chi poteva contare su un reddito annuo di 12-15 milioni oggi se lo vede ridotto a 5-6.

I circa 150 mila disoccupati permanenti, su una popolazione totale che sfiora appena il milione e 600 mila anime, e su appena 750 mila unità di forze di lavoro, rappresentano infine una gigantesca bomba che, unitamente alla crisi di tutti i settori dell'economia isolana, rischia di esplodere da un momento all'altro. In questa situazione la calata massiccia nell'isola del capitale europeo agroalimentare e del turismo, è una irreparabile offesa alla dignità di una nazione che ha dato fin troppa fiducia ai tecnici ed ai politici che hanno promesso da decenni una economia stabile e sicura; come è stato sempre assicurato con gli ormai plurimi piani di rinascita i cui fondi si sono dispersi nelle tasche di svariati politici, petrolieri, impresari di ogni genia e funzionari ladri. Per cui la ribellione sarà cruenta.

Ecco quindi che la presenza dei militari trova una sua più esatta collocazione e funzionalità. Altro che risistemazione di sentieri impervi e lotta agli incendi!!!

Prevedendo la risposta delle genti sarde lo Stato tende una gigantesca trappola: spedisce contro esse a far da scudo schiere di imberbi ragazzotti di leva. Qualunque cosa accada ne trarrà un sicuro profitto. Se le popolazioni sarde, ricattate dal fatto che l'occupazione militare porta danaro - ai mercanti - e trovandosi davanti i coscritti di leva non dovesse rispondere, il gioco è fatto. Se, al contrario, la risposta da parte dei sardi vi sarà - ipotesi fin dall'inizio più plausibile, come s'è dimostrata in pratica - si potrà comunque strumentalizzare il fatto, adducendo che "pochi, isolati criminali" se la prendono con "dei semplici soldatini di leva, del tutto innocui, che fanno il proprio dovere di servire la Patria e sono venuti in Sardegna solo per solidarizzare con la gente". Che si leggano i giornali, si scoprirà ogni sorta di marciume neppure tanto travestito. Pare vi sia in corso una sorta d'appalto fra i lanzichenecchi della penna per chi più riesce a "convincere" i sardi, e gli stessi militari di leva, che si tratta semplicemente di una specie di missione umanitaria.

Ma i militari rompono le palle, qui in Sardegna come in ogni sito. Al di là di chi vi sta dentro una divisa, questo è il simbolo dello Stato non voluto, sopportato ma non accettato.

Rompono le palle perché circolano in territori sacri per le genti sarde, nei loro territori fino ad oggi strappati all'ingordigia dello Stato del capitale.

Se i "soldatini" di leva non hanno avuto sentore quando sono stati spediti nel Golfo in sostegno dell'imperialismo mondiale, a causa della loro incoscienza, qui in Sardegna devono responsabilizzarsi, si devono rendere conto che sono utilizzati, strumentalizzati dallo Stato e dai gerarchi civili e militari a fini di potere. Essi possono, devono rifiutare il ruolo loro assegnato, di carne da macello nella guerra contro le genti sarde. I "soldatini di leva" devono disertare se non vogliono fungere da bersaglio - non voluto - della rivolta popolare.

Ma vi è un compito preciso che anche le genti sarde devono adempiere, per sfuggire alla vile trappola tesa dallo Stato democratico: devono comprendere e ricordarsi sempre che il vero nemico non sono i militari di leva. Almeno fino a quando non si è fatto di tutto per far loro capire le ragioni della nostra radicale opposizione alla presenza dell'esercito; e fino a quando non abbiamo fatto tutto ciò che è materialmente possibile fare per rendere edotti i "soldatini" delle vere ragioni per cui lo Stato li ha spediti nella nostra terra.

Se non si fa questo lavoro, fin da subito, lo Stato ha di già vinto una grossa battaglia, perché si rinforzerà politicamente sul consenso e sulla manipolazione delle coscienze, indicandoci ancora una volta come il male da sconfiggere, responsabile di ogni malanno che grava sulla gobba delle genti proletarie. Verremmo additati come attentatori alla vita di ragazzi incoscienti, che nella loro gran parte sono davvero convinti di essere stati spediti in Sardegna per i motivi che sono stati loro inculcati dai professionisti ladri e dai loro colleghi guerrafondai. Se essi sapranno la verità, potranno decidere da che parte stare e molti di loro li avremmo al nostro fianco, disubbidiranno agli ordini impartiti, rifiuteranno ogni operazione, diserteranno i ranghi loro assegnati.

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Kontras a s'Istadu
Kontras a su kolonialismu
Kontras a s'imperialismu
Kontras a sos militares
Totus pares

[da Anarkiviu - via Melas 24 - Guasila]

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