CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.7

RAF: RISPOSTA A KINKEL

Dichiarazione del 10/4/1992

Pubblichiamo questa dichiarazione della RAF arrivataci pochi giorni prima della chiusura in tipografia del numero perché riteniamo giusto offrire ai compagni che leggono Controinformazione la possibilità di leggere e discutere di questo materiale in tempi reali e non con i tempi della rivista. Noi infatti avremmo preferito pubblicare questa dichiarazione assieme ad altri materiali del movimento tedesco ed internazionale che si stanno esprimendo e che sicuramente si esprimeranno sulle questioni poste dai compagni della RAF, per cercare di offrire un contesto, un quadro di riflessione più completo.

A tutti quelli che sono alla ricerca di strade per poter organizzare e realizzare su istanze estremamente concrete una vita degna di essere vissuta qui e nel mondo.

Questa è anche la nostra ricerca.

Ci sono sul tavolo migliaia di problemi che reclamano una soluzione, se non verranno presto affrontati e risolti porteranno l'intera umanità verso la catastrofe.

Hanno origine dal principio capitalistico secondo il quale solo il profitto e il potere contano e gli uomini e la natura sono ad essi subordinati.

Noi, la RAF, nel 1989 abbiamo iniziato a riflettere maggiormente e a discutere del fatto che, per noi e per tutti quelli che nella RFT hanno una storia nella resistenza, la situazione non può più continuare così. Siamo giunti alla conclusione che si tratta di trovare nuove direttive per una politica che possa realizzare cambiamenti reali per la vita degli uomini oggi e che tolga progressivamente ai potenti la capacità di determinare la realtà della vita. Per questo è necessario rivedere la propria e la comune storia di tutta la resistenza, di riflettere sui nostri errori, sulle esperienze importanti nostre o altrui e che significato queste potranno avere per il futuro.

Punto di partenza era:

1) Una situazione, in cui tutti ci trovavamo, completamente cambiata rispetto al rapporto di forza sul piano mondiale.
Il dissolvimento del sistema degli stati socialisti, la fine della guerra fredda.

Dovevamo affrontare il fatto che l'idea di creare nella lotta comune internazionale uno sfondamento per la liberazione non si è realizzata. Le lotte di liberazione erano nel loro complesso troppo deboli per sopravvivere al dispiegamento su tutti i fronti della guerra imperialista.

La caduta degli stati dell'Est, che aveva la sua origine essenzialmente nelle contraddizioni interne irrisolte, ha conseguenze catastrofiche per milioni di persone in tutto il mondo e ha isolato tutti quelli che nel mondo combattono per la liberazione.

Ma questo ha dimostrato ancor più chiaramente e a tutti che necessariamente le lotte di liberazione possono sviluppare le condizioni autentiche e i loro obiettivi solo a partire dalla coscienza della propria specifica storia di popolo. E solo da questo può nascere una nuova forza internazionale.

Questo è l'apporto di molti compagni del Tricontinente che nei loro paesi hanno trovato e realizzato i primi passi verso una nuova politica - anche noi qui lo faremo. In questo gli siamo debitori.

2) Per quanto ci riguarda direttamente, dovevamo affrontare il fatto che il modo in cui avevamo fatto politica prima del 1989 non ci aveva resi più forti, bensì più deboli. Per diversi motivi non siamo più riusciti ad essere, per le persone qui, quel punto di riferimento che rende possibile l'agire comune.

Abbiamo considerato un errore fondamentale l'esserci avvicinati troppo poco ad altre persone che qui si erano ribellate; e a quelle che non si erano ancora ribellate per niente.

Abbiamo capito che dobbiamo rapportarci agli altri e che non possiamo più continuare a prendere da soli, come guerriglia, tutte le decisioni e far orientare gli altri a noi. E' vero che spesso ci siamo espressi diversamente, ma la realtà era questa.

Avevamo fortemente ridotto la nostra politica agli attacchi contro le strategie degli imperialisti ed è mancata la ricerca di obiettivi immediati in positivo e di conseguenza di come possa iniziare ad esistere un'alternativa della società qui e già ora.

Che ciò è qui possibile, che si può cominciare qualcosa del genere, che lo hanno dimostrato le esperienze di lotta che altri hanno conquistato.

I rapporti che ci legavano ad altre persone erano determinati principalmente dal fatto di realizzare insieme un'azione d'attacco. Per questo non c'era affatto lo spazio perché i loro valori sociali, nella loro quotidianità e insieme a molti, potessero svilupparsi e vivere nella determinazione. Solo così avremmo potuto giungere insieme a una politica che fa sentire a più persone, anche a quelle che vivono al di fuori dei diversi movimenti/ghetti, che la freddezza e l'impotenza nel sistema imperialista non sono un destino, come la violenza della natura, ma smettono dove gli uomini insieme realizzano e cominciano a vivere qui e ora i propri bisogni e la solidarietà.

Conseguentemente a questo avevamo tentato per due anni un processo parallelo di rideterminazione e di interventi concreti.

Noi pensavamo che così avremmo reso possibile, nelle modalità delle nostre azioni e della nostra discussione, un nuovo rapporto per quel che ci riguarda creando le necessarie premesse per una discussione comune e quindi per una prospettiva comune con molte più persone e gruppi.

E' stato un errore trasmettere questo nostro processo non i modo completo bensì solo frammentato riportando solo il risultato della nostra discussione nelle dichiarazioni e nelle lettere.

E anche questa lettera è solo un inizio e prossimamente parleremo di tutto in modo più preciso.

Dopo questi due anni abbiamo capito che non avevamo fatto abbastanza, che così non possiamo aprire lo spazio a tutto quello che noi consideriamo basilare per il momento attuale e per il prossimo futuro: le discussioni comuni necessarie da molto tempo e la costruzione di nessi tra i gruppi e le persone più diverse; là dove essi vivono, partendo dalla loro quotidianità in questa società, da cui per molti scaturisce l'incalzante necessità di prendere la propria situazione nelle proprie mani e di cercare delle soluzioni insieme agli altri.

Noi pensiamo che questi nessi possano diventare la base della forza che noi abbiamo chiamato contropotere dal basso e che in questo senso non esiste ancora. Fintanto che una simile alternativa sociale alla morte e alla disperazione nel sistema non esiste in modo chiaro e tangibile saranno sempre di più quelli che, isolati e senza prospettive, rimarranno da soli sempre più quelli che crepano i eroina o che vengono spinti al suicidio, ecc. e continuerà a succedere anche che sempre più persone si aggregheranno ai fascisti.

Dalle nostre esperienze e dalle discussioni con compagni/e su tutte queste questioni siamo arrivati al punto fermo che la guerriglia in questo processo di ricostruzione non può più essere centrale.

Azioni mortali mirate fatte da noi contro i vertici dello stato e dell'economia non possono al momento far maturare il processo che ora è necessario perché queste determinano un'escalation della situazione per tutto ciò che sta nascendo e per tutti quelli che stanno cercando nuove strade.

La qualità di questi attacchi presuppone una chiarezza sui cambiamenti concreti che possono mettere in moto. Questa chiarezza non può esserci adesso, in un momento in cui per tutti si tratta di trovare se stessi sulla base di nuove condizioni. In questo senso intendiamo anche chi dice che con queste azioni noi a priori ne precludiamo la riuscita.

Abbiamo deciso che ci ritiriamo dall'escalation, questo vuol dire che noi smetteremo gli attacchi ai principali rappresentanti dell'economia e dello stato in funzione del processo che oggi è necessario.

Questo processo di discussioni e di costruzione di un contropotere dal basso comprende per noi, come componente essenziale, la lotta per la libertà dei prigionieri politici.

Dopo 20 anni di trattamento speciale contro i prigionieri, torture e annientamento, adesso si tratta di affermare il loro diritto alla vita, di conquistare con la lotta la loro libertà!

Il ministro della giustizia Kinkel, con la sua dichiarazione di gennaio di liberare alcuni prigionieri incapaci di sopportare la detenzione e alcuni prigionieri in carcere da più tempo, ha palesato per la prima volta in qualità di rappresentante dello stato, che ci sono settori nell'apparato che hanno compreso di non poter affrontare la resistenza e le contraddizioni sociali con mezzi polizieschi-militari.

Per vent'anni hanno puntato all'annientamento dei prigionieri. La dichiarazione di Kinkel ha sollevato la questione se lo stato sia pronto, desistendo dal rapporto di annientamento che ha nei confronti di tutti quelli che lottano per una vita autodeterminata, che non si piegano alla forza del denaro, a formulare e a cambiare i propri interessi e obiettivi in opposizione agli interessi del profitto.

Quindi se lascia lo spazio a soluzioni politiche (e se anche rappresentanti dell'economia fanno pressioni in tal senso sul governo, questo non può che essere un bene).

Osserveremo attentamente quanto serio è il tentativo di Kinkel.

Per il momento non c'è molto da vedere, a parte che Claudia Wannersdorfer è uscita solo alcuni mesi prima di quando comunque sarebbe stata rilasciata. Tutti gli altri incapaci di sopportare la detenzione - Günter Sonnenberg, Bernd Rössner, Isabel Jacob, Ali Jansen - sono ancora dentro. E Irmard Möller dopo 20 anni è ancora in carcere.

Rispetto alle condizioni di detenzione fino ad oggi non ci sono stati miglioramenti.

Due terzi degli interrogatori di Norbert Hofmeier, Bärbel Perau e Thomas Thene sembravano inquisizioni. Angelika Goder viene minacciata con il carcere nonostante la sua malattia.

Nell'annuncio di nuovi processi contro i prigionieri sulla base di dichiarazioni di testimoni chiave si continua ad esprimere il freddo bisogno di vendetta dello stato e l'obiettivo di rinchiudere eternamente in carcere i prigionieri.

Il "Welt" riporta la volontà espressa dal ministero di giustizia di Stoccarda di continuare con l'annientamento: se fosse per loro, nel caso di Günter, che viene tenuto in prigione nonostante sia incapace di sopportare la detenzione da 15 anni, si potrebbe pensare alla sua liberazione solo se lui si sottomette, senza opporre resistenza, alle vessazioni inflittegli nel carcere.

"Prigioniero irriducibile" perché solidale e perché continua ad avere a che fare con i suoi amici. Così loro lavorano per ostacolare la sua liberazione.

Tutto questo è in netto contrasto con il fatto che da parte dello stato sta realmente iniziando ad affermarsi un altro atteggiamento.

I prigionieri incapaci di sopportare la detenzione e quelli che stanno dentro da più tempo devono essere liberati subito e tutti gli altri devono essere raggruppati fino alla scarcerazione!

E' una verifica cruciale se nei prossimi tempi qualcosa si muoverà in tale direzione; da ciò ognuno/a potrà vedere in quale direzione volge la situazione; se si afferma nell'apparato la frazione che capisce che bisogna iniziare a fare concessioni per arrivare a soluzioni politiche oppure se si affermano quelli per la linea della fermezza.

Questo non si vedrà solamente nell'atteggiamento dello stato nei confronti dei prigionieri politici. Ci sono anche altri punti centrali nei quali queste verifiche saranno immediatamente visibili. Là dove le lotte sono già così avanzate da aver conquistato uno spazio, si chiarirà più rapidamente quanto accettino soluzioni politiche oppure puntino alla guerra.

Ad esempio se continuano a rendere difficile alla gente della Hafenstraße dopo 10 anni di lotta il loro diritto a vivere.

Ma nel lungo periodo si tratta di molte altre questioni:

- Ci sono lotte dei prigionieri comuni contro la detenzione speciale e soprattutto contro le condizioni inumane del carcere. Non può quindi succedere che i prigionieri politici escano dai braccetti speciali e che poi altri ci entrino.
Tutti i braccetti speciali devono essere chiusi!

- Ci sono lotte per i centri sociali, per vite e spazi comuni che oggi qui non si possono avere.

- Si mostrerà in che misura le persone della ex DDR dovranno continuare ad essere spremute quali oggetti privi di volontà nel processo di rapido adeguamento al sistema capitalistico, oppure se si potranno conquistare lo spazio per determinare da soli il proprio sviluppo.

- E' un'importante questione quanto a lungo ancora lo stato potrà alimentare il razzismo contro i profughi e potrà trattarli come "sottouomini", per allontanare da sé e dall'economia la responsabiklità per la disoccupazione, la carenza di case, la povertà degli anziani, ecc. E per quanto tempo ancora potrà ricacciare questi uomini nella povertà che lui stesso continua a produrre.

- E' una realtà ormai da molto tempo che gli sbirri proteggono i fascisti e che reprimono duramente gli antifascisti, che perseguitano a morte i manifestanti, come Conny Wissmann, che gli sparano come è successo un paio di mesi fa a Francoforte e che torturano i profughi con l'elettroshoc.

- E' la questione se i soldati tedeschi marceranno nuovamente contro altri popoli e per quanto tempo ancora i regimi fascisti potranno massacrare le popolazioni con le armi e con l'appoggio dello stato tedesco.

Soprattutto perché rispetto a tutte queste questioni - e logicamente non sono tutte - si potranno sviluppare delle lotte nella società, si deciderà in che misura qui si potrà conquistare lo spazio per delle soluzioni politiche.

Da soli non decideranno mai di retrocedere su nessun punto, per questo saranno sempre necessarie la pressione della società e delle lotte in appoggio alle nostre richieste.

Abbiamo intrapreso di nostra iniziativa, ritirandoci dall'escalation nello scontro, un passo per lasciare aperto questo spazio politico.

Adesso dipende dallo stato come si comporterà; e siccome questo oggi non lo sa ancora nessuno, vogliamo proteggere il processo di discussione e di costruzione.

Se quelli che hanno nelle loro mani questo processo distruggeranno tutto con la brutale repressione e con l'annientamento, quindi continueranno nella loro guerra contro la gente, allora finirà per noi la fase del ritiro dall'escalation - non staremo a guardare senza fare niente.

Se non lasciano vivere noi, quindi tutti coloro che lottano per una società umana, allora devono sapere che neppure le loro élites possono vivere.

Anche se non è questo il nostro interesse: alla guerra si può rispondere solo con la guerra.

10/4/1992

R.A.F.

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