CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.7

ROMA: PROCESSO MORO TER

Dichiarazione dall'aula bunker del Foro Italico - Susanna Berardi, Vittorio Bolognese, Lorenzo Calzone, Luciano Farina, Natalia Ligas, Giovanni Senzani, del Collettivo Comunista Prigionieri Wotta Sitta

Cari compagni e compagne,

parlare di questo processo, e del perché siamo qui, nel bunker del Foro Italico, può avere senso solo se si colloca tutto ciò nel contesto dello scontro che noi, come tutti i rivoluzionari, viviamo attualmente qui in Italia e nel resto d'Europa.

Il processo di appello Moro-ter, infatti, di per sé viene fatto apparire come una semplice formalità burocratica, da liquidare velocemente e senza troppa pubblicità, e dove ciò che la borghesia pretende di processare -la guerriglia- non deve apparire come soggetto politico. In realtà, l'iniziativa politico-militare delle Brigate Rosse negli ultimi 20 anni, con in primo piano l'attacco alla politica di "solidarietà nazionale" nel 1978, ed il suo affossamento con la Campagna di Primavera e il sequestro Moro, ha aperto profonde e laceranti contraddizioni all'interno degli assetti di potere dello Stato italiano e dell'intero arco di forze della borghesia imperialista, dai partiti di governo a quelli subalterni riformisti. Contraddizioni che rimangono ancora irrisolte.

Questo scontro "tra corpi dello Stato" perdura tuttora e determina tanto una serie di "regolamenti di conti" interni alla borghesia, quanto un tentativo di manipolare e riscrivere l'esperienza della lotta armata e dell'insieme della lotta di classe, per pesare sul futuro del movimento rivoluzionario. Questo processo non è che il prodotto della strategia controrivoluzionaria che per tutti gli anni 80 ha usato "i processi alla lotta armata" come parte di un azione di depoliticizzazione del movimento rivoluzionario e come tentativo di ridurre la guerriglia a puro fenomeno criminale, contro i nuovi percorsi di lotta e di formazione della coscienza di classe. Lo stesso processo di 1° grado del Moro-ter, conclusosi nel 1988, è stato un esempio molto chiarificante di questa strategia, con l'avvio del progetto di "soluzione politica della lotta armata" da parte di alcuni settori dello Stato, con l'attiva collaborazione del ceto politico ex-combattente. Come sia andata a finire lo sappiamo bene tutti.

Oggi, dopo 3 anni, i termini della questione sono molto cambiati. La "soluzione politica", la "chiusura di un ciclo", "la fine dell'emergenza", sono ormai progetti organici al processo di rifondazione dello Stato ed alla strategia controrivoluzionaria preventiva della borghesia imperialista. E' l'esecutivo a gestire direttamente questa politica, e tutto il campionario di ex-rivoluzionari che anni fa iniziò il suo cammino verso lo Stato, oggi è diventato strumento dei partiti e delle loro correnti, dei media e della fauna riformista. Limoni spremuti alla mercé delle lotte di potere tra fazioni borghesi...

Tutto il polverone mass-mediato della scorsa estate intorno alla "grazia a Curcio", pur con il suo epilogo grottesco, è sintomatico del rapporto che oggi esiste tra la "questione della lotta armata" e le necessità del processo di rifondazione dello Stato in Italia, in questa congiuntura.

Cossiga, "il Presidente", al di là delle sue sparate eccentriche, ha posto una questione molto concreta per la borghesia: la necessità di chiudere una fase precisa dello scontro politico-sociale in Italia, mettendo sullo stesso piatto la legittimazione dell'attività infame della "Gladio" e dello stragismo, e la clemenza verso qualche cosiddetto "capo della lotta armata" ridotto alla "ragione", per creare consenso e pacificazione di massa attorno ad un nuovo patto politico e sociale, con tutte le "forze della società civile". Un sogno poco realizzabile a quanto pare, vista la vera e propria guerra che tutto ciò ha scatenato nel sistema dei partiti e tra le varie consorterie borghesi.

Per i comunisti, tutto ciò si è comunque tradotto in un ennesimo attacco politico all'esperienza della guerriglia, ai prigionieri rivoluzionari e alla lotta di classe in generale. Un attacco che da tempo è generalizzato a livello continentale e che con l'apporto di media, intellettuali borghesi ed esponenti del riformismo putrefatto, tenta di inscrivere il percorso della lotta armata, e dei movimenti comunisti europeo-occidentali, nel quadro del crollo del sistema politico dei Paesi dell'Est e dell'Unione sovietica, negando il processo di autonomia di classe entro cui la guerriglia stessa si è sviluppata.

Non a caso l'operazione di "soluzione politica", lanciata anni fa in Italia, ha trovato spazio anche in RFT, sfruttando l'arresto di ex militanti RAF, da tempo fuori dell'organizzazione e sistemati legalmente nella ex DDR, per cercare di lanciare, con la loro attiva collaborazione, un pesante attacco all'intera esperienza di quella organizzazione. Il modello propagandato dall'imperialismo, in RFT e in tutta l'Europa, è quello di "un terrorismo importato e teleguidato dall'Est". L'obiettivo è seppellire con il cosiddetto "crollo del comunismo" le contraddizioni di classe, la storia del movimento comunista e le sue potenzialità attuali!

Tutta questa propaganda della borghesia imperialista contro i movimenti rivoluzionari di tutta Europa, non è che una delle manifestazioni della crisi economica e politica e del momento cruciale che tutti gli Stati europeo-occidentali stanno attraversando. In Italia, la crisi complessiva del sistema economico, politico e sociale, è il dato dominante degli ultimi anni. La forte crescita del sistema produttivo nel corso degli anni 80, ha finito per sconvolgere gli equilibri politico-sociali consolidati in 40 anni di governo democristiano, e non è stata seguita dal necessario riadeguamento dell'assetto istituzionale. La crescita dell'economia italiana è avvenuta a spese del proletariato e delle fasce sociali più deboli, in quanto ogni risorsa è stata canalizzata in funzione dello sviluppo dei monopoli multinazionali italiani, verso l'interno e verso l'esterno: Europa, area Mediterraneo-Mediorientale e America Latina. Questa "Italia dei monopoli" che ha visto multinazionali come la FIAT ingigantire i loro profitti e le loro aree di mercato per reggere la concorrenza degli altri monopoli nel mondo, ha moltiplicato le contraddizioni all'interno degli stessi settori della borghesia. La "svolta neoliberista", trainata dai grandi monopoli e dagli Stati, e ormai consolidata in tutti i Paesi occidentali, ha pressoché liquidato tutta la struttura del welfare state anche in Italia. In pochi anni si è mangiato tutte le conquiste della classe operaia e del proletariato degli anni 60/70, ma allo stesso tempo ha fatto saltare quegli equilibri che avevano permesso il consolidamento del potere democristiano e il ruolo dei grandi partiti riformisti e dei sindacati come stabilizzatori delle tensioni sociali. Oggi, di fronte all'incalzare della recessione, assistiamo al manifestarsi di tendenze sempre più contrastanti: i trust dell'industria privata premono perché venga riconosciuto il loro maggiore peso nell'economia e venga sostanzialmente liquidata l'industria pubblica; il formarsi di "leghe" e schieramenti politici locali e regionali, mostra ai partiti - di governo e non - lo spettro della disgregazione del sistema politico nazionale; il salto nella divaricazione tra sviluppo e sottosviluppo tra il Nord e il Sud d'Italia, sta velocemente diventando un problema politico-sociale di enormi proporzioni, che l'esecutivo oggi affronta in termini di "lotta alla criminalità organizzata".

Per altri versi il sistema politico-istituzionale, di fronte alle necessità e compiti imposti dalla crisi economica e dal ruolo internazionale che oggi l'Italia occupa, appare sempre più come una gabbia che impedisce agli strateghi della borghesia di determinare decisioni politiche in tempi rapidi, per dare quello "scossone" di cui, secondo i vari Carli, Romiti e soci, il "sistema Italia" avrebbe bisogno, in concreto: licenziamenti di massa, attacco al salario, abbassamento del costo del lavoro, taglio della spesa pubblica, privatizzazioni. . . In questo contesto vanno collocati tutti quei progetti ed iniziative di riforme istituzionali (dalla riforma del sistema parlamentare e la proposta dello sbarramento elettorale al 5%, alla centralizzazione politica di ministeri ed altre strutture dello Stato, alla riforma delle regioni, alla ristrutturazione degli apparati di polizia e della magistratura.) che stanno delineando il processo di rifondazione dello Stato. Tutto il fumoso dibattito borghese sulla cosiddetta "seconda Repubblica" non è che la manifestazione esteriore di un processo in atto di riarticolazione del sistema di potere borghese e una strutturazione autoritaria della "democrazia" che possa permettere al potere politico di governare senza consenso e di guidare l'integrazione dell'Italia nella "Grande Europa" e nel "nuovo ordine mondiale" che l'imperialismo vuole imporre.

Il duro scontro che oggi il proletariato sta affrontando qui, in ogni realtà di classe, è in atto da tempo in tutti i Paesi dell'Europa Occidentale. La costruzione della "Grande Europa", il progetto di integrazione economico-politica con al centro la "Grande Germania", è la dinamica che attualmente determina le principali decisioni, in ogni Stato e realtà specifica in campo politico, militare, economico e sociale. Gli Stati nazionali vedono un progressivo spostamento di funzioni-cardine del potere politico verso l'ambito "sovranazionale" della CEE e stiamo assistendo ad un complesso processo di riformulazione della forma-Stato. Le politiche economiche, la politica estera, la politica di "difesa e sicurezza", sono sempre più sottoposte ad una centralizzazione/integrazione a livello europeo, nel quadro più generale della ridefinizione imperialista degli equilibri di potere nel mondo.

L'Europa si muove sempre più come un'entità politica unitaria, che, pur con le molte contraddizioni di interessi che dividono i singoli Stati, partecipa da protagonista alla costruzione del "nuovo ordine mondiale" trainata dagli USA.

Lo si è visto con la partecipazione europea alla coalizione occidentale che ha portato la guerra nel Golfo, e nell'attivazione europea nel successivo tentativo di pacificazione e strangolamento della lotta di liberazione Palestinese concretizzatosi nella Conferenza di Madrid; nel protagonismo europeo rispetto al controllo dei processi di disgregazione in atto in Jugoslavia. Infine nel nuovo ruolo, e peso politico e militare europeo, a fianco degli USA, nella NATO, che il vertice di Roma ha deciso di rilanciare come struttura cardine del sistema di dominio planetario dell'imperialismo, dopo la fine del Patto di Varsavia e del "Bipolarismo", e di fronte al rischio di disgregazione della "ex superpotenza" URSS...

Questo processo, attraversato da molte contraddizioni ma inarrestabile, vede al centro la borghesia imperialista europea e sta producendo una nuova configurazione della formazione economico-sociale europea, in cui le politiche di sfruttamento e di repressione del proletariato vengono inasprite nell'intero territorio continentale, e vengono proiettate sempre più sui proletari e sui popoli che premono alla frontiera della "Fortezza Europa", o che vengono sfruttati dai monopoli europei direttamente nelle varie aree del Tricontinente. Questa spinta antiproletaria, si traduce in una forte pressione verso il movimento rivoluzionario e le lotte di liberazione dei popoli, intensificando i processi di integrazione e centralizzazione della strategia controrivoluzionaria in Europa (dall'attività del Gruppo Trevi agli accordi di Schengen). Un nuovo "tallone di ferro" che opprime sempre più l'intero proletariato, dalla classe operaia agli strati marginalizzati extracomunitari, in ogni paese europeo. Anche in Italia non c'è situazione di classe che non abbia sperimentato su se stessa questa stretta repressiva: dai posti di lavoro in fabbrica alle scuole, ai centri sociali, ai quartieri, dove ormai domina il "nuovo razzismo".

Le condizioni in cui ci dobbiamo muovere, per ricostruire e rafforzare la prospettiva rivoluzionaria sono dunque molto difficili. Ci troviamo di fronte ad una controrivoluzione che interviene su molti piani e a livello preventivo, alimentandosi dell'offensiva ideologica borghese e del contributo del blocco riformista, ormai parte integrante dello Stato. Questo però non significa certo che i comunisti e i proletari antagonisti, debbano fare della difensiva, o della subalternità alle attuali "difficili condizioni" il loro orizzonte di riferimento. Ciò significherebbe annegarci dentro. D'altra parte, l'opera di spoliticizzazione e di desertificazione sociale e politica svolta dalla borghesia per tutti gli anni 80, non ha prodotto quell'azzeramento delle coscienze e dell'antagonismo che essa si illudeva di ottenere. I processi di lotta e di auto-organizzazione proletaria non sono in realtà mai cessati, e nei momenti di scontro più importanti (come durante la guerra nel Golfo) l'opposizione di classe e l'iniziativa rivoluzionaria si sono fatte sentire. Dalle manifestazioni di massa in tutta Europa e nell'area Mediterranea, alle azioni della guerriglia, in RFT, in Inghilterra, Grecia, Turchia. La guerra imperialista non ha ridotto al silenzio i movimenti rivoluzionari. Certamente non intendiamo fare del trionfalismo, perché lo scenario attuale è dominato dall'offensiva della controrivoluzione. La possibilità di uscire dalla lunga fase di crisi soggettiva e di debolezza politica del movimento rivoluzionario in Italia, è legata indubbiamente ad un processo complesso e di lungo periodo, che ponga al centro la ricostruzione dell'avanguardia e di una reale prospettiva rivoluzionaria, adeguata allo scontro di questa epoca. Tuttavia pensiamo che ci siano oggi le condizioni perché questo processo di ricostruzione rivoluzionaria si rafforzi. A partire dai punti di avanzamento sedimentati dall'esperienza rivoluzionaria e dai contenuti che scaturiscono dalle nuove lotte antagoniste qui e in tutta Europa.

Il tessuto di lotta e comunicazione rivoluzionaria che si sta significativamente costruendo, qui in Italia come in tutta Europa, in una dimensione internazionale dello scontro e dei processi rivoluzionari, trova nelle lotte contro il "nuovo ordine mondiale" imperialista il suo principale catalizzatore.

Le pratiche e le scadenze di lotta internazionale, che il movimento antagonista e rivoluzionario sta realizzando e intensificando attorno al 1992 - e alla celebrazione della "Grande Europa" che ha il suo culmine nel prossimo vertice economico del G-7 a Monaco - e contro le celebrazioni del Cinquecentenario della conquista dell'America, sono un importante terreno di avanzamento per le forze rivoluzionarie e per il movimento di classe nel suo insieme. Sono concreti momenti di realizzazione di un nuovo internazionalismo che unisce le lotte nei centri imperialisti e le lotte nei Paesi del Tricontinente contro l'imperialismo.

Noi vogliamo stare dentro questa dimensione di scontro e di lotta con la nostra lotta di prigionieri qui e in unità con i prigionieri rivoluzionari nelle altre carceri dell'Europa, dell'area Mediterraneo-Mediorientale e del mondo.

Cari compagne e compagni, potete dunque comprendere come tutto il persistente lavorio riformista e resaiolo, per impostare "soluzioni politiche", "trattative", "riconciliazioni sociali", svolto attorno a questo e ad altri processi, ed in genere attorno ai prigionieri rivoluzionari, ad opera di vecchi arnesi della ex sinistra decotta, o dai partiti e giornali "democratici", non abbiano alcuna possibilità di costituire interesse o prospettiva, se non per gli zombies ex combattenti e gente simile. E' soltanto il distillato velenoso della controrivoluzione imperialista! Con questa consapevolezza, e guardando ai problemi reali che il processo rivoluzionario ha di fronte oggi, noi sviluppiamo la nostra militanza in carcere e nei processi.

Un saluto comunista da tutti noi.

Roma, 11/11/91

Susanna Berardi, Vittorio Bolognese, Lorenzo Calzone,
Luciano Farina, Natalia Ligas, Giovanni Senzani

del Collettivo Comunista Prigionieri Wotta Sitta

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