CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.7

ACHTUNG BANDITEN

A Bologna, dopo gli sgomberi delle case e dei centri sociali occupati, un processo per "associazione a delinquere" contro il movimento di lotta - Comitato Occupanti e Senza Casa

Il 9 marzo scorso, a termine di un'inchiesta avviata un anno fa da Digos e magistratura bolognese, sono stati rinviati a giudizio 11 compagni del Comitato Occupanti e Senza Casa: l'accusa è di associazione ed istigazione a delinquere finalizzata all'occupazione di case. Il processo si terrà il 1 giugno al tribunale di Bologna; la nostra proposta è quella di costruire una giornata di lotta con una manifestazione e un'assemblea di movimento per il 30 maggio.

La nostra tensione è quella di dare la giusta collocazione a questo processo quale elemento di una strategia ben più ampia di criminalizzazione dell'antagonismo sociale, sempre più necessaria per il capitale in un momento di crisi economica e di ridefinizione degli assetti di potere a livello europeo.

Il nostro obiettivo non è dunque quello di limitarci a costruire una campagna sul processo, ma quello di stimolare un confronto sulla attuale fase economica e politica e sugli elementi che il comando utilizza per farvi fronte.

Contro la città dei padroni

L'esperienza ormai triennale del Comitato Occupanti e Senza Casa si sviluppa in un momento in cui in questa città prende forma il progetto di "Bologna metropoli" che, secondo i nostri amministratori, dovrebbe portare la città ai primi posti nella classifica della metropoli europee più avanzate.

Di fatto dietro a questo progetto si nasconde una ristrutturazione che pesa totalmente sulle spalle dei proletari, deportati sempre più in periferia allo scopo di lasciare il centro completamente in mano ai grandi strozzini della finanza e agli speculatori (magari multinazionali).

Anche i quartieri della prima periferia, storicamente popolari, vedono diminuire la loro densità abitativa: aumentano gli edifici vuoti destinati ad essere abbattuti allo scopo di costruire i futuri centri del cosiddetto terziario avanzato contornati di parcheggi o altri "servizi" (l'esempio più eclatante è rappresentato dal quartiere della Bolognina). Le grosse imprese edilizie hanno così potuto estendere le loro sporche operazioni speculative anche in zone dell'interland costruendo interi quartieri dormitorio.

Lo "sviluppo" c'è chi lo usa per arricchirsi e chi lo paga sulla propria pelle. Il progetto della città metropoli, fatta di poli tecnologici, direzionali e commerciali, è in netta contrapposizione con gli interessi e il soddisfacimento dei bisogni della stragrande maggioranza della popolazione urbana. La stessa logica di gestione del patrimonio abitativo pubblico lo dimostra. Gli alloggi pubblici, specialmente nelle zone più interessate da progetti di "sviluppo", molto spesso restano vuoti per diversi anni. Intere palazzine lasciate completamente al degrado smentiscono tutte le affermazioni che i vari assessori interessati hanno propinato come risposte tranquillizzanti.

Sempre di più ed in maniera sempre più estesa, gli avvoltoi hanno avuto di che sfamarsi. L'unica logica che Comune e IACP riescono a considerare è quella di produttivizzare/privatizzare il patrimonio pubblico. Dicevano che le case non erano abbastanza, che non c'erano soldi per ristrutturare e costruire e intanto investivano in pochi alloggi per ceti medio-alti da vendere all'asta sulla base di 4 milioni al metro quadro.

In realtà le case c'erano e ci sono ancora: il problema è che vengono lasciate vuote per destinarle ad usi diversi da quello abitativo. Liste d'attesa lunghe anni condizionano l'accesso al patrimonio abitativo pubblico attraverso una suddivisione degli "utenti" in disgraziati al 100%, al 50% o al 10%. Per avere un alloggio si è spesso costretti ad andare personalmente (magari con una bustarella) a chiedere per favore un diritto di cui non si dispone. I nostri amministratori Sassi (assessore alla speculazione edilizia), Mazzuccato (presidente dello IACP) e tutti quelli che gli stanno intorno, si comportano come se quel patrimonio fosse di loro personale proprietà. Hanno dimenticato che questi alloggi pubblici, in quanto tali, sono della comunità e come tali devono essere messi a sua disposizione. I lavoratori che oggi comperano la casa al mercato dell'usato del Comune e dello IACP la pagano per la seconda volta, dopo aver versato per anni i famigerati contributi Gescal.

Senza casa mai più!

L'occupazione in questo contesto non è stato altro che l'unico modo per rispondere ad una necessità: la casa. Le condizioni del mercato pubblico e privato della casa hanno costretto centinaia di famiglie proletarie a diventare dei "delinquenti comuni", cioè occupanti.

Il Comitato Occupanti e Senza Casa nasce per dare un'espressione politica a questa realtà. Rappresenta un momento di confronto e di dibattito tra gli occupanti e tra questi e le altre situazioni di lotta sulla casa per fare il punto sulle diverse situazioni di occupazione, sulle iniziative sviluppate nei quartieri dai vari organismi di lotta (inquilini, occupanti, abusivi...). Il Comitato Occupanti e Senza Casa non ha mai avuto la semplice finalità di occupare le case, ma quella di aggregare diversi settori di classe per contrastare con la lotta e l'iniziativa diretta i piani di sviluppo che stravolgono l'assetto urbano rimodellandolo esclusivamente su meccanismi di valorizzazione del capitale.

Il comitato non è quindi né una struttura sindacale (tipo Unione Inquilini...), né un'associazione di occupanti, ma una struttura composta da compagni e proletari tesi a dare uno sbocco politico e di classe alla propria iniziativa.

È esattamente per questo che il Comitato occupanti e Senza Casa si è scontrato, e duramente, con la mafia revisionista e bottegaia bolognese che non solo ha gestito decine e decine di sgomberi con la forza pubblica, ma ha anche voluto mettere sotto processo la lotta per la casa.

Achtung banditen!

Per i revisionisti bolognesi, dunque, non è criminale costringere migliaia di persone in mezzo ad una strada per valorizzare la proprietà fondiaria urbana, non è illegale frodare con i cosiddetti "usi foresteria" una legge già di per sé truffaldina come è quella del cosiddetto "equo canone", non è antieconomico svendere 20 mila alloggi pubblici per costruirne 5 mila, non è inefficienza aver perseguito una politica degli alloggi che ha portato ad una situazione abitativa drammatica in un paese dove il 65% delle famiglie è proprietario di una abitazione.

È criminale, invece, voler dare espressione politica alla realtà conflittuale che questa situazione determina (dalle lotte degli occupanti a quelle degli inquilini contro le varie leggi truffa sullo Iacp...), questa è una vera associazione a delinquere, questa è una vera istigazione a delinquere!

Il processo del 1 giugno sarà un vero e proprio processo politico organizzato, pensato e gestito dal PDS locale troppe volte screditato dal Comitato occupanti di fronte a lavoratori e famiglie bolognesi per la propria politica liberista e speculativa nel settore casa.

La costituzione di parte civile in giudizio del Comune di Bologna e dello IACP dimostra che nell'unica regione in cui il PDS governa, esso non perde occasione per farsi paladino di una politica di repressione pesante delle lotte sociali anche e soprattutto sul piano penale, spalleggiato com'è, del resto, dalla magistratura, specie quella "democratica", che sembra seguire fedelmente la corrente.

Consideriamo a questo punto necessario entrare nel merito dell'accusa infamante di "associazione ed istigazione a delinquere" con cui la Digos, la PM Iolanda Ricchi, gli avvocati del Comune e dello IACP tentano di criminalizzare chi ha dato espressione politica a questa realtà conflittuale.

Nella "città più libera del mondo", agire politicamente la questione della casa contro la gestione mafiosa e speculativa del patrimonio edilizio pubblico e privato è cosa da delinquenti comuni, da banditi, da teppisti... L'anima repressiva del revisionismo picista non ha avuto evidentemente problemi a riprodursi nel nuovo partito "democratico e di sinistra" di Imbeni e di Occhetto.

In bilico fra quest'eredità reazionaria e repressiva e il proprio nuovo corso liberaldemocratico, l'intellighenzia revisionista tenta oggi di glissare sulla questione della criminalizzazione delle strutture di massa e cade nel ridicolo specificando (nell'udienza di rinvio a giudizio) che non si vuole criminalizzare la struttura di massa, il Comitato Occupanti e Senza Casa, ma soltanto mettere sotto accusa i compagni che vi hanno partecipato.

Un sofismo, questo, elaborato dalla Digos bolognese, sempre pronta a vedere dovunque infiltrati di fantomatiche "guerriglie metropolitane" e prontamente ripreso dal PM Iolanda Ricchi che ha ritenuto sufficiente sottoscrivere i rapporti di polizia per trasformarli in atti di accusa.

Noi crediamo che in realtà questo sia un vero e proprio processo al Comitato Occupanti e Senza Casa e che i distinguo riportati sopra siano semplicemente il riflesso della linea politica del PDS di Bologna esplicitamente migliorista, ma che allo stesso tempo tenta di non uscire allo scoperto dichiarando pubblicamente le proprie scelte antiproletarie.

Gli avvocati di parte civile Gamberini e Trombetti, sciacalli di un garantismo su cui hanno costruito le proprie fortune e posizioni di privilegio, hanno rispolverato le più forcaiole posizioni di giurisprudenza e dottrina penale: occupare è sempre reato, per il "previo accordo associativo" bastano quattro chiacchiere al bar...

A ciò "applaudendo", il "democratico" GIP Adriana Scaramuzzino ha rinviato a giudizio e fissato l'udienza in tempi brevissimi (meno di tre mesi) scusandosi pubblicamente con i rappresentanti dell'accusa per non aver potuto fare di meglio dovendo comunque rispettare i tempi di notifica.

La lotta di classe non si processa!

Questo processo è un chiaro riflesso del quadro politico repressivo che si sta sviluppando con l'unificazione europea e gli accordi del gruppo T.R.E.V.I. (Terrorismo, Radicalismo, Eversione, Violenza Internazionale) composto dai ministri degli interni dei governi CEE. Una ristrutturazione repressiva e una collaborazione internazionale, mirate al controllo sociale e politico attraverso gli apparati polizieschi e militari di ogni singolo paese, che si sono date come obiettivo quello di chiudere politicamente e militarmente, a livello europeo e prima del 1993, tutte le situazioni di occupazione di case e di spazi in quanto potenziali "focolai di sovversione".

Nello specifico italiano, caratterizzato da percorsi di lotta di massa come le decine di migliaia di occupazioni di Napoli, Bari, Roma, questo obiettivo è principalmente politico e passa soprattutto attraverso la differenziazione e i ricatti agiti nel corpo della classe.

Per questo Bologna è diventata una specie di laboratorio privilegiato di quest'operazione: spetta al partito ex revisionista-migliorista, per la sua lunga tradizione di "partito dello stato nella classe", il compito di sperimentare l'attualizzazione di queste direttive, anche se sotto l'attenta supervisione di personaggi come il prefetto speciale Sica e il responsabile della Digos De Gregori, reduce dei NOCS.

Per questo l'operazione che l'amministrazione cittadina tenta di far passare è, a nostro avviso, di estrema gravità: essa è mirata a ricattare ogni forma di autorganizzazione esterna alle istituzioni, attraverso un'accusa di associazione a delinquere che potrebbe essere cucita addosso anche ad un gruppo di lavoratori che tra i suoi scopi avesse quello di organizzare dei picchetti, considerati giuridicamente illegali.

Questo in una situazione in cui, anche se con metodi diversi, aumentano i tentativi di reprimere ogni forma di lotta: pensiamo ad esempio alla proposte di predisporre una disciplina legislativa sulla rappresentatività sindacale, o alla emanazione della legge sulla regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici "essenziali" o, infine, alle continue precettazioni prefettizie, volte ad impedire "ab origine" il ricorso al conflitto. Questo ed altro ancora (taglio della scala mobile, contenimento del costo del lavoro, ecc.) è il risultato della politica di cogestione del sindacato che, dissociatosi ormai dalla classe lavoratrice, si mostra sempre più funzionale agli interessi del padronato "concertando" con quest'ultimo i nuovi margini di sfruttamento della forza lavoro.

Tutto questo non passa solo attraverso l'uso repressivo "classico" di polizia e codice penale, ma soprattutto attraverso meccanismi di differenziazione e di "trattamento individuale" finalizzati alla disgregazione, al non riconoscimento e alla delegittimazione delle situazioni di lotta rivoluzionarie e realmente antagoniste alle scelte padronali. Un esempio chiaro di questi meccanismi lo si è avuto il 17 dicembre del 1991 con l'arresto di 5 compagni del Comitato Occupanti e Senza Casa e della redazione di Controinformazione Internazionale accusati di appartenere ad una "banda armata" e "di cavalcare il disagio degli immigrati e degli sfrattati".

Dopo il fallimento di questa montatura la stessa logica repressiva si esplicita in questo processo per "associazione a delinquere": una condanna (che sarebbe, se non sbagliamo, la prima di questo tipo nella storia della lotta di classe nella Repubblica italiana) si porrebbe come un monito nei confronti di ogni situazione di classe per costringerla nei confini angusti di un'iniziativa esclusivamente sindacale, o della sola gestione della propria marginalità, demonizzando ogni rivendicazione rivoluzionaria, ogni tensione a costruire, con la lotta, un percorso reale di liberazione proletaria.

Tornando a noi, ci sembra comunque inutile insistere sull'ipocrisia del delirio accusatorio sollevato a carico del Comitato occupanti dalla locale nomenclatura e magistratura "garantista". Ci interessa invece sottolineare che le forze politiche governative locali e/o centrali che intendono qualificare i soggetti dell'opposizione politica di classe come "associazioni di malfattori" finiscono per fare le mosche cocchiere del processo di esecutivizzazione del sistema democratico borghese italiano. È allora un equilibrismo politico indegno cercare consenso facendo appello alla società civile contro il pericolo di svolte autoritarie, mentre si lavora alla caratterizzazione dello stato nella sua pura essenza di macchina militare e burocratica, dello stato come potere politico contrapposto alla società civile.

COSTRUIAMO UNA MANIFESTAZIONE A BOLOGNA PER IL 30 MAGGIO 1992

Comitato Occupanti e Senza Casa

[torna all'inizio della pagina]