CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.7

LA NOSTRA SCELTA

Un articolo di Al-Hadaf, organo in lingua araba del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina

La rivoluzione armata palestinese ha inizio nel 1965; in seguito all'invasione del Giugno 1967 il livello armato e di massa della rivolta si innalza ulteriormente, come risposta logica e scientifica all'incapacità delle borghesie arabe di reagire all'invasione dell'esercito sionista; è questa incapacità che spiega la sconfitta del programma politico, della natura di classe e delle strutture organizzate di quelle borghesie. In questa incapacità, inoltre, sono contenute le ragioni dell'aggregazione di massa del popolo palestinese (e del popolo arabo in generale) attorno a un soggetto politico il cui metodo e la cui strategia nascevano dall'esperienza delle guerre di liberazione popolare di lunga durata contro lo stato sionista ed i suoi alleati imperialisti. I regimi arabi borghesi non hanno avuto altra scelta che accettare le nuove condizioni e collaborare con la nuova realtà, magari con l'intento di neutralizzarla e di bloccarla dall'interno; è questo il caso del regime giordano nel periodo che va dal '68 al '70 e che è culminato nel massacro del Settembre Nero e in quello dei boschi di Giarasch. Così facendo i regimi arabi avevano messo un'ipoteca sulla rivoluzione arabo-palestinese, che a quel punto si è vista costretta a trasferire in Libano (in particolare nel Sud) la parte principale delle sue forze. Il Libano meridionale è divenuto così il secondo punto di appoggio della rivoluzione contro il nemico sionista.

Le forze della rivoluzione palestinese sono riuscite ad attrarre verso i confini palestinesi questo "fronte del nord" anche grazie ad operazioni militari riuscite all'interno dei territori occupati. E' stato questo fatto a preoccupare i nemici del popolo arabo i quali, di fronte ai nuovi pericoli, hanno cominciato a lavorare con l'intenzione di distruggere il "fucile" palestinese e quello nazional-libanese. Molti sono stati gli scontri col regime revisionista libanese: nel '69, nel Maggio del '70, ancora nel Maggio del '73 e durante la guerra civile del '75 che si è protratta per alcuni anni. Questi scontri erano voluti e diretti dal regime libanese e dalle milizie separatiste di Haddad ed hanno determinato l'aumento della presenza sionista nell'area, mirante ad impedire lo sviluppo della rivoluzione e a bloccarne il sistema di alleanze.

Dal 1969 in avanti il nemico sionista ha adottato il metodo della "guerra difensiva" aggredendo le basi della rivoluzione palestinese con attacchi aerei, incursioni dal mare e, infine, con l'esercito che andava ammassandosi ai confini; le azioni compiute dai nemici sionisti consistevano in assassinii, distruzioni e sequestri di persona. In conseguenza di queste azioni l'esercito sionista avanzava e consolidava le proprie posizioni nel sud; così è stato, infatti, con la prima occupazione di Arqub nel Maggio '70, e con la seconda di due anni più tardi, con l'occupazione delle zone centro-settentrionali nel '72 e di quelle meridionali nel Marzo del '78, e infine con l'occupazione della maggior parte dei territori libanesi nel Giugno dell'82.

Il 6 Giugno 1982 di fronte agli sviluppi delle lotte del popolo palestinese e al fallimento di tutti i tentativi volti ad eliminare il fenomeno della lotta armata nei territori occupati e fuori, il nemico sionista ha mandato numerose forze nei territori libanesi; queste in poco tempo sono giunte a Beirut e l'hanno circondata con l'evidente intenzione di distruggere l'unità delle organizzazioni rivoluzionarie. Una avanzata così veloce era coperta da una intensità di fuoco mai vista prima nella storia del conflitto arabo-sionista; con l'evidente proposito di distruggere le strutture organizzate della rivoluzione palestinese e dell'OLP e di respingere le azioni armate fino a una distanza di 45 Km dai confini (così come andavano dicendo i capi sionisti), sono stati usati tutti i tipi di armi disponibili, dalle forze aeree a quelle terrestri e marine. La determinazione dei capi della rivoluzione palestinese e delle organizzazioni della resistenza ha reso possibile la tenuta dell'alleanza col movimento nazionale libanese con cui si è formato un fronte che ha provocato molti danni alla "sesta forza militare del mondo". Questa determinazione ha fatto fallire la maggior parte dei piani espansionistici dell'esercito israeliano ed ha gettato la confusione tra le forze nemiche facendo così crollare la "teoria" della guerra lampo.

Una delle lezioni che deve essere ricavata da questa guerra riguarda senza dubbio la giusta strategia militare della rivoluzione palestinese; una strategia che si basa sul prolungamento della guerra col nemico sionista per mezzo della guerriglia e della lotta di liberazione nazionale. A ciò va aggiunta l'importanza politica delle scelte relative alla resistenza e ai mezzi di cui questa si deve dotare, all'unità del comando e del programma. Come si è visto a Beirut, nelle lotte dei popoli la linea politica giusta è di importanza fondamentale. Nel caso del Libano questa linea politica ha avuto solo una breve durata, a causa del ritiro voluto dalla leadership dominante di destra che ha così determinato la dispersione delle forze in diversi paesi arabi e la adozione di una politica che punta sulla ipotesi americana di soluzione del conflitto attraverso la mediazione dell'Egitto. Si spiegano così la visita di Arafat nel paese di Camp David, la serie interminabile di compromessi politici e la decisione di interrompere le operazioni militari contro il nemico sionista oltre i confini arabi. Con questa politica revisionista si è cercato di chiudere la fase della lotta armata, ma lo scoppio dell'Intifada l'8/12/1987 ha messo fine ad ogni illusione di questa natura.

L'occupazione sionista di gran parte del territorio libanese, la presenza in molte altre zone delle forze multinazionali, l'abbandono della linea rivoluzionaria da parte di molte organizzazioni palestinesi e l'isolamento di quelle restanti, ha sicuramente influenzato l'attività rivoluzionaria armata. Tuttavia neanche questa volta si è riusciti ad evitare le azioni militari contro le basi del nemico sionista, a cui si devono aggiungere anche le azioni della resistenza islamica e nazionalista di un fronte libanese formatosi nel Settembre del 1982. Le operazioni compiute dai palestinesi e dai libanesi contro le forze di occupazione, e le perdite che a queste sono state inflitte, hanno costretto il nemico a rivedere la distribuzione delle sue forze nell'area; così, all'inizio del Settembre 1983 il nemico annunziava di ritirarsi dalle montagne per far posto alle forze separatiste ma le organizzazioni nazionaliste libanesi e quelle della rivoluzione palestinese hanno prontamente liberato quelle zone ed hanno deciso di prendere parte attiva nella liberazione di Beirut (1984); infine, la liberazione della zona di Kharrub e quella ad est di Sidone ha permesso alla rivoluzione palestinese ed ai suoi alleati di proseguire le attività militari contro le forze nemiche e degli alleati sia nel sud del Libano che all'interno della Palestina.

Nel Maggio del 1985, e con i tentativi del movimento Hamal di impossessarsi di Beirut e della sua provincia, è scoppiata la cosiddetta "guerra dei campi"; questa guerra ha costituito un altro tentativo di eliminare il "fucile palestinese" dalla scena politica, ma a dispetto di tale progetto le forze della rivoluzione palestinese hanno dato il massimo per la protezione dei campi. Le operazioni militari contro il nemico non sono affatto finite; anzi, con l'inizio dell'Intifada nei territori occupati, la guerra dei campi si è ulteriormente sviluppata fino a costringere alla ritirata coloro che vi avevano dato inizio.

Per completare il quadro dello sviluppo della rivoluzione palestinese armata al di fuori dei territori occupati, occorre ricordare gli altri fronti di resistenza contro il nemico sionista (Giordania, Siria, Egitto). Al di là di qualche operazione sporadica, questi fronti non sono stati toccati dalle operazioni militari palestinesi. Allo stesso modo, anche le operazioni militari contro obiettivi sionisti e imperialisti negli altri paesi del mondo sono state numericamente insignificanti; alcune di queste operazioni non sono riuscite a svolgere un ruolo positivo nello scontro col nemico sionista.

Abbiamo velocemente accennato all'esperienza della lotta armata palestinese fuori dai territori occupati; adesso è necessario parlare di queste esperienze all'interno dei territori tenendo conto del fatto che queste sono la base fondamentale della lotta contro il nemico sionista. Dopo la sconfitta della "guerra dei sei giorni" tutte le organizzazioni rivoluzionarie hanno cominciato a studiare il modo migliore per avviare un processo di lotta armata nei territori occupati e per individuare tutti gli strumenti necessari alla riuscita di questa lotta (approvvigionamento di armi, sviluppo di una avanguardia militare, preparazione delle masse, costruzione di cellule armate, ecc.). Purtroppo alcune organizzazioni hanno iniziato subito le operazioni militari contro gli occupanti, senza aver prima costruito le condizioni per dare continuità a tali operazioni; queste organizzazioni hanno iniziato l'attività armata con bombardamenti e lancio di missili dall'esterno della Palestina, spingendo così il nemico sionista a colpire le cellule armate sia dentro che fuori i territori occupati.

Attorno alla metà del 1973 il nemico riusciva a controllare e a tener basso il livello delle attività militari della rivoluzione palestinese all'interno dei territori occupati, ma dal 1980 questo livello ha ricominciato ad innalzarsi fino all'invasione del Libano nel Giugno del 1982. Fin dai primi mesi del 1984, cioè dopo l'invasione del Libano, il livello militare ha ricominciato a crescere in risposta alla sconfitta politica subita dalla rivoluzione con l'occupazione sionista ed a tutti gli altri tentativi di arrestare l'attività della resistenza palestinese. Il livello più alto si è raggiunto tra l'86 e l'87 quando sono stati registrati scontri molto violenti tra le forze di occupazione e le masse palestinesi in molte città, villaggi e campi palestinesi; questi scontri, che avevano una natura di massa, sono stati i primi segni dell'Intifada del popolo palestinese. Naturalmente gli scontri tra le forze rivoluzionarie palestinesi esterne e l'esercito sionista, hanno avuto una influenza negativa molto forte nello sviluppo dell'attività armata all'interno; la difesa della rivoluzione, e delle masse dei campi palestinesi in Libano era diventato a quel punto il principale obiettivo.

In seguito alla sconfitta del Giugno 1982 e al conseguente abbandono del Libano da parte di molte forze palestinesi, è cominciata una discussione sull'utilità di continuare la lotta armata come forma principale dello scontro col nemico sionista; a queste ragioni si aggiungevano anche l'aumento delle misure repressive ad opera tanto dei sionisti che dei suoi alleati nel sud, il ritorno della destra palestinese che aveva cominciato a scommettere sul valore dell'attività diplomatica e sui progetti di "pacificazione" che riacquistavano forza in conseguenza dell'occupazione e dello scontro inter-palestinese o palestino-libanese (la guerra dei campi). In una situazione così critica sono riapparsi i vari progetti di Fez, i piani di Reagan o di re Fahid, gli "inviti" dei sionisti ad un "autogoverno amministrativo" o ad una confederazione; si trattava di progetti che favorivano la destra, come gli accordi giordano-palestinesi di Febbraio che hanno ulteriormente aggravato la crisi palestinese facendo aumentare le spaccature tra le masse disorientate dalla politica della "diplomazia" portata avanti dalla destra contro ogni ipotesi di lotta, in primo luogo quella armata: è così che nel 1985 la leadership di destra decise di bloccare le operazioni militari lungo i confini arabi.

La sconfitta dell'82 ha provocato un rallentamento dell'attività militare palestinese; il peso reale di questa crisi è apparso con chiarezza allo scoppio dell'Intifada, dal momento che le organizzazioni della rivoluzione palestinese non sono state in grado di dar corpo alla parola d'ordine "Appoggiare l'Intifada col fuoco". Anche se alcune organizzazioni sono riuscite a portare avanti qualche sporadica operazione, va detto che si è trattato di operazioni e di una attività militare ben al di sotto del livello richiesto dalla situazione; ciò si legava, ancora una volta, alle polemiche sulla necessità e sull'utilità della lotta armata: da una parte c'era chi sosteneva che in quest'ultimo quarto di secolo questa forma di lotta era fallita, da un'altra chi affermava che questa lotta aveva preparato l'Intifada e adesso aveva esaurito il suo compito, da un'altra ancora si sosteneva che la lotta armata contraddiceva il carattere di massa dell'Intifada e finiva con l'aiutare il nemico sionista a giustificare nell'opinione pubblica i massacri operati contro il popolo palestinese nei territori occupati; in conclusione, si riteneva che la lotta armata fosse uno strumento per l'eliminazione dell'Intifada e che riportasse la nostra battaglia a un punto morto.

Prima di prendere in esame questi diversi punti di vista è necessario chiarire le vere cause della crisi dell'attività militare e mettere così in evidenza la gravità delle prospettive liquidatorie che ostacolano il cammino della lotta palestinese e, prima di tutto, dell'Intifada. La crisi si è determinata in conseguenza sia di ragioni oggettive che di ragioni soggettive.

a) le ragioni oggettive possono essere così sintetizzate:
- gli strumenti repressivi e l'armamento avanzato del nemico; la pratica controrivoluzionaria che si è andata accumulando nel corso degli scontri tra il nemico sionista e i fedayin; le numerose operazioni "di sicurezza" (posti di blocco, uso del filo spinato, spionaggio elettronico, ecc.)
- il sistema di alleanze tra il regime sionista e gli stati arabi confinanti; e ancora tra quel regime e il blocco delle "forze multinazionali".
- la cessazione dei combattimenti sugli altri fronti arabi, e la repressione delle attività militari ai confini dello stato sionista da parte dei regimi arabi.

b) le ragioni soggettive:
- la linea politica del comando dell'OLP; le passate esperienze della rivoluzione palestinese hanno messo in luce il valore negativo della politica dei compromessi e della sostituzione della lotta armata con la "diplomazia". Non va dimenticato che la giustezza, la chiarezza e la determinazione della linea politica è legata direttamente allo sviluppo della lotta armata.
- la debolezza dei dirigenti e delle avanguardie militari della rivoluzione palestinese
- l'inesistenza di una unità tra il programma delle avanguardie e gli strumenti necessari all'organizzazione della rivoluzione palestinese
- l'incompatibilità tra le diverse forme di lotta
- la natura di "mercenario" del combattente proposto dalla destra palestinese che ha coinvolto spesso anche i militanti della sinistra.
- l'insufficienza degli strumenti di combattimento nelle mani delle cellule armate che operano nei territori occupati (armi, avanguardie militari, finanziamenti, esercitazioni, ecc).

Il gran numero delle operazioni militari riuscite che sono state compiute dalle organizzazioni della rivoluzione palestinese e dal movimento nazionale islamico del Libano negli ultimi anni, e il numero ridotto di quelle lungo i confini egiziani, giordani e siriani, dimostrano che è possibile superare tutti gli ostacoli oggettivi e soggettivi che impediscono lo sviluppo dell'attività militare. Ciò significa anche che il fattore soggettivo sta all'origine della natura strutturale della crisi dell'attività militare, anche se non va ignorato il peso del fattore oggettivo e i suoi rapporti materiali con quello soggettivo.

Al fine di superare questa crisi è necessario da parte di tutte le organizzazioni della rivoluzione palestinese un lavoro serio e di lunga durata; questa esigenza non nasce tanto dalla volontà di questa o quella struttura organizzata, quanto dalla complessità della nuova situazione internazionale (crollo del revisionismo, sviluppo della potenza sionista, guerra del Golfo, nuovo ordine mondiale, scommessa palestinese e araba sulla possibilità che gli americani guidino la "pacificazione").

Venticinque anni di lotta armata palestinese stanno all'origine dell'Intifada nei territori occupati; è grazie a questa e ad altre forme di lotta del popolo palestinese che si sono potuti raggiungere alcuni obiettivi: dal riconoscimento arabo e internazionale dell'OLP come unico rappresentante del popolo palestinese, alle tante risoluzioni internazionali a favore del popolo palestinese e dei suoi diritti. Possiamo affermare con certezza che senza la lotta armata il popolo palestinese non avrebbe raggiunto questi obiettivi, poiché questa lotta è la più nobile e senza di essa ogni altra forma di lotta si è dimostrata insufficiente; come dice Lenin e come hanno confermato tutte le esperienze rivoluzionarie nel mondo "Nessun 'socialista democratico' che sa interpretare le lezioni della storia, può dubitare che contro la violenza armata dei nemici gli strumenti più importanti che le masse popolari devono usare per risolvere le grandi contraddizioni storiche, sono la propaganda e l'organizzazione militare". La nostra linea non si distacca da questa concezione. E se il fenomeno del "fucile" palestinese e tutti i complotti orditi contro di esso, hanno fatto passare in secondo piano la questione dei territori occupati come base fondamentale del conflitto col nemico sionista, non dobbiamo dimenticare che l'Intifada popolare ha ridato importanza a questi temi.

Una lettura dei primi quattro anni di Intifada serve a chiarire la natura del fenomeno di massa e dell'estensione della lotta nei territori occupati; nel corso dell'Intifada si sono manifestati tutti i tipi di lotta, da quella violenta a quella non violenta, che sempre si sono amalgamati a tutti gli aspetti della vita politica, culturale, economica, sociale, anche senza arrivare al fenomeno armato che fino a questo momento si è mantenuto a un livello secondario col fine di impedire il ricorso ad una repressione militare totale da parte del nemico. E così l'Intifada ha imposto il suo metodo al nemico.

Le esperienze di lotta dei popoli hanno confermato che la lotta di massa da sola non è in grado di respingere il nemico da alcuna città o villaggio occupati; la natura dell'avversario sionista e colonialista e la capacità da questo dimostrata di gestire la situazione attuale nei territori occupati dopo esser passato da una politica di difesa ad una politica di attacco con un aumento della repressione che ha ignorato l'opinione pubblica mondiale e la legalità internazionale, è riuscita (ma solo fino a un certo punto) a far diminuire la partecipazione popolare all'Intifada. Senza dubbio i compromessi politici fatti dalla leadership dominante di destra insieme al rifiuto di garantire il necessario alla resistenza, hanno contribuito al declino.

L'esperienza del conflitto palestinese-sionista ed arabo-sionista ha confermato che il nemico non si ritira dai territori che occupa senza aver prima subito danni e perdite; l'esperienza palestinese e libanese dopo l'invasione dell'82 è la dimostrazione più lampante di questa affermazione. Se il nemico sionista può, attraverso i suoi alleati imperialisti, riparare ai danni economici non può riparare alla perdita dei suoi uomini anche in presenza di una immigrazione sionista; infatti, la percentuale di questa immigrazione è direttamente influenzata dall'attività della rivoluzione palestinese armata nei territori, ed anche questo è confermato dall'esperienza concreta.

Si comprendono così le ragioni per le quali la parola d'ordine della maggior parte delle organizzazioni rivoluzionarie palestinesi "appoggiare l'Intifada col fuoco" conferma la sua validità nella realtà del lavoro rivoluzionario di ogni giorno. Ciò è importante nei nostri programmi e nella nostra attività anche se non vanno dimenticati gli avvertimenti fatti dalle organizzazioni principali dell'OLP di evitare di fare queste operazioni rivoluzionarie nelle aree in cui attualmente si svolge l'Intifada.

L'uso delle molotov e dei coltelli, delle fionde, delle pietre e delle biglie d'acciaio, l'esecuzione dei collaborazionisti e il lancio delle "ananas", gli scontri armati limitati - fuori dai territori dove è in corso la rivolta - le operazioni di sabotaggio popolare come l'incendio e il danneggiamento delle strutture economiche del nemico, il boicottaggio dei prodotti israeliani e il rifiuto a pagare le tasse, lo scontro con i coloni e la costruzione di comitati d'ogni tipo, tutte le forme di lotta adottate dal nostro popolo durante la rivolta, sono metodi che si sono imposti concretamente a causa della natura stessa del nemico e delle condizioni dello scontro. E' errato confondere l'esperienza indiana e la lotta pacifista di Gandhi o l'esperienza islamica in Iran, con quella del popolo palestinese, perché ogni esperienza nasce da condizioni particolari. La natura del nemico è diversa: esso occupa la Palestina e ignora il diritto all'esistenza del popolo palestinese nella propria terra, anzi cerca di ricacciarlo indietro e di annientarlo; ancora, la potenza militare e l'esperienza del nemico insieme all'appoggio economico e morale che gli viene dai suoi alleati, in particolare dagli americani, costituiscono un ulteriore punto di forza a suo favore; infine, il numero degli abitanti palestinesi non supera i due milioni in confronto ai quattro milioni e mezzo di ebrei che possono, grazie ad una adeguata struttura ideologica e militare, tener stretto il possesso dei territori occupati - che considerano la loro "terra promessa". In India il numero degli abitanti era di alcune centinaia di milioni e ciò rendeva difficile il controllo dei loro movimenti e della loro ribellione; inoltre gli inglesi erano consapevoli delle "ingiustizie" legate alla questione indiana per cui, alla fine, i mass media britannici e internazionali erano schierati a fianco del popolo indiano e le forze degli occupanti non avevano altra scelta che ritirarsi. In Iran, invece, il fattore religioso e di classe ha avuto un ruolo fondamentale nel distruggere il regime dello scià con la lotta armata dei mujaydin, dei fedayin e di tutte le altre organizzazioni rivoluzionarie. Oggi noi vediamo che molte esperienze rivoluzionarie, tra cui quelle della rivoluzione vietnamita, cinese e algerina somigliano molto all'esperienza del popolo palestinese.

L'Intifada non sarebbe esistita - almeno in questa fase - se non si fosse adottata la lotta armata dentro e fuori i territori occupati, e anche se molti errori sono stati commessi, questa lotta ha confermato la sua validità essendo riuscita ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale, a realizzare molti successi a favore del popolo palestinese ed a bloccare i piani sionisti in Cisgiordania e a Gaza.

Inoltre, il nemico colonialista e terrorista comprende solo il linguaggio della violenza; la natura stessa dell'occupante lo porta a capire solo il linguaggio della violenza - l'unico linguaggio che può costringerlo a ritirarsi, dal momento che soltanto con la continuazione dell'occupazione egli riesce ad assicurarsi un vantaggio.

Queste sono le ragioni della lotta armata, che si accompagna ad altre forme di lotta e che resta la sola scelta rivoluzionaria per il popolo palestinese; non è un'alternativa alla natura di massa dell'Intifada ma la completa, mentre vanno sviluppandosi le condizioni oggettive che faranno di questa forma di lotta l'aspetto dominante dell'Intifada.

Qualunque avventurismo in questo ambito non può che danneggiare l'Intifada, così come il tentativo di ignorare questa forma di lotta oppure l'invito esplicito ad abbandonarla non sono altro che pie illusioni, per le ragioni di cui abbiamo già parlato. Il problema palestinese è un problema molto grande, legato allo storico diritto alla terra di un intero popolo; i grandi problemi dei popoli si sono sempre risolti con la lotta armata, e la storia ci ha insegnato che un popolo che abbandona l'uso delle armi contro i suoi oppressori merita di essere trattato come schiavo.

Dobbiamo arrivare tutti a comprendere la parola d'ordine "Appoggiare l'Intifada col fuoco"; dobbiamo riempire i territori occupati di armi e di avanguardie militari, preparare le nostre cellule di guerriglia nei territori occupati e fuori, far funzionare le organizzazioni militari dando loro la possibilità di costruire e addestrare le nostre forze; dobbiamo unificare la nostra ideologia politica rispetto alla natura della fase e alla natura del nemico; dobbiamo ridare valore alla lotta armata e alla guerra di liberazione popolare, rivolgendoci in modo serio alle masse, preparandole e addestrandole. Alla luce di questa analisi le organizzazioni della rivoluzione palestinese, anche nelle difficoltà oggettive del momento e alla luce di quello che ha provocato il complotto americano e sionista con la Conferenza di Madrid, devono lavorare ai seguenti obiettivi:

1) Mettere la maggior parte delle disponibilità economiche, di avanguardie e di armamento, al servizio dell'incremento della lotta violenta - e principalmente di quella armata - nei territori occupati del '67 e del '48.
2) Cercare di trovare una base minima di collaborazione nell'ambito della lotta militare nei territori occupati e fuori, tra le organizzazioni rivoluzionarie, anche al di là delle contraddizioni politiche che possono manifestarsi.
3) Continuare nella ricerca e nella sperimentazione di nuovi metodi di lotta armata, che ne rendano difficile la neutralizzazione da parte del nemico.
4) Socializzare l'addestramento all'uso delle armi ed alla guerra popolare a tutto il popolo palestinese nei territori occupati.

Dichiariamo guerra al senso di disfatta, all'utilizzazione di mercenari e ad ogni forma di falsificazione della realtà.
Rafforziamo le nostre alleanze arabe e internazionali.
Attiviamo la lotta in tutti i paesi arabi confinanti con la Palestina.
Il compito è grande e difficile, la fase che attraversiamo è complessa, ma con la volontà e la decisione, con lo sviluppo della nostra forza e del nostro impegno possiamo vincere.
La lotta e le esperienze volte a realizzare gli obiettivi che i popoli si danno, non si misurano coi giorni né con gli anni.

[da Al-Hadaf, dicembre 1991]

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