CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.7

INTIFADA HAMRA

Dal bollettino del Comitato d'appoggio alla lotta di classe del popolo palestinese

DA INTIFADA HAMRA N. 2

La lotta di liberazione nella quale il popolo palestinese è impegnato dal 1948 (anno in cui le forze imperialiste hanno imposto lo stato sionista nell'area) ha assunto caratteristiche e forme diverse sia come riflesso delle modificazioni economiche, storiche e sociali che si sono via via manifestate sullo scenario internazionale, che in conseguenza delle trasformazioni degli equilibri e dei rapporti di forza tra le classi che costituiscono questo popolo.

Tali caratteristiche si legano in primo luogo agli sviluppi che l'imperialismo ha determinato, in particolare nell'area mediorientale, dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti nel tentativo di integrazione di quest'area strategica alle necessità di valorizzazione del capitalismo occidentale, in primo luogo di quello americano.

Nello specifico delle trasformazioni prodotte sulla formazione sociale, non si può non tener conto del fatto che i tentativi di integrazione economica e politica hanno spinto sempre più a fondo nella società palestinese il processo di polarizzazione tra le classi; in questo modo, ad una sempre crescente proletarizzazione di vasti strati della popolazione palestinese - sia di quella ammassata nei kampi che di quella metropolitana - ha corrisposto la formazione di frazioni di borghesia che sono state aggregate al capitale USA ed europeo, con la mediazione delle borghesie nazionali arabe, e che pertanto manifestano sempre più chiaramente la propria disponibilità ad accettare soluzioni politico-diplomatiche interne ai piani di "pacificazione" prospettati dagli imperialisti e dai loro alleati nella zona.

E' nel quadro dei fondamentali passaggi di fase a cui l'imperialismo è andato incontro, dunque, che vanno lette le trasformazioni sul piano economico, politico e della composizione di classe che hanno segnato l'evoluzione della lotta di liberazione nella Palestina occupata, e più in generale in tutto il territorio arabo; la soggettività rivoluzionaria ha dovuto misurarsi continuamente con l'evolversi delle condizioni oggettive, adeguando le tattiche politiche, militari, economiche, ecc. ai nuovi punti di riferimento che si creavano come effetto delle trasformazioni del ciclo di valorizzazione del capitale occidentale e dei riflessi politico-militari di quelle trasformazioni.

Dentro questo quadro complessivo è possibile distinguere due fasi fondamentali: una prima, contrassegnata dal ruolo giocato sul piano internazionale dal capitale delle borghesie imperialiste arabe (raccolte attorno all'OPEC, alla Lega Araba, ecc. o nelle strutture politiche come Al Fathah, Baath, ecc..) formatosi nel controllo di porzioni considerevoli di plusvalore prodotto nelle fasi di estrazione e di prima raffinazione del petrolio; in questa prima fase, in tutti i paesi arabi è centrale il ruolo del revisionismo sovietico che si propone come garante massimo dei progetti miranti alla costituzione di "economie regionali" autocentrate.

In questa fase la scena politica e culturale è dominata da forme di nazionalismo che caratterizzano l'evoluzione geopolitica dell'area in un periodo che va dalla guerra di liberazione algerina alla rivoluzione iraniana.

La seconda fase, apertasi in seguito al crollo del revisionismo, nella quale i capitali arabi non sono più in grado di fronteggiare le contraddizioni economiche dell'imperialismo e aprono così spazi "controtendenziali" alla crisi di sovrapproduzione del capitalismo occidentale; in questa seconda fase, le borghesie arabe più avanzate (Irachena, Siriana, Algerina, ecc.) dimostrano di aver perso la possibilità di gestione riformista della crisi e, insieme a questa, la capacità di controllo della conflittualità sociale che quella crisi sempre più fortemente sta determinando.

Il recente crollo del "blocco" sovietico ha tra l'altro mostrato quanto fallimentari siano le prospettive di costruire percorsi di indipendenza basati sulla costituzione di poli capitalistici "regionali" retti dalle borghesie nazionali; d'altra parte, la definitiva chiusura della prospettiva riformista e revisionista di soluzione della crisi ha messo in evidenza l'impossibilità storica che le contraddizioni Centro/Periferia possano essere risolte sul piano di quelle che oppongono l'Est all'Ovest.

Contare sulle proprie forze, oggi più che mai, diventa l'imperativo categorico di chi si pone il problema del superamento dello stato di cose presente.

Per tutti questi motivi riteniamo che le uniche forze in grado di garantire una lotta concretamente anti-imperialista ed anticapitalista nello scenario arabo-palestinese siano le forze del proletariato arabo.

Questo è soprattutto vero nel quadro attuale contrassegnato fortemente dalla sconfitta militare subita dalle masse arabe in conseguenza dell'aggressione imperialista all'lrak; ma è altrettanto vero che, nella prospettiva dell'affrancamento dalla retorica "arabista" e dal terrorismo imperialista, per le organizzazioni del proletariato arabo si pone il compito di mettersi alla testa della lotta contro l'imperialismo e contro la politica "liquidatoria" delle borghesie nazionali.

Sarà questa lotta, e non le mille conferenze e incontri al vertice tanto cari ad americani, sionisti e soci, a tracciare la direzione delle trasformazioni sociali, politiche, economiche e culturali che avranno luogo in palestina e in tutto il mondo arabo - che per quante sconfitte subisca sul terreno militare, rimane comunque il ventre molle del sistema imperialista.

Ed è su questa base che si può e si deve costruire una collegamento reale tra le organizzazioni del proletariato arabo e i proletari e le forze rivoluzionarie che combattono nel centro imperialista.

[dal n. 2 di Intifada Hamra, bollettino del Comitato d'appoggio alla lotta di classe del popolo palestinese]

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INIZIATIVE DEL COMITATO D'APPOGGIO ALLA LOTTA DI CLASSE DEL POPOLO PALESTINESE

Il Comitato di appoggio alla lotta di classe del popolo palestinese ha organizzato, nella prima settimana del mese di Dicembre 1991, una serie di iniziative pubbliche in alcune città italiane. Le iniziative si sono svolte a Padova presso il C.S.O. GRAMIGNA e la Facoltà di Psicologia; non si è potuta, invece, tenere quella prevista nella Facoltà di Lettere a causa dell'intervento repressivo della polizia che ha caricato i compagni presenti, portandone due in questura.

Le iniziative sono proseguite a Pordennone nella sede dei compagni dell'ex C.S.O. ARKANO, a Bassano del Grappa presso il C.S.O. STELLA ROSSA, a Firenze al Centro Popolare Autogestito FI-SUD e a Catania presso il C.S.O. GUERNICA.

Esse consistevano nella presentazione del primo numero del bollettino "Intifada Hamra", di una mostra fotografica e di un audiovisivo basati sui materiali raccolti dal Comitato in Palestina, durante il viaggio avvenuto la scorsa estate; inoltre, all'assemblea dibattito ha partecipato un compagno palestinese. Il Comitato ha così voluto realizzare le sue prime iniziative pubbliche per far conoscere i primi risultati del proprio lavoro politico, per allacciare rapporti con i compagni delle altre realtà di lotta interessati alla questione palestinese, non per i suoi aspetti etici ed umanitari, ma da un punto di vista di classe, rivoluzionario.

Infatti il Comitato si propone di dare un appoggio concreto alla lotta di classe che il proletariato palestinese e le sue organizzazioni rivoluzionarie conducono all'interno della lotta di liberazione nazionale dall'occupazione israeliana.

Le tematiche specifiche affrontate nelle assemblee, con le relazioni del compagno palestinese, sono state innanzitutto tre:
a) La "Conferenza di pace" e le posizioni della sinistra palestinese a riguardo.
b) La situazione economica del proletariato palestinese dopo la guerra del Golfo.
c) L'attuale situazione dei prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane.

Per quanto riguarda la ''Conferenza di pace", è stato sottolineato il netto rifiuto di questa da parte dell'intero proletariato palestinese e non solo delle organizzazioni della sinistra (Fronte Popolare di Liberazione della Palestina e Fronte Democratico Rivoluzionario). Ma anche degli integralisti di Hamas e di una parte di Al-Fatah; infatti la "Conferenza" è stata fortemente voluta dalla borghesia e dalla destra palestinese, a cui appartengono i componenti della delegazione. Tra le motivazioni principali del rifiuto la mancata partecipazione ufficiale dell'OLP, l'unico legittimo rappresentante del popolo palestinese, la proposta di autogoverno amministrativo, (o al limite di una confederazione con la Giordania) per i territori occupati dal '67 e non di uno Stato palestinese con Gerusalemme capitale. La "Conferenza di pace" viene dunque intesa dai compagni palestinesi come facente parte del piano dell'imperialismo americano per pacificare e stabilizzare la situazione mediorientale, come passo essenziale per costruire il Nuovo Ordine Mondiale e per impedire lo sbocco rivoluzionario dell'Intifada.

L'attuale condizione sociale ed economica del proletariato palestinese nei territori del '67 è veramente difficile. Israele occupa le terre palestinesi non solo per controllarle militarmente, ma anche per trarne dei profitti: infatti le terre confiscate sono utilizzate per costruire nuovi insediamenti ed essere destinate all'agricoltura. Israele ha così tentato di distruggere il tessuto economico palestinese nei territori del 67, assicurandosi la dipendenza della borghesia palestinese e sfruttando pesantemente la forzalavoro; questo ha fatto sì che la maggior parte degli attivisti, dei prigionieri, dei feriti e dei morti dell'Intifada siano proletari i quali, continuando la loro lotta, cercano di infliggere ad Israele perdite economiche ed umane tali da costringerlo a ritirarsi .

Per quanto riguarda la situazione dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, va notato come essa sia poco conosciuta all'estero. All'interno delle prigioni sioniste esiste una dura lotta da 24 anni che ha avuto un ruolo fondamentale nello scoppio dell'Intifada, in quanto le carceri sono state e sono tuttora vere e proprie scuole che hanno formato le avanguardie rivoluzionarie palestinesi; i Comitati Popolari, infatti, si sono formati nelle carceri le quali hanno svolto un ruolo importante nell'organizzazione dell'Intifada, dato i continui arresti degli attivisti. La principale forma di lotta all'interno delle carceri è stata finora lo sciopero della fame, che ha portato dei buoni risultati, anche se la repressione israeliana è stata durissima: più di 100 i morti nelle prigioni prima dell'Intifada e più di 50 dopo il suo scoppio nell'87; ma nonostante questa e i continui tentativi di spaccare l'unità nazionale all'interno delle carceri da parte degli Israeliani, la lotta dei prigionieri palestinesi non è stata sconfitta.

Nel voler fare alcune considerazioni sulle iniziative promosse dal Comitato, va sottolineato come il dibattito, che ha seguito le relazioni del compagno palestinese, ha spesso portato ad affrontare il problema del rapporto tra le lotte di liberazione nazionale e l'internazionalismo proletario e quello del ruolo dei rivoluzionari italiani ed europei nell'appoggiare la lotta palestinese. Ma va anche notato come il dibattito non sempre ha mantenuto un livello adeguato all'importanza della questione affrontata; pensiamo che ciò sia causato da un calo di interesse e di tensione dovuto probabilmente allo spostamento di attenzione sulla "Conferenza di pace" da parte del mass-media e della sinistra istituzionale, volto a svalutare il ruolo e l'importanza dell'Intifada.

Nonostante ciò riteniamo che queste iniziative siano state un primo importante passo per avviare anche in Italia un reale dibattito sulla questione palestinese da un punto di vista di classe, e sulle prospettive dell'internazionalismo proletario.

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