CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.6

LETTERA AI COMPAGNI E ALLE COMPAGNE

di Maurizio Ferrari

Che l'esistenza delle BR, della lotta armata iniziata nel 1971 appartenga alla storia della lotta di classe in Italia, alla memoria del proletariato di tutto il mondo, è una constatazione che non necessita di spiegazioni, tanto i fatti di ogni giorno lo mostrano apertamente. Come oggi. Un aspetto di quella storia, la prigionia del brigatista, è adoperata e strumentalizzata per mettere a prova e avviare concretamente la legittimazione del passaggio da una repubblica a dominanza parlamentare ad una repubblica a dominanza presidenziale. Il rapporto di forza internazionale ed interno, che lo riflette, preparato da anni, ora consente anche alla borghesia italiana di mettere la museruola alla democrazia rappresentativa; certo non per andare verso la democrazia diretta.

Anche in Italia, date le difficoltà in cui si trova il proletariato, si sono aperte le porte verso il processo di formazione, decisione, del potere statale, posto nelle mani di un presidente e di un esecutivo da lui guidato, a cui ogni altra istanza, dibattito, sede decisionale e critica viene a dipendere. E' la "democrazia efficiente" in cui, fra le altre, il voto del proletariato perde ogni residuo rappresentativo di sè; anzi un tale voto non esisterà più. Il passaggio istituzionale, di cui la perfida strumentalizzazione della storia della lotta armata è, come dirò, un momento essenziale, è curato dalle frazioni borghesi che da decenni trainano e tramano in favore del presidenzialismo comunque. Dalle bombe nella Banca dell'Agricoltura nel 1969, alle stragi di piazza della loggia, di S. Benedetto, di Bologna, fino a quella, sempre sulla linea ferroviaria FI-BO, del 1984.

E' la borghesia dei braccetti della morte, delle carceri speciali, dei licenziamenti politici e di massa del periodo 1979-1982.

Pratiche diverse di cui essa non riesce ad assumerne la diretta rivendicazione. Infatti sono attuate al coperto del velo generale dello Stato, però con la certezza che ogni persona sa di dove vengono e il loro scopo: quello di mirare a neutralizzare con assassinii casuali la spinta rivoluzionaria proletaria che tanto logorava il dominio borghese in ogni sfera sociale e da nord a sud. E' la politica svolta attraverso il terrorismo storico e tipico della borghesia italiana; terrorismo che conosciamo ma che non dominiamo, e ciò, in parte, ci impaurisce, ci condiziona. Le organizzazioni della guerriglia e con esse la lotta di massa hanno combattuto quel terrorismo, ma non lo hanno vinto, e la borghesia si è rafforzata. Certo, il potere acquisito non le basta per piegare il proletariato allo sfruttamento "flessibile" ed intenso che permetta ai propri capitali di competere nella produzione e nel commercio mondiali. Dunque, le frazioni borghesi che hanno condotto la guerra contro la classe avversa, oggi spingono per "riforme istituzionali", verso il presidenzialismo così da coronare il loro disegno politico, di favorire e facilitare l'esercizio, il dispiegamento effettivo del potere accumulato.

La grazia al brigatista come atto presidenziale perfido, ricattatorio e divertito, giocato com'è su decenni di carcere, fatto penzolare come una banana nella gabbia delle scimmie, certo degno delle persone che lo hanno ideato, per i conflitti che racchiude ed espone, per i diversi poteri che di slancio permette di superare - dalle istanze carcerarie a quelle giudiziarie -, per l'impatto emotivo che suscita nella generalità della popolazione, è divenuta una fra le poche mosse che in Italia consente la più profonda verifica dell'esecutivizzazione dello stato. Un'esperimento che lo aiuta a nascere, a modificarsi e a precisarsi, ed insieme a vendicarsi.

Ma affinché il risultato sia quello voluto, non tutti i brigatisti in carcere vanno graziati o graziate "dal presidente", in quanto questi è posto sì come potere primo ma in funzione di indicazione per l'istituzione rappresentativa posta in seconda fila, ma pur sempre supposta. La finzione anche qui vuole le sue maschere.

Neppure chiunque brigatista va bene. Per l'operazione da realizzare occorrono dei requisiti, ad esempio l'autorità avuta nell'Organizzazione, o, ancora meglio, i nomi che maggiormente la rappresentano presso la popolazione in generale. E questo ancora non basta.

Colei o colui "da graziare" devono concretamente già essere dei non comunisti, dei non brigatisti; devono cioè già avere interiorizzata ed esplicitata nel vivere reale, in particolare nell'esame continuo carcerario la seguente premessa statale (borghese): l'esperienza guerrigliera, combattente, appartiene al passato; essa non ha sbocchi e rapporti nel presente e nel futuro, si è dimostrata sbagliata ieri, lo è ancora più oggi, ecc., ecc.

Con tale "grazia" unita alla pretesa separazione delle e dei prigionieri in chi si è "macchiato di sangue" e chi no, la borghesia mira, ancora una volta, a scarnificare, dilaniandola in parti sconnesse ed incomunicabili, la memoria, l'essere della lotta armata e delle sue Organizzazioni. L'iniziativa combattente, non importa dove, le lotte, gli scioperi, seppur più tenui, non sono mai cessati ed anzi oggi riprendono forza; il triste lavorio per impedire il loro svolgimento politico è anch'esso continuo e mai ritenuto sufficiente. Cosicché, come ieri veniva attuato, fra l'altro, facendo mostra dei "pentiti" contro la loro militanza e l'Organizzazione in cui agivano, così oggi è svolto contro la legittimità e necessità storica della lotta armata proletaria stessa.

Poiché il passato terroristico della borghesia per superarsi (sicuramente non per sciogliersi) deve evolvere in repubblica presidenziale, questa, per divenire effettiva necessita che il suo oggetto, il proletariato, sia posto senza possibilità di critica, di capacità creativa, forza rivoluzionaria. Sia cioè posto senza memoria, senza passato; sia essere fragile il cui pane mangiato ieri non divenga sangue, ossa e cervello per oggi e domani.

E' dunque in atto un cannibalismo che non trascuna nessuna parte del passato armato e organizzato proletario e di cui la borghesia si alimenta per dare alla repubblica presidenziale una base più ampia, sicura e legittimata.

Coloro che hanno lasciato il proletariato dopo aver vissuto l'esperienza delle organizzazioni guerrigliere, mentre giocano sulla parola "passato" sono aderenti, si trovano in perfetta sintonia con la borghesia, collaborano con essa. Dell'Organizzazione in cui hanno militato fanno, più precisamente tentano di farne, strumento per raggiungere scopi apparentemente diversi. Anch'essi, come lo Stato, per integrarsi ad esso, sono interessati a distruggere quanto più possibile l'intelligenza, la creatività, la violenza della classe da cui provengono e per cui hanno combattuto. Quanto più riescono a devastare, tanto più legittimano presso di sè la convinzione gratificante sulla voluta giustezza delle loro scelte. Devastazione che consiste soprattutto nel tentare di ingessare la teoria e la pratica rivoluzionarie nel passato e così negarne qualsiasi sviluppo ed adeguamento, non foss'altro, ovviamente, perché le condizioni della lotta di classe mutano con il modificarsi delle forze produttive e dei rapporti di forza.

Forze e rapporti certamente mutati anche in Italia. La classe operaia lo sa benissimo che ieri in fabbrica sulla catena di montaggio il lavoro prevalente veniva svolto dalle mani, che oggi le mani operaie servono il robot; che ieri in fabbrica c'era la mensa calda gestita dagli operai, mentre oggi operaie e operai mangiano il freddo panino e nel freddo baracchino; che ieri la classe operaia era composta di soli italiani, mentre oggi la costituiscono dieci e più etnie; che ieri si lavoravano cinque giorni la settimana con sabato e domenica festivi, mentre oggi si lavora di continuo, di notte - anche le donne - e più ore.

Gli stessi prodotti sono divenuti più vari, personalizzati, dai satelliti agli spettacoli televisivi. L'Italia è più ricca, ma relativamente a tale ricchezza, i proletari, che la producono per intero, sono più poveri e ancora più sfruttati di ieri.

Come nelle fabbriche la lotta per il salto del lavoro, da "mezzo di vita" a "bisogno" da soddisfare con la creazione e il suo godimento, è stata colpita e per ora messa in silenzio, così nelle carceri la lotta per estinguerle si è allontanata. Le carceri sono oggi luogo di vero annientamento dei rapporti sociali, di isolamento, di "personalizzazione della condanna"; per questo, naturalmente, la morte sociale diviene tanto ma tanto più spesso di ieri, morte fisica, reale.

Ma basta con la "pretesa" di voler abbattere la società capitalista, dicono coloro caduti in Stato di grazia, e/o che ripudiano il principio del riconoscere sé in ogni momento dell'esistenza dell'Organizzazione. Vogliono vivere in tale società ed abitarla in pace. Questo l'interesse profondo che li accomuna alla borghesia.

L'accoppiamento è strano ma è reale dal 1986. La gestazione della sua creatura, relativamente ai tempi umani, può apparire lunga, tuttavia data la stranezza del rapporto non c'è da essere sorpresi. L'operazione, per quanto titanica, non vale alcun tempo, tanto è vacua. Poiché, è certo, che solo a chi lotta - è un fatto oggettivo, incontrovertibile - contro l'imperialismo che rapina l'intero pianeta, che fa strage di popolazioni a Panama, a Tripoli, a Bagdad; contro il tentativo di ridurre il proletariato a pura forza lavoro, non importa la sua lingua e il colore della sua pelle; e contro tante altre condizioni che certamente non conosco... soltanto a costoro appartiene rivendicare il patrimonio, la memoria rivoluzionaria proletaria. E tutto questo si riproduce indipendentemente da chiunque, meno male, anche da dio, se c'è.

In concreto, nei fatti, soltanto chi lotta, chi vive la condizione di proletario ma vi si ribella, è interessata/o per abbattere quella condizione, dunque a farlo ascoltando il passato, non per cogliervi "reminiscenze" né "illusioni sul contenuto della rivoluzione alle soglie del XXI secolo.

La memoria, appunto, non è ripetizione ma creazione, superamento del passato; non incessante ricominciamento, per esempio, sulla necessità dell'organizzazione e dell'esercizio della violenza da parte del proletariato cosciente dei fini sociali chiamato a raggiungere. Ed una memoria che non si conosce non diventa mai adulta, ritorna sempre indietro per inciampare nei medesimi ostacoli; non può e non sa prevedere l'avvenire e, non trovandolo, non trova la "poesia" per ispirare ed affermare la propria prassi. Può in tal modo soltanto subire la memoria altrui, la prassi della borghesia.

Infine, sono senz'altro macchiato, o anche costituito, dal colore del proletariato, della sua solidarietà, della sua lotta, del suo avvenire.

Mi riconosco perciò nella pratica "macchiata" dell'Organizzazione cui ho appartenuto, che è ben viva nella storia rivoluzionaria del proletariato. L'immacolatezza tanto sbandierata del brigatista è la caduta nel "buco nero" borghese della scissione di sè, della deresponsabilizzazione, del vittimismo e del ricatto su un punto essenziale, il solito, il distacco dalla violenza.

Invece, per quel che mi riguarda, la violenza proletaria è stata ed è assolutamente giusta e necessaria anche in Italia e alle soglie del XXI secolo, per vincere l'imperialismo e abbattere la società capitalista.

carcere di Cuneo 12 agosto 1991

Maurizio Ferrari

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