CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.6

INTIFADA E LOTTE OPERAIE

Comitato di appoggio alla lotta di classe in Palestina

INTERVISTA AI SINDACATI DELLA STRISCIA DI GAZA

Come è stata fondata L'Unione dei Sindacati dei Lavoratori Palestinesi?

L'U.S.L.P. della striscia di Gaza è stata fondata nel 1964 durante il dominio egiziano. L'unione comprende 6 sindacati. Nel 1965 si sono svolte le prime elezioni per l'Unione, quando Nasser ha riconosciuto tutti i diritti sindacali, tra cui la libertà di riunione.

Quale è stato il comportamento degli israeliani dopo l'occupazione del'67?

Dopo l'occupazione, l'Unione è stata chiusa come risultato immediato della politica repressiva israeliana tesa a bloccare lo sviluppo della coscienza e della conflittualità operaia.

Dal '67 al '69 i sindacalisti hanno cercato di essere attivi tra gli operai, ma sono stati colpiti duramente dalla repressione. Per svolgere qualsiasi attività sindacale le autorità israeliane pongono come precondizione l'iscrizione all'Istdrute, il principale sindacato sionista.

L'Unione ha sempre rifiutato questa forma di israelizzazione. Soltanto dopo le decisioni prese nell'80 dall'Unione Internazionale dei Lavoratori, le autorità israeliane sono state costrette a riconoscere i sindacati palestinesi operanti prima del '67, ponendo però delle pesanti condizioni: in primo luogo cercarono di imporre ai sindacati soltanto gli stessi iscritti che Ii componevano prima della loro chiusura, bloccando il tesseramento; ad esempio i 12.000 muratori e falegnami iscritti al sindacato ai tempi del dominio egiziano, si ridussero ad appena 49 iscritti dopo il riconoscimento israeliano. Per aprire le porte dei sindacati a tutti gli operai ci sono voluti 6 anni di lotte.

Un'altra condizione posta per la riapertura del sindacato era il blocco della erogazione dei servizi a favore dei lavoratori, il blocco delle assemblee e perfino il divieto di celebrare il l° maggio. Gli israeliani volevano ridurre il nostro sindacato ad un simulacro, togliendogli ogni capacità di incidere sui rapporti produttivi. Naturalmente, tutte queste condizioni sono state rifiutate e il sindacato ha continuato a radicarsi e a fornire servizi, soprattutto quelli sanitari. Nell'87 i sindacati hanno deciso di indire le elezioni interne a dispetto degli israeliani. Prima che le elezioni potessero aver luogo le autorità israeliane hanno emesso un ordine di chiusura per tutti i sindacati, diversi sindacalisti sono stati arrestati e interrogati dalla polizia. Il 22 febbraio dell'87 l'esercito ha circondato la sede sindacale di Gaza e poco dopo l'ha sgomberata.

Ma le elezioni si sono svolte, nonostante la repressione, nella sede della Croce Rossa. Prima, durante e dopo le elezioni molti operai iscritti al sindacato sono stati minacciati dall'esercito ed arrestati. Otto membri del comitato centrale sono stati diffidati dal recarsi alla sede sindacale, ma questa diffida è stata ignorata e i compagni sono venuti lo stesso al sindacato ed hanno svolto il loro lavoro; in seguito a ciò il sindacato è stato invaso da un reparto dell'esercito addetto ai conflitti con i lavoratori, gli otto membri sono stati arrestati e il loro processo deve ancora essere celebrato. Durante l'Intifada la repressione si è abbattuta con durezza sui sindacalisti e sui sindacati: le sedi sono state ripetutamente distrutte, chiunque entrasse veniva picchiato.

Oggi la repressione è durissima: nessun sindacalista può lasciare Israele ed alcuni non possono neppure uscire da Gaza.

Qual'è il rapporto tra il sindacato e l'Intifada?

La repressione antioperaia è all'origine dell'Intifada e la classe operaia ha dimostrato di essere la più attiva sul campo. La politica israeliana, che tende alla distruzione dell'Intifada, sa dunque che i lavoratori sono i nemici principali e devono essere colpiti direttamente.

I lavoratori, inoltre, subiscono una repressione sia di classe che nazionale: il fatto stesso di lavorare li mette spesso nelle condizioni di venire arrestati. Per esempio, quelli di noi che lavorano nei territori del '48, devono, per legge, essere accompagnati e riaccompagnati dai datori di lavoro nei posti di lavoro; dato che è raro che ciò accada, sono numerosi i lavoratori che vengono arrestati per questo motivo.

La repressione colpisce prima di tutto a livello economico: il progetto di annientamento del proletariato palestinese comporta che gli operai vengano tenuti al livello di mera sopravvivenza. Malgrado ciò gli operai sono in prima linea nell'Intifada.

Fino adesso abbiamo visto la posizione del sindacato rispetto alla questione nazionale. Come si manifestano le contraddizioni di classe all'interno della società palestinese?

Attualmente il rapporto tra operai e padroni dell'industria palestinese è quello di tutte le società borghesi. Nelle poche fabbriche esistenti, sono ancora pochi i diritti che i padroni palestinesi riconoscono agli operai, i comunicati del Comando Unificato dell'Intifada costringono i datori di lavoro a riconoscere alcuni diritti fondamentali.

E' vero che la lotta per la liberazione nazionale tende a mettere in secondo piano la questione operaia, ma è anche vero che l'occupazione israeliana ha una forte valenza antiproletaria e che lo scontro tra questa e i sindacati è altissimo.

I sindacati continuano a condurre la lotta di classe insieme a quella per l'indipendenza nazionale, anche contro i piccoli industriali palestinesi. Gli obiettivi strategici dell'Intifada, "Stato" e "Indipendenza" sono gli stessi dei proletari; per Stato non si intende uno Stato qualsiasi, ma uno Stato popolare nel quale i rapporti sociali siano diversi.

C'è una specificità della questione femminile all'interno della classe operaia palestinese?

Le lavoratrici guadagnano meno dei lavoratori; inoltre le condizioni sociali, culturali e religiose della striscia di Gaza hanno fatto sì che le donne non siano state, prima dell'Intifada, soggetti attivi nelle lotte.

Siamo consapevoli che, quando si parla di proletariato, non si può fare distinzione tra uomo e donna e in questo senso l'Intifada ha fatto avanzare questo concetto: la donna ha preso coscienza di classe e ciò si riflette nei comunicati del Comando Unificato che riferiscono continuamente della lotta delle donne nella società, nella fabbrica e nella famiglia. Per la prima volta nella nostra storia alcune donne lavorano nei Comitati del Sindacato.

Quali sono le vostre prospettive?

Stiamo lavorando per una unione sindacale di tutti i lavoratori palestinesi. Attualmente c'è un Comitato che tenta di unire gli operai di Gaza e Cisgiordania, le autorità israeliane cercano di impedire questa ricomposizione.

Riteniamo che la solidarietà internazionale sia molto importante e che la questione del proletariato palestinese sia una questione internazionale e che come tale debba ricevere la solidarietà di tutti i lavoratori del mondo .Una volta abbiamo ricevuto una visita dei sindacati italiani, ma dopo quella visita i contatti si sono interrotti.....

In che rapporto siete con l'OLP?

Né prima né dopo la guerra del Golfo c'è stata una separazione tra interno (territori occupati) ed esterno. La nostra coscienza ci porta a criticare gli errori ovunque siano commessi: dentro o fuori. Non c'è mai stata crisi tra interno ed esterno, anche se abbiamo molte critiche su come è costruita l'Organizzazione. Infatti il popolo palestinese, che è organizzato politicamente da molto tempo, porta avanti una critica sulla distribuzione delle forze nell'OLP. Le percentuali con cui le forze politiche vi partecipano sono rigide e spesso non riflettono ciò che la base vorrebbe, e pertanto essa non si sente rappresentata, come nel caso della "Conferenza di pace".

A proposito di "Conferenza di pace", cosa ne pensate?

L'Intifada è scoppiata per lo Stato palestinese e per l'Indipendenza e non si fermerà se prima non avrà raggiunto questi obiettivi.

Tutte le conferenze, le proposte, le visite di Baker & company non ci interessano.

C'è chi dice che per ora l'Intifada è ferma; ma il popolo palestinese ha dimostrato di saper sempre rilanciare la lotta. Noi sappiamo che non esistono soluzioni alla questione palestinese che non nascano nelle strade e nella nostra terra.

Né i paesi arabi, né la stessa OLP hanno il diritto di decidere per noi.

Gli USA vogliono dominare il mondo e soprattutto i palestinesi. Le visite di Baker non sono altro che un tentativo di allargare lo Stato Israeliano. L'esperienza ci ha insegnato che la volontà del popolo non può essere distrutta; noi non aspettiamo che Bush o altri applichino il diritto internazionale, ma chiediamo alle masse in Europa e in Italia di lottare per cambiare i loro Stati e trasformare le decisioni che questi hanno preso sulla questione palestinese.Tutte queste visite e queste conferenze saranno un fallimento totale perché non tengono conto della volontà del nostro popolo.

Abbiamo solo due soluzioni: la pace, che può nascere solo dall'unione di tutti i popoli del mondo; oppure continuare la lotta.

Su queste due possibilità dobbiamo costruire la nostra indipendenza.

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PALESTINA: APPUNTI DI VIAGGIO

Il 30 ottobre 1991 è iniziata la "Conferenza di Pace sul Medio Oriente".

I mass-media di tutto il mondo l'hanno definita un'occasione "storica" in cui, per la prima volta dopo 40 anni, arabi e israeliani siedono allo stesso tavolo per discutere e "fare" la pace. Ma quale pace? La realtà è che per la prima volta da quando è nato il conflitto arabo-israeliano, l'imperialismo occidentale (USA in testa) si trova davanti la possibilità di "pacificare", a proprio piacimento, un'area come quella mediorientale, da sempre tra le più instabili politicamente, e nello stesso tempo strategicamente rilevanti, del globo.

Le condizioni che hanno reso possibile ciò, fine del bipolarismo Est/Ovest, la sconfitta dell'Irak, la debolezza politico-diplomatica palestinese, sono davanti gli occhi di tutti. Anche davanti gli occhidel popolo palestinese che, da più di 40 anni di dominazione sionista, si trova adesso spaccato, lacerato diviso sulla propria partecipazione alla "Conferenza di pace" organizzata dai signori della guerra.

Hanno un bel da fare i media di regime a parlare di estremisti fanatici, integralisti islamici, di terroristi contrari alla pace. Difficilmente riusciranno, per l'ennesima volta, a nascondere la volontà del proletariato palestinese e della sinistra rivoluzionaria (FPLP e FDR) che lo rappresenta politicamente, di fondare solo sulla loro lotta la propria liberazione sociale e nazionale, e non su trattative che fanno solo il gioco dell'imperialismo e della destra palestinese (Al Fatah).

Ed è per far emergere il punto di vista di classe all'interno della questione palestinese che si è costituito, qui in Italia, il "Comitato di appoggio alla lotta di classe del popolo palestinese". Sviluppare controinformazione, dunque, ma non solo. Il comitato si prefigge anche l'obiettivo di promuovere e sviluppare rapporti e contatti diretti con i movimenti e le organizzazioni rivoluzionarie palestinesi nella prospettiva della rivoluzione mondiale contro la barbarie verso cui ci sta trascinando l'imperialismo sia nei paesi del Centro che in quelli della Periferia.

Per raggiungere questi obiettivi il Comitato ha pubblicato un bollettino di Controinformazione, ha organizzato recentemente un viaggio in Palestina e promuoverà tutte le iniziative (assemblee, dibattiti, mostre, video, manifestazioni ecc.) che riterrà più opportune. Le interviste che seguono sono tratte dal bollettino Intifada Hamra; sono il frutto di alcune discussioni tenute quest'estate dai compagni del comitato con alcune realtà di lotta in Palestina.

Comitato di appoggio alla lotta di classe in Palestina

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