CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.5

RISTRUTTURAZIONE E SINDACATO

FIAT: qualità totale e nuovi assunti - da "Lavorovivo" n. 3, Torino, febbraio 1991

Il dibattito politico sulla classe operaia FIAT sconta oggi la sconfitta subita con i 35 giorni dell'80 e l'assenza, per non dire il disinteresse, della sinistra sia riformista sia rivoluzionaria, su quello che resta il più importante e al tempo stesso il più complesso polo di classe in Italia. In questo polo si incrociano tali e tante tendenze, sia nazionali sia locali, dalla crisi del PCI, al salto tecnologico, alle nuove culture giovanili, al problema dell'eroina, che da qualunque punto si affronti questo dibattito può sembrare arbitrario.

Noi cominciamo dalle due principali novità che hanno interessato il polo FIAT quest'ultimo anno. La prima di esse è il problema della "qualità totale", divenuto pubblico con il discorso di Cesare Romiti al meeting annuale dei dirigenti del gruppo all'Isvor di Marentino, la scuola dei manager FIAT, dell'ottobre dell'89. Per capire il senso della questione occorre risalire agli anni 70, un periodo caratterizzato dalla presenza di un alto livello di soggettività antagonistica operaia. Con questa espressione intendiamo la capacità operaia di costituire una comunità unica, che superasse le divisioni di età, regione, professionalità e cultura, per imporre sulla base dei rapporti di forza diretti e frontali i propri bisogni, sia nel senso del loro soddisfacimento monetario (aumenti salariali) sia nel senso del rifiuto del lavoro (riduzione effettiva di orario). La FIAT non era in grado né di introdurre significativi salariali, né di aumentare in modo rilevante la produttività, ed era costretta a ricostruire i propri margini di profitto decentrando la produzione nell'appalto e nel sub-appalto o attraverso canali speculativi e finanziari.

L'attuale quadro medio e basso della gerarchia aziendale si è formato in presenza di quella soggettività, con il preciso scopo di contenerla e distruggerla, ogni capo si era abituato a considerare nemico ogni operaio, capace solo di sabotare o scioperare ogni volta che gli voltava le spalle. Questa gerarchia aveva quindi costruito la sua cultura, il suo ruolo, e anche il suo potere contrattuale verso la direzione, nella capacità di prevenire e reprimere la lotta e l'organizzazione, di spiare e reprimere i delegati e le avanguardie, sia in forma aperta sia in forma sotterranea quando la prima non era possibile.

Questo ruolo era funzionale al progetto della FIAT di ridurre anche fisicamente la presenza umana nella produzione diretta e complementare al blocco del tunr-over, alla Cassa Integrazione, ai prepensionamenti e alle dimissioni incentivate, per sostituirla con robot e ridimensionarla anche politicamente. Questi due processi intrecciati, la repressione quotidiana della soggettività antagonista e la riduzione della presenza umana nella produzione, sono arrivati a conclusione con la marcia dei 40.000, che è stato il momento di massima rappresentazione del quadro di comando. Dopo di allora la produttività e la produzione alla FIAT non hanno fatto che aumentare, sia per la diversa organizzazione del lavoro sia per l'assenza di ogni rete di solidarietà e resistenza all'interno dei reparti.

L'attuale capacità produttiva della FIAT (inclusa l'Alfa) è di 2 milioni di vetture all'anno, che diventano 2 milioni e 300.000 se si calcolano gli stabilimenti all'estero. Con i nuovi impianti di Melfi e Pratola Serra nel '94 la capacità produttiva salirà a 2 milioni e mezzo. destinati a diventare 3.500.000 nel '95 con i nuovi stabilimenti in Polonia e in URSS.

Oggi però il problema della FIAT è completamente diverso. Con l'unificazione del mercato europeo essa dovrà affrontare la concorrenza delle auto tedesche nelle fasce alte di cilindrata e giapponesi in quelle basse. In particolare i giapponesi, in presenza di una contrazione del mercato nordamericano, dove già occupano il 30%, aumenteranno la loro penetrazione in quello europeo, dove nel '90 per la prima volta hanno superato il milione e mezzo di vetture consegnate. Sennonché a questo punto si impone il problema della qualità del prodotto, inesistente in una situazione di monopolio.

Le auto FIAT cominciano a funzionare male dopo 60.000 km., le altre vanno ancora bene dopo 100.000. Le auto FIAT presentano 104 difetti ogni 100 veicoli, quelle giapponesi solo 52, il 40% delle Dedra a fine linea sono da revisionare. La FIAT non ha quindi più il problema di aumentare quantitativamente la produzione ma quello di migliorarla qualitativamente, e questo è impossibile senza un minimo di intervento e attenzione umana. La sua strategia diventa quindi non più ridurre la presenza umana a vantaggio dei robot, ma coinvolgerla maggiormente nella produzione, ottenere il consenso di ogni singolo operaio agli obiettivi dell'impresa. In altre parole deve ricostruire la soggettività che aveva distrutto, ovviamente non in senso antagonistico. In che modo possa avvenire, ancora non è possibile prevedere. Le gare di qualità, i quiz a premi e i circoli finora hanno coinvolto 6-7.000 operai, cioè una percentuale irrisoria.

La distruzione della comunità operaia antagonista ha prodotto una riduzione delle ore perse in scioperi e fermate e dei partecipanti agli scioperi stessi, come si è visto anche dalla partecipazione agli scioperi contrattuali rispetto alla media della categoria, ma non ancora un'adesione individuale alle ragioni dell'azienda. La FIAT non è riuscita a diventare la nuova comunità integrale in cui gli operai si sentissero tutt'uno con capi e dirigenti. Quello che è certo è che il quadro di comando medio-basso si presenta oggi del tutto inadeguato a questo scopo, dovrà cambiare funzioni e cultura, dovrà cambiare il suo modo di vedere e rapportarsi all'operaio.

Questo significa una profonda riqualificazione di questo quadro, con le inevitabili rotture, e non è detto quanto tempo e quante resistenze questa riqualificazione incontrerà. Del tutto interno a questa strategia è, ancora una volta, l'atteggiamento del sindacato che, con varie sfumature, ha accolto come una vittoria il discorso di Romiti, come si vede dai seminari e dai convegni in cui si esalta la qualità e si sottolinea che la produttività non sarebbe più il nemico da battere. I sindacalisti hanno all'unanimità considerato come una maggiore considerazione del ruolo dell'uomo rispetto a quello della macchina o, addirittura, come un invito al sindacato a partecipare alle scelte e alle decisioni dell'azienda quello che è semplicemente una riorganizzazione dei rapporti di fabbrica in vista delle nuove esigenze di mercato.

L'inversione di tendenza all'espulsione di manodopera si è evidenziata con l'assunzione di 25.000 giovani tra l'87 e l'89 nel settore auto, 50.000 in tutta la FIAT, il 55% in contratto di formazione-lavoro e il 45% per passaggio diretto, tra i venti e i venticinque anni, e che oggi sono già il 30% dei dipendenti.

Quelli in contratto di formazione-lavoro sono stati quasi tutti confermati dopo 18 o 24 mesi. Gli operai sono stati inquadrati al IV livello, dopo essere passati per il I e il II durante la "formazione", gli impiegati tra il IV il V. La maggior parte ha un diploma di scuola media, quelli con diploma di scuola superiore sono entrati tra gli impiegati. La percentuale di donne è del 36%, contro il 15% del totale dei dipendenti FIAT. Molta attenzione a loro dedica la FIAT, che ha svolto campagne nelle scuole superiori torinesi per cercare nuova manodopera e ha istituito il "tutor", con il compito di seguire i primi approcci e le prime impressioni dei nuovi assunti con la fabbrica, evidentemente ritenendo inadeguato il capo tradizionale.

Fin qui i pochi dati oggettivi che è possibile conoscere, sufficienti però per dire che, per il numero e le caratteristiche, i nuovi assunti sono destinati a dare la loro impronta allo scontro di classe alla FIAT, e che questa impronta sarà del tutto diversa da quella delle generazioni operaie che li hanno preceduti. Essi si distinguono infatti sia dall'operaio-massa degli anni 60, il protagonista dell'"autunno caldo", sia dai nuovi assunti del 77-78. Il primo infatti, dopo essere fuggito dai campi, considerava la condizione di operaio come quella definitiva, tentava di usare la fabbrica come luogo centrale di socializzazione. Inoltre egli era privo di esperienza sindacale ed estraneo alla cultura della contrattazione, ed esprimeva il proprio antagonismo al di fuori delle strutture e delle norme del sindacato, tanto che quest'ultimo aveva dovuto risconoscere e inglobare i Consigli per riconquistare la rappresentatività di questo soggetto.

I nuovi assunti del 77-78 invece erano entrati in fabbrica dopo aver già fatto un percorso politico nel movimento degli studenti o nei circoli giovanili, ed erano già inseriti nei circuiti d'informazione e comunicazione della metropoli.

Essi consideravano la fabbrica come la loro destinazione provvisoria, di essa rifiutavano non solo l'organizzazione produttiva ma anche la possibilità di usarla come luogo di socializzazione, che cercavano invece sul terrotorio. Gli stessi blocchi stradali messi in atto dai nuovi assunti nel contratto integrativo del '79 vanno intesi come altrettanti tentativi di portare l'antagonismo fuori dalla frabbrica, di comunicare con la metropoli, a differenza dei cortei interni che erano stati una delle forme di lotta privilegiate dall'operaio-massa.

I nuovi assunti di oggi arrivano alla FIAT dopo il "grande vuoto" degli anni 80, non hanno avuto nessuna esperienza politica, non sono stati nemmeno sfiorati é dalla cultura riformistica del movimento operaio ufficiale né da quella "trasgressiva" degli anni 70.

Ciò nonostante non dimostrano per ora estraneità né al conflitto né al sindacato. La maggior parte magari aspetta di essere stata assunta a tempo indeterminato prima di prendere la tessera CGIL, ma intanto partecipa agli scioperi, pur sapendo che questo significa entrare nelle "liste nere" dei capi e l'impossibilità di essere trasferiti a mansioni meno faticose. Non criticano il sindacato in quanto tale ma taluni suoi aspetti come la burocratizzazione, il fatto che le scelte importanti non vengano discusse in fabbrica, la scarsa attenzione ai giovani e alle donne, la gestione degli scioperi. Alcuni sono già diventanti delegati e altri hanno offerto la loro disponibilità per questo incarico.

Si tratta quindi di una generazione operaia priva di memoria del conflitto ma anche della sconfitta. Non si può da essi aspettarsi un'esplosione improvvisa e spontanea come quella del 68-69, ma nemmeno un'adesione passiva alle ragioni dell'impresa. Forse non è nemmeno possibile considerarli come un soggetto unico, ma come una molteplicità di individui, attraversati da tutte le contraddizioni della composizione di classe degli anni 80, sensibili tanto alle tematiche ambientaliste quanto ai luoghi comuni dei mass-media sulla "fine del comunismo", ognuno con propri problemi famigliari, affettivi, economici, di identità.

E' impossibile fare un discorso sui delegati senza dividerli per componenti. La maggior parte delle avanguardie delle lotte di massa degli anni 70, sia dell'operaio-massa sia dei nuovi assunti del 77-78, per lo più si era identificata con la rete dei delegati, il cui massimo potere si manifestava nella rigidità all'interno della fabbrica. Era impossibile trasferire un operaio senza che il delegato fermasse l'intero reparto, per cui il contratto integrativo del '79 che ammetteva la mobilità interna era stato soprattutto un attacco ai delegati.

Quasi tutte queste avanguardie sono state espulse con la Cassa Integrazione dell'80 e con lo stillicidio di dimissioni degli anni successivi. I pochissimi delegati superstiti con una cultura classista e conflittuale sono un'esigua minoranza, sono quasi tutti della FIOM, di DP o del fronte del NO del PCI.

Questi, finito il ciclo di lotta che li ha prodotti, hanno continuato la loro battaglia all'interno della struttura sindacale a colpi di emendamenti e mozioni e sono i promotori del movimento degli "autoconvocati".

Quest'ultimo deve il suo originario successo alla riorganizzazione in senso verticale del sindacato che, esautorando i delegati da ogni decisione, provoca varie reazioni centrifughe di cui gli autoconvocati sono la più rilevante. Ma il movimento sconta proprio la sua origine, cioè l'impossibilità di coinvolgere gli operai in una battaglia che si esaurisce all'interno del sindacato e votata all'insuccesso, e oggi si trova in una fase di profonda ridiscussione.

Una seconda componente, non del tutto identificabile con la prima, è quella dei delegati che tentano di riorganizzare l'antagonismo nei reparti, che promuovono le fermate in occasione degli infortuni e che partecipano ai picchetti. La maggior parte di questa componente non si riconosce in alcuna forza organizzata, almeno in modo militante, nemmeno negli autoconvocati, è la più dispersa e la più difficilmente raggiungibile da un intervento.

La terza componente, purtroppo maggioritaria, è costituita dai delegati che si fanno portavoce della linea dei vertici sindacali, che significa accorrere quando c'è una fermata spontanea per farla rientrare, che propongono l'esposto alla direzione come unica risposta agli infortuni, che non fanno nulla per fare riuscire gli scioperi, non distribuiscono volantini che li proclamano e non partecipano ai picchetti.

Un intervento sulla classe operaia FIAT, dato il ritardo di cui si diceva all'inizio, deve avere alcune caratteristiche in assenza delle quali è condannato alla sconfitta. Non bisogna attendersi da un momento all'altro un ciclo di lotta paragonabile a quelli passati, magari esterno al sindacato. Il capitale assegna al sindacato (tutte le Confederazioni in tutte le correnti) la funzione di mediare il conflitto di classe all'interno delle proprie compatibilità. Ma il sindacato in passato non ha svolto in modo compiuto e lineare questo ruolo, sia per la pressione della lotta di massa, sia per la presenza al suo interno delle avanguardie prodotte da quella lotta. Solo ora esso può compiutamente e finalmente cominciare a svolgerlo, e per questo si sta riorganizzando in modo verticale e burocratico. Questo ruolo è ormai completamente acquisito per la UIL e la CISL, a parte alcune eccezioni, ma è ancora fonte di contraddizioni per la CGIL.

Oggi il sindacato alla FIAT è attestato sul 12% e anche nei momenti migliori non ha superato il 30%, ma il dibattito politico tra i delegati e i lavoratori e i pochi momenti di conflittualità passano attraverso esso, attraverso i Consigli e le Leghe.

Non esistono più, se mai sono esistite, le mitiche "avanguardie autonome". Di conseguenza un intervento alla FIAT deve essere autonomo dalle contraddizioni e dagli accordi (scritti e non scritti) tra le Confederazioni e le correnti sindacali, ma al tempo stesso non può limitarsi alla denuncia del ruolo storico del sindacato ripetuto all'infinito, e tanto meno consistere in un programma rivoluzionario compiuto che deve solo essere allargato consensualmente e numericamente.

Deve invece essere capace di entrare nel merito dei problemi di cui discutono i delegati e gli operai, deve essere capace di esprimere un giudizio su ogni iniziativa o presa di posizione del sindacato, giudizio che può essere positivo o negativo secondo le circostanze.

Deve riannodare le fila dell'antagonismo di una classe operaia com'è e non come si vorrebbe che fosse.

[da Lavorovivo, Torino, n.3 febbraio 1991]

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