CONTRIBUTO DI UN GRUPPO DI OPERAI CAMPANISiamo una rete di giovani operai di fabbriche campane e siamo felici di contribuire al dibattito sulla repressione con un nostro breve intervento. Partendo dalla nostra esperienza di fabbrica presupponiamo che la repressione ed il controllo sono elementi insiti nel rapporto di lavoro. Dopo l'ultima ondata di ristrutturazioni, con la conseguente massiccia innovazione tecnologica, chi lavora in fabbrica è sottoposto ad una serie di pressioni, controlli anche sui singoli spostamenti, nonché a ritmi di lavoro sempre in aumento, a pause sempre più rare e brevi, tali da rendere la fabbrica una vera e propria "prigione quotidiana di otto ore" (solo otto per ora). L'organizzazione della fabbrica, almeno per quanto ci riguarda, ma crediamo che il ragionamento sia valido in generale, tende a dividere e spezzettare in mille modi gli operai creando delle vere e proprie categorie o gerarchie fittizie, come ad esempio operai vecchi/operai giovani; operai addetti a mansioni importanti, altri a meno importanti e così via. La fabbrica come luogo di aggregazione immediata, progressivamente scompare per lasciare il posto a forti spinte individuali, a scappatoie soggettive, a microinteressi specifici che stanno seriamente facendo perdere di vista il più generale interesse di classe. In questo periodo, ad esempio, ci sono state mobilitazioni su varie questioni, come ad esempio quella sul rinnovo del contratto dei metalmeccanici, e ciò che abbiamo sperimentato è addirittura la difficoltà a comunicare con altri lavoratori e quindi la difficoltà nell'organizzare iniziative e mobilitazioni di ampio respiro. Il sindacato in questa situazione gioca anch'esso un ruolo primario, in quanto la maggior parte dei processi di ristrutturazione e concentrazione vengono già decisi a livello dirigenziale, al punto che anche i delegati giovani sono privi di informazioni essenziali per poter organizzare una qualsiasi forma di mobilitazione. Per fare un esempio, la creazione di un polo informatico a Marcianise, che sta avvenendo in questo periodo (con rilevanti conseguenze dal punto di vista occupazionale) è stata gestita direttamente a livello nazionale, senza nessuna informazione da parte dei lavoratori. Benché tutto ciò si traduca in licenziamenti e aumenti dei carichi di lavoro. Ogni iniziativa spontanea viene prontamente soffocata dal sindacato con le buone o con le cattive, cioè: o se ne assume la paternità e si appropria dei contenuti, travolgendoli; o le reprime con la denuncia e la criminalizzazione, appunto per dimostrare che tutte le iniziative devono "uscire" solo dal sindacato e basta. Tutta la propaganda che poi ascoltiamo sulla flessibilità, sulla ristrutturazione che poi si traduce in esuberi di personale, sulla libertà di licenziare ecc., se da un lato si pone l'obiettivo di rendere più precario e meno stabile il lavoro, dall'altro punta a condizionare la coscienza dei singoli lavoratori al punto da far nascere vere e proprie forme di autorepressione. L'obiettivo infatti non è solo quello di rendere i padroni liberi di disporre di manodopera flessibile al massimo e non regolata da alcun contratto nazionale, bensì anche quello più profondo di far diventare il lavoratore "poliziotto di se stesso". Nell'instaurare cioè un rapporto di lavoro con una mente già plasmata ed educata alla logica della flessibilità totale, asservendola completamente alla logica padronale. Tutto ciò anche attraverso i nuovi modelli culturali che si impongono sempre più attraverso i media, riguardanti appunto il lavoro in generale. Questo è, se vogliamo, il significato che noi diamo al concetto di repressione. Repressione e controllo di duplice tipo. Da un lato quella esterna che, ad esempio, scandisce con un suono elettronico ogni movimento del singolo operaio nella fabbrica, o che si riconosce nei controlli dei capisquadra che girano nei reparti; dall'altro quella della totale alienazione che vuol rendere gli operai delle macchine che subiscono passivamente le condizioni di lavoro vissute come dato di fatto immutabile. Come dicevamo, noi siamo una rete di giovani operai e siamo convinti che il prendere coscienza di tutto ciò che avviene in fabbrica, e non solo, sia il punto di partenza per creare da un lato la possibilità di resistere e rompere questa gabbia, e dall'altro quella di crescere e dare una risposta concreta a tutto ciò, per ottenere concreti miglioramenti nelle condizioni e nei carichi di lavoro. L'informazione e la comunicazione delle esperienze reali, per noi è di vitale importanza e crediamo sia uno dei principali tasselli per fronteggiare la repressione che non significa solo prigionieri e compagni denunciati. Questi sono la punta estrema della catena repressiva, che, a nostro avviso comincia con il subirla quotidianamente chi lavora o lotta per un lavoro che non ha, o che manifesta per una scuola migliore e così via.... marzo 1999 |