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All'apertura di un altro processo cosiddetto alle BR, di pochi mesi successivo ai precedenti, le dinamiche politiche scaturite dal rilancio della strategia della Lotta Armata operato dalle BR-PCC, continuano a ipotecare i progetti della borghesia di assestamento del suo dominio tramite la rimodellazione economico-sociale e le corrispettive riforme politico- istituzionali in atto funzionali alle necessità odierne della borghesia imperialista di governo della crisi e del conflitto e alla stabilizzazione interna quale base di forza per la partecipazione del paese alle strategie di guerra e controrivoluzione dell'imperialismo. Dovendo essi marciare nel quadro di contraddizioni e tensioni dello scontro di classe attuale in cui la borghesia non può attaccare apertamente le posizioni del proletariato e conquistare rapidamente terreno, l'iter, i contenuti e la gestione dei momenti giudiziari che riguardano militanti BR e rivoluzionari prigionieri, vengono investiti dalla ricerca dello stato di ipotetici punti di forza politici funzionalizzabili a divaricare la classe dal terreno rivoluzionario. E questa volta lo stato può avvalersi dell'assenza dall'aula di alcuni militanti prigionieri e segnatamente di coloro che rappresentano soggettivamente il rilancio per attenuare il risvolto politicamente a suo sfavore che svolge la presenza stessa dei militanti BR e rivoluzionari che rivendicano tale percorso sul tentativo costante di negare l'attualità politica dell'opzione rivoluzionaria e di fare del processo un momento di riaffermazione del potere dello stato da riversare sullo schieramento di classe e rivoluzionario. Una condizione che, se è determinabile automaticamente con l'adozione di un regime di prigionia quale il 41 bis che prevede l'assenza dal processo di coloro a cui viene applicato sopperendola con artifici tecnologici, segnala anche come, rispetto ai trenta e più anni trascorsi, in cui lo scontro tra rivoluzione e controrivoluzione ha attraversato periodi in cui i rapporti di forza sono stati maggiormente favorevoli alla rivoluzione di quelli attuali e pur tuttavia i militanti prigionieri sono sempre stati fisicamente presenti nelle aule giudiziarie fino a qualche mese fa, si è notevolmente ridotta la soglia di tolleranza dello stato borghese alle contraddizioni per il suo potere, fattore che la dice lunga sulla sua debolezza politica odierna di fronte all'opzione rivoluzionaria e a quanto la strategia della Lotta Armata ha attestato nello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione e classe e stato.
Attestazioni che sono il portato del rilancio dell'attacco allo stato e della strategia della Lotta Armata realizzato dall'avanguardia rivoluzionaria di classe misurandosi con i termini con cui la borghesia ha rafforzato il suo dominio e assestato la subalternità della classe dominata a partire dagli anni'80, stabilizzando una relativa irreggimentazione del conflitto sociale e gli strumenti e le modalità di depotenziamento ed emarginazione dell'iniziativa politica autonoma di classe. termini di dominio con cui ha ottenuto una tendenziale disposizione difensiva del proletariato in un quadro generale di rarefazione dello scontro di potere per parte proletaria in quanto, nella stasi dell'intervento combattente delle BR e in assenza della politicizzazione che imprime al conflitto di classe, lo scontro è stato privato del ruolo politico svolto dall'affermazione degli interessi generali del proletariato e della loro prospettiva di potere e storica, contrapposto alla sua frammentazione nella molteplicità di interessi particolari e al convogliamento di parte di essi nelle compatibilità con le esigenze della borghesia imperialista, così che, ad ogni passaggio politico venivano a maturarsi ulteriori termini di approfondimento della subalternità politica della classe e di arretramento delle sue condizioni materiali. Il rilancio è stato praticabile da avanguardie rivoluzionarie che negli anni'90 hanno assunto soggettivamente i termini complessivi di patrimonio rivoluzionario più avanzati, verificati dalle BR-PCC nello scontro allora ventennale con lo stato e la borghesia imperialista, ed in particolare nello sviluppo avuto nella fase politica di cui gli anni '90 stessi erano l'evoluzione, con la riaffermazione della capacità offensiva politico-militare dell'avanguardia comunista combattente al punto più alto dello scontro nel quadro degli indirizzi della Ritirata Strategica a fronte della controffensiva dello stato e del suo dispiegarsi sulla classe provocandone l'arretramento dalle posizioni di forza e politiche su cui si trovava. Ciò perchè solo in forza della proprietà offensiva della Guerriglia che incide nei rapporti di forza in qualunque condizione dello scontro e quindi anche nella più sfavorevole, e a partire dalle linee storicamente dimostratesi in grado di portare l'attacco allo stato e di incidere sul piano classe/stato, facendo fronte al suo contrattacco, e cioè di preservare nello scontro il ruolo dell'offensiva di classe autonoma al suo livello più alto mentre il dato controrivoluzionario si consolida, l'avanguardia rivoluzionaria operandone lo sviluppo corrispettivo alle evoluzioni dello scontro nella prassi rivoluzionaria messa in atto, poteva sottrarsi all'arretramento prodotto nel campo proletario e rivoluzionario da una fase politica connotata dalla sedimentazione nello scontro di classe di un processo controrivoluzionario che aveva mutato a favore della borghesia gli stessi termini della mediazione politica storica con il proletariato, e riavviare nel quadro di discontinuità determinatesi la ricostruzione di forze rivoluzionarie e proletarie e di posizioni di forza relativa nello scontro con lo stato e la borghesia. In altre parole, ad ogni avanguardia rivoluzionaria di classe che non volesse venir meno all’esercizio di un ruolo politico riferito agli interessi generali e storici del proletariato, si poneva ineludibilmente il nodo dell’approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione per come vi aveva inciso la prassi rivoluzionaria e, per contro, per come lo stato, ridefinendo le strategie politiche e militari sperimentate per annientare le BR e sterilizzare il movimento di classe dalla politicizzazione favorita dalla dialettica d’avanguardia, vi si era contrapposto per contenerla. E questo a pena dell’impossibilità di definire una prassi adeguata ad evitare l’arretramento e viceversa ad incidere nello scontro e a trasformare i termini sul terreno rivoluzionario. Misurandosi con questi nodi politico-strategici, il percorso del rilancio ha sviluppato gli elementi di impianto strategico e costituito un avanzamento nel processo rivoluzionario e nella costruzione del PCC perchè ha dimostrato che è possibile produrre un processo di costruzione autonoma che sia allo stesso tempo passaggio di costruzione del Partito perchè ha realizzato un piano di attivazione centralizzato politicamente che esalta la capacità della linea politica e del programma delle BR-PCC di essere elementi concreti di direzione sulla classe e sul campo rivoluzionario e ha verificato il valore di tipo storico che ha la linea politica generale attestata dall’O. nello scontro.
Il rilancio dell’attacco delle BR-PCC, in specifico ai progetti della borghesia di riforma e rimodellazione economico-sociale e dello stato, rideterminando lo scontro intorno al nodo del potere, ha aperto un varco offensivo nella difensiva di classe, nel quale ha potuto rafforzarsi e avanzare relativamente la sua resistenza e le sue istanze autonome di contro alla offensiva della borghesia. Offensiva che la borghesia si prefiggeva di portare avanti governando il conflitto secondo le formule proprie al rapporto politico neocorporativo costruito dallo stato con la classe che avrebbero dovuto evolversi ed ottenere consolidamento con il “dialogo sociale” nel quadro della riorganizzazione delle relazioni tra le classi in cui le Riforme del Lavoro, con lo smantellamento delle conquiste operaie, sterilizzando a monte il conflitto,sono funzionali a garantire i livelli di sfruttamento oggi richiesti dal capitale e a spingere la classe verso la subordinazione politica. E che invece ha dovuto fare i conti con l’attacco delle BR-PCC con l’azione D’Antona nel’99 e Biagi nel 2002, in dialettica con l’opposizione di classe alle riforme e con il rilancio dell’alternativa di potere proletaria alla crisi economica politica e sociale della borghesia imperialista.
Attacco dell’O. che ha tolto offensività all’azione della borghesia e degli esecutivi e ha fatto risaltare la vulnerabilità politica di progetti di rimodellazione e riforma della borghesia imperialista che, realizzandosi in un contesto economico generale che in questa fase storica non è espansivo, si contrappongono direttamente e pervasivamente tantro nella metropoli che nei paesi dipendenti alle condizioni del proletariato metropolitano e dei popoli. In specifico, la crisi del modo di produzione capitalistico si è riversata con particolare gravità sull’economia del nostro paese a causa delle storiche debolezze strutturali del capitalismo italiano e delle scelte compiute dal capitale monopolistico autoctono nel misurarsi con i termini di concorrenza ridefiniti dall’approfondimento dell’internazionalizzazione nel quadro della penetrazione a est in cui si andavano ridisponendo posizioni e gerarchia delle formazioni economico-sociali. Scelte che, sostenute dalle politiche degli esecutivi volti a favorirne la competitività, non sono state tali, nè avrebbero potuto, da sviluppare produzioni di punta e attività economiche che, solitamente accentrate nei paesi capitalisticamente avanzati, preservassero posizioni elevate nella gerarchia delle F.E.S., flussi di capitali e tenuta complessiva dell’economia. Viceversa hanno indebolito la struttura produttiva ed inciso profondamente sulle condizioni del proletariato, dapprima rendendo stabile una diffusa disoccupazione e una condizione di bassi salari e tagli alla spesa sociale e poi, nel quadro dei patti tra Esecutivo, Confindustria e Sindacati hanno avviato una precarizzazione generalizzata della nuova forza-lavoro e l’abbassamento dei salari al di sotto della soglia storica di sussistenza, allargando l’impoverimento ad ampi strati sociali, nel perpetuarsi della tendenza all’arretramento dell’economia, nel complicarsi del quadro dei fattori economici da governare e nel permanere delle istanze della borghesia imperialista di ulteriore sviluppo di riforme che abbattono gli ostacoli ai livelli di sfruttamento di cui ha bisogno. Una situazione critica, in cui le linee economiche e le riforme strutturali richieste dalla borghesia imperialista asfissiano l’economia e paralizzano le contraddizioni antagoniste e che spinge lo stato ad assumere ruolo nelle strategie belliciste e controrivoluzionarie del polo dominante USA, oltrechè per farsi carico delle necessità di tenuta e rafforzamento del dominio imperialista, anche al fine particolare di recuperare le posizioni perse, partecipando al depredamento dei popoli e usufruendo di contropartite agli impegni militari, scelte che poi fanno i conti con la resistenza che i popoli aggrediti oppongono all’assoggetamento all’imperialismo.
In relazione a questi fattori, nella passata legislatura, l’esecutivo CdL si è indirizzato a forzare le posizioni storiche della classe, in particolare rispetto alle tutele del lavoro dal ricatto del licenziamento, un bersaglio da tempo nel mirino dei programmi della soggettività politica della borghesia nel suo complesso, obiettivo perseguito nel quadro più generale di realizzazione delle linee di riforma elaborate nel Libro Bianco. Linee di riforma antiproletarie e controrivoluzionarie che trovano il sostegno di fondo di uno schieramento che includeva anche la gran parte dell’opposizione istituzionale e dei sindacati confederali.
E’ stato l’attacco delle BR-PCC dapprima al Patto di Natale e poi al progetto del Libro Bianco a rideterminare lo scontro relativamente a favore dell’opposizione ad esso che la classe aveva messo in campo. L’offensiva dell’Esecutivo e della borghesia è stata scompaginata dalla dialettica tra attacco dell’Organizzazione e opposizione di classe e le forze che sostenevano gli indirizzi di riforma del mercato del lavoro e il complesso delle linee di rimodellazione hanno dovuto operare un riposizionamento politico in parte rinunciando a rivendicare esplicitamente l’attuazione o a perseguirne tutti gli obiettivi, in altra parte forzando ulteriormente. Rinunciando sull’articolo 18 e rinviando alla successiva legislatura la ridefinizione dell’intera legislazione del lavoro, l’esecutivo CDL ha dato alla luce quella che definirà la Legge Biagi. Un passaggio compiuto fuori da una cornice politica e negoziale quale quella del patto per l’Italia rimasta inoperante, contando sull’acquiescenza dell’opposizione politica e sindacale istituzionale convergente sugli obiettivi di fondo delle riforme e avvalendosi delle superiori prerogative legislative assunte dagli esecutivi in questi anni, e attuato senza disdegnare di surrogare la perdita di forza politica che ha contrassegnato questo approdo con un rituale che nella denominazione, nei tempi e nei modi di vararla, facesse di questo risultato un’esibizione di potere della borghesia verso al classe e la sua avanguardia. In realtà i risultati conseguiti con la Legge Biagi hanno aperto la strada a un relativo assorbimento dei suoi istituti negli accordi conflittuali, immettendo ulteriori contraddizioni nelle condizioni della classe, ma per un altro verso, per come ha inciso e pesato nello scontro il rilancio dell’attacco allo Stato e la sua dialettica con l’opposizione di classe alle riforme, da un alto sottraendo offensività all’iniziativa dell’Esecutivo e compattezza al vasto schieramento istituzionale a sostegno dei suoi indirizzi antiproletari e dall’altro mettendo al classe su posizioni più favorevoli nel confronto con lo Stato, non sono stati tali da potersi tradurre in una stabilizzazione del dominio della borghesia. Anzi l’insieme delle forzature e strappi operati hanno alimentato il conflitto e mantenuta aperta la divaricazione tra classe e Stato, così che nel passaggio all’attuale legislatura e nell’agenda della nuova maggioranza di centro-sinistra, le contraddizioni politiche sedimentate dallo scontro sulle riforme economico-sociali restano ancora tutte sul tappeto e in un contesto in cui il ritorno a quella linea di gestione delle contraddizioni economiche, sociali e politiche secondo i canoni sperimentati dalla formula concertativi nella negoziazione neocorportativa di cui Confindustria e sindacati confederali hanno ripreso a tessere il filo, dovrà fare i conti con disponibilità di margini economici assai ridotti per comporre un sufficiente equilibrio di interessi sociali compatibili con le istanze della borghesia, e con la sostenibilità del ricorso a ulteriori forzature in una prospettiva in cui al soggettività politica della borghesia stenta a formulare una progettualità generale in grado di rilanciare i termini del rapporto neocorportativo con la classe. D’altra parte non è sul versante del rapporto di dominio dell’imperialismo sui popoli che gli Stati imperialisti, con la partecipazione alla “guerra preventiva al terrorismo” dichiarata dal polo dominante USA all’indomani dell’11/09 contro il nemico interno ed esterno ovunque esso si senta minacciato, hanno tratto forza politica. “Guerra preventiva” che, se esercita una spinta sulle linee controrivoluzionarie interne ad assorbirne i termini politici e militari che la connotano, lo fa contraddittoriamente, sia in rapporto all’evoluzione storica delle prime che vengono forzate, che a causa del suo andamento concerto. Essa stessa infatti non è stata un piano d’avanzamento per le strategie dell’imperialismo, avendo risposto alla necessità di recuperare la perdita di potere deterrente subita con la violazione del territorio USA e di riaffermare la sua egemonia pena l’aprirsi di spazi dia agibilità nella contrapposizione all’imperialismo da parte dei popoli e del proletariato metropolitano spinta dalle contraddizioni antagoniste e fratture disseminate dai processi innescati dalle strategie dell’imperialismo degli anni ’90. Ed essendo le strategie di guerra e controrivoluzionarie del polo dominante rivolte prioritariamente a ridisegnare gli assetti economici, politici e istituzionali della Regione Mediorientale così da rendere funzionali alle necessità delle frazioni dominanti della borghesia e conquistare nei rapporti di forza internazionali posizioni più avanzate nel confronto ad Est, riassetto di cui snodo è l’assoggettamento dell’Iraq, la resistenza contrapposta all’occupazione imperialista dalla guerriglia e dal popolo irakeno fa gravare sugli occupanti lo stallo in cui versa il conflitto a tre anni dal suo inizio e il logoramento politico e militare che subiscono, e sulle evoluzioni delle strategie globali che l’imperialismo mette in campo per far fronte alla sua crisi, fa pesare l’impossibilità per un lungo periodo di stabilizzare il controllo sull’intera Regione dove l’imperialismo e sionismo si scontrano dalla Palestina al Libano all’Afghanistan, con l’indisponibilità dei popoli a piegarsi al loro dominio.
Se ci si riferisce a quest’insieme di fattori politici del quadro di scontro interno ed internazionale si può comprendere come il riadeguamento in atto delle linee controrivoluzionarie generali sia ancora lontano dal costituire un consolidamento del dato controrivoluzionario quale capacità assestata di divaricare la classe dal terreno rivoluzionario e di respingerlo nella difensiva, ma costruisca la risposta dello Stato che si avvale dei risultati militari conseguiti, alla verifica storica della riproducibilità della guerriglia e alla maturità che ha raggiunto la linea politica generale delle BR-PCC riconfermata dalla dialettica che è stata in grado di determinare con la resistenza di classe anche in una discontinuità di percorso rivoluzionario e storico-politica complessiva. Risposta che nel darsi in un contesto in cui lo Stato è impegnato permanentemente nella proiezioni bellicista e controrivoluzionaria dello schieramento imperialista guidato dagli USA e sulle sue linee strategiche si rapporta anche alle necessità che ne derivano per essere congrua a garantirlo e si avvale relativamente e contraddittoriamente dei passaggi politici che hanno consentito di avviarlo e di mantenerlo.
La verifica della riproducibilità della guerriglia e l’indisponibilità della classe a indietreggiare dalle posizioni di resistenza e istanze di autonomia politica rafforzate dal rilancio ha indotto lo Stato ad anticipare la soglia della prevenzione e del contrasto della traducibilità delle istanze di classe sul terreno rivoluzionario comprimendo il conflitto, chiudendo spazi di agibilità politica e intimidendo esplicitamente le espressioni antagoniste alle politiche istituzionali, in generale in funzione della divaricazione della classe dall’opzione rivoluzionaria, ma anche affinché da subito i programmi politici funzionali alle urgenze della borghesia imperialista non vengano vincolati dalla tenuta della resistenza di classe e dalla tendenza delle sue istanze autonome a coagularsi, le quali anzi devono essere erose e ridotte all’impotenza.
Negli indirizzi controrivoluzionari generali hanno ruolo anche le politiche antiguerriglia dello Stato verso i prigionieri rivoluzionari, che si modificano in funzione dell’attacco politico all’Organizzazione BR-PCC nel nostro caso, e dell’intimidazione, del disorientamento e della demoralizzazione del campo di classe e rivoluzionario. In questi ultimi anni con iniziative e forzature a largo spettro sui prigionieri politici , lo Stato ha avviato linee di gestione della prigionia che hanno fatto leva su mezzi più esplicitamente coercitivi quali misure segregative tese in generale ad annientare l’identità politica dei militanti prigionieri e a silenziarne l’espressione, come peraltro è intrinseco alla spirito del regime del 41 bis esteso ai prigionieri politici e applicato per la prima volta agli arrestati del 2003 a seguito dei processi dello scorso anno. Forzature consistite anche in vere e proprie nefandezze del resto rappresentative del degrado politico e civile della borghesia. Un’evoluzione del rapporto Stato/prigionieri che giunge a maturazione attraverso la celebrazione della stagione processuale del 2005 con la quale lo Stato ha concentrato una pluralità di processi coinvolgenti a vario titolo militanti BR e rivoluzionari prigionieri vecchi e nuovi, gestita da Magistratura e Ministeri in modo unitario e che avrebbe dovuto inscenare e dare risonanza sul piano propagandistico a una sorta di chiusura storica con l’opzione rivoluzionaria praticata e proposta a tutta la classe dalle BR, magari decretata persino nelle sentenze… Più concretamente, tale passaggio, in relazione ai rapporti politici reali tra classe e Stato nei quali è il rilancio, rappresentato nei processi dai militanti BR e rivoluzionari che in esso hanno il proprio riferimento politico, ad avere peso dominante, è andato a sfociare nella messa a punto delle condizioni formali su cui poggiare le decisioni segregative e censorie verso i militanti prigionieri, ma anche più in generale il contrasto di posizione antagoniste persino di dissenso che, rappresentando anche solo come presenza e parola una contrapposizione alle politiche statuali e della borghesia sono diventate oggetto ricorrente di iniziative delle procedure e di assalti e accerchiamenti mediatici. Una prassi che è riferibile all’attuale contesto di scontro in cui i rapporti di forza con la classe sono favorevoli allo Stato e alla borghesia, mentre i rapporti politici sono stati modificati dal rilancio relativamente a favore del proletariato, e alla conseguente necessità della borghesia di riconquistare il terreno politico perso e stabilizzare il rapporto di dominio sulla classe a un nuovo livello. In questa prospettiva anche la condotta dei militanti BR e rivoluzionari prigionieri che tradizionalmente nella prigionia e nei momenti processuali ne esprime l’identità politica, viene attaccata con vari espedienti formali criminogeni e mettendo in opera mezzi coercitivi di manipolazione della loro identità sociale e politica. Un attacco che viene riversato in termini di minaccia deterrente verso gli ambiti d’avanguardia e il cui indirizzo informatore è generalizzato calibratamene nel contrasto delle espressioni di autonomia della classe. Un indirizzo che se cela malamente nelle elucubrazioni giuridiche con cui viene motivato e prende forma la vulnerabilità politica e la condizione difensiva dello Stato borghese nel confronto con l’opzione rivoluzionaria della Strategia della Lotta Armata, integra la rideterminazione delle linee controrivoluzionarie che oggi si misurano con il problema della ricomposizione forzosa delle fratture immesse dal rilancio, per restituire agibilità alle politiche antiproletarie della borghesia ma che, in quanto e nella misura in cui intervengono a compensare con la compressione o la repressione del conflitto la perdita di efficacia degli strumenti e modalità di contenimento, raffreddamento e assorbimento dello scontro di classe che è derivata dalla direzione impressa allo scontro dall’intervento delle BR-PCC, politicamente sanciscono e approfondiscono la frattura che il rilancio ha immesso nel rapporto che lo Stato aveva costruito con al classe, frattura prodotta dal ripetuto attacco dell’Organizzazione allo Stato, nei nodi centrali della contraddizione dominante che appone le lassi in questa fase, che ha fatto emergere il carattere coattivo della mediazione politica neocorporativa con cui il proletariato viene costretto in una condizione di subalternità alla borghesia, politicizzando lo scontro di classe.
Per quanto ci riguarda come militanti BR-PCC, l’interesse al rito giudiziario che si svolge in questi giorni è unicamente quello di rivendicare tutta l’attività delle Brigate Rosse e di riaffermare la nostra militanza nell’Organizzazione. Dei nostri atti politici rispondiamo soltanto al proletariato e alle BR-PCC che ne sono l’avanguardia e lo rappresentano. Non abbiamo nulla di cui difenderci, non parteciperemo alla farsa del collegamento in video a meno di non avere qualcosa da dire.
La rivoluzione non si processa!
Onore al compagno Mario Galesi caduto combattendo per il Comunismo!
Onore a tutti i rivoluzionari e antimperialisti caduti!
I militanti BR-PCC Nadia Lioce, Roberto Morandi